di Paola Zanca per “il Fatto Quotidiano”
Anche oggi, come ogni giorno, a San Giovanni Rotondo “tira la vòria”. C’è vento, tanto vento, e sulla spianata di ulivi che conduce alla chiesa che Renzo Piano ha costruito per San Pio, le transenne che dovrebbero servire a incanalare i pellegrini sono cadute a terra. Poco male. Di turisti da mettere in fila, anche se è domenica, anche se è agosto, a San Giovanni Rotondo ce ne sono pochi.
LA FINE DEI MIRACOLI Era successo solo una volta, subito dopo la santificazione, nel lontano 2003. Poi vennero i grandi eventi, l’ostensione delle spoglie nel 2008, la visita del Papa nel 2009, un crescendo culminato nel 2010, quando il santo è stato traslato nella cripta d’oro della nuova chiesa. Ora, invece, di giravolte per portare i fedeli a San Giovanni Rotondo non se ne possono inventare più. E non è nemmeno detto che possano servire: costi spropositati per eventi che si riducono a 2-3 giorni di gloria. Così, è con una certa drammaticità che bisogna leggere questo numero: tra il 2011 e il 2010, nella terra di Padre Pio, c’è stata una flessione del 2,2 per cento.
“Per vedere i dati del 2012 dovremo aspettare fine anno – spiega Stefano Campanella, direttore di TeleRadio Padre Pio – Nel 2011 siamo scesi a 7 milioni di visitatori, ma non c’è da preoccuparsi, ogni anno non è mai come un altro”. Eppure è lo stesso portavoce del Convento a notare che qualcosa è cambiato: “Si iniziano a notare alcuni visitatori che si portano il pranzo al sacco e mangiano nella sala del pellegrino. Renzo Piano l’aveva prevista apposta, ma non si vedevano da tempo”. I fedeli ormai “sostengono solo le spese di viaggio”, anche i “negozietti che vendono immaginette sono in miseria”. E come se non bastasse, “i frati si sono accorti di un calo complessivo delle offerte”.
Quanto? Impossibile saperlo, l’economo dei Cappuccini è impegnato in una sorta di conclave dell’Ordine, ma Campanella ricorda di aver sentito parlare di “cali del 30 per cento”. E se Padre Pio fosse passato di moda? “Bisogna aspettare i numeri di quest’anno, finora la flessione è giustificabile con la crisi. Ora bisogna capire se il calo diventa una tendenza”. Non che il frate di Pietrelcina possa sentirsi tradito. Lui aveva chiesto solo di essere sepolto “in un tranquillo cantuccio di questa terra”.
TUTTI CON LE CAMERE VUOTE È che nel frattempo, per accogliere i pellegrini, a San Giovanni Rotondo hanno costruito 132 alberghi. Centotrentadue, una cifra spropositata, venuta su tutta di colpo. Se fino alla fine degli anni Novanta l’ospitalità per i fedeli era concentrata nel viale dei Cappuccini, la strada che collega il paese al santuario, anno dopo anno sono cresciuti, uno a fianco all’altro, una sfilza di hotel, affittacamere, enormi strutture che hanno trasformato la geografia di questo pezzo di entroterra del Gargano.
Inutile dire che c’è voluto poco per capire che l’offerta aveva superato di gran lunga la domanda. Basta farsi una passeggiata serale per le vie del paese per vedere luci spente praticamente ovunque. La permanenza media oggi è di 1,17 giorni per pellegrino: una notte a testa, se va bene. Perfino negli anni d’oro non si arrivava a soggiorni più lunghi di due giorni. A fare la fortuna degli alberghi erano i pranzi organizzati.
Tutta la via d’accesso al paese costellata di giovanotti con i volantini in mano. Quasi si buttavano in mezzo alla strada per fermarti e proporti il loro pacchetto. I primi cominciavano a mangiare a mezzogiorno. Non li facevano nemmeno rimanere seduti a tavola per il caffè: via di corsa, a prenderlo al banco, che qui bisogna sparecchiare e riapparecchiare, pronti per la nuova infornata di pellegrini da sfamare. Due, tre giri a pasto. Ma c’è chi contesta anche i numeri di un tempo. Federico Massimo Ceschin è un veneziano che per il Comune in provincia di Foggia ha lavorato a lungo.
