"Per conoscere una persona potrebbe non bastare passarne insieme un’intera vita. Per conoscere l’animo di un poeta, potrebbe essere sufficiente leggerne soltanto qualche verso"
di Paolo Fini
La lettura