Ora è consulente dell’assessore al Turismo della regione Puglia. “A San Giovanni i pellegrini non si sono mai fermati a dormire. Le stime del Giubileo confusero gli arrivi con le presenze, per questo si diedero le concessioni edilizie in modo sovrastimato. Come si fa a parlare di 7 milioni di fedeli all’anno?”. Cecchin fa i conti: “Vorrebbe dire parlare di 20mila persone al giorno. E considerando che il 92 per cento dei devoti arriva a San Giovanni in pullman, vorrebbe dire che ogni giorno dovremmo vedere circolare per il paese 400 autobus, che il parcheggio comunale di Pozzo Cavo dovrebbe essere sempre pieno. Ma chi l’ha mai vista tutta questa gente?”.
Il sistema di monitoraggio, va detto, è piuttosto spannometrico: per calcolare il numero di arrivi si conta l’immondizia prodotta. Ma certo è che di domenica, ad agosto, a Pozzo Cavo c’è solo un pullman in sosta. E sei navette, quelle che dovrebbero servire a portare i pellegrini al convento. Ferme.
LA RICONVERSIONE IMPOSSIBILE Va detto che Padre Pio continua a essere un punto di riferimento per una moltitudine di fedeli. Racconta Ceschin (che coordina anche la Borsa internazionale del turismo religioso) che all’Expo cattolica di San Paolo del Brasile, tra gli oggetti sacri, l’immagine di Padre Pio è ancora una delle più note. “Non c’è un calo di devozione – insiste – c’è stato un qualcosa di artificioso nella costruzione di grandi eventi: quello di adesso è un flusso normale, di 6-700 mila persone che ogni anno vengono a pregare sulla tomba di San Pio”.
Ma non è semplice rimodulare l’offerta, riconvertire l’economia di un paese che sulla fiducia nella monetizzazione del frate di Pietrelcina ha costruito tutto se stesso. “Ho il timore che per parecchi anni continueremo a parlare di crisi. Quelli di San Giovanni sono numeri che fanno ancora invidia, ma occorrerebbe un cambio di visione. Il patrimonio alberghiero è qualificato, recente: si dovrebbe generare un’offerta più ampia, per esempio con Monte Sant’Angelo (sede del santuario dedicato a San Michele e recentemente dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, ndr).
San Giovanni dovrebbe svestire i panni della prima donna, della gallina dalle uova d’oro, capire che le cose sono cambiate e cominciare a dialogare con il territorio. Qui le persone non rimangono a dormire perché un motivo per rimanere non c’è”. A San Giovanni ormai sono convinti che la soluzione sia solo una: trasformare gli alberghi in case. La legge dice che bisogna aspettare 25 anni dalla costruzione, bisognerebbe inserire un codicillo nel piano urbanistico.
Ma su questo San Giovanni è spaccata: chi ha usufruito dei privilegi concessi per il Giubileo, chi ha potuto aumentare le cubature e godere di finanziamenti pubblici perché adesso non dovrebbe pagare nulla e trasformare in casa tutto quel ben di dio? Dall’altra parte, gli albergatori sull’orlo del fallimento, inorridiscono: abbiamo rischiato tanto, ci ritroviamo in condizioni disastrose e dobbiamo pure pagare? Per fortuna Padre Pio a San Giovanni ha lasciato il suo vero miracolo laico: Casa Sollievo della Sofferenza, un ospedale di eccellenza, dove lavorano 2500 persone, si contano 60mila ricoveri l’anno e 300 mila prestazioni ambulatoriali. Qui, tre mesi fa, si è effettuato il primo trapianto di cellule staminali in un malato di Sla. Che sia questo il “cantuccio” che chiedeva lui?
Tratto da: www.esternalizzati.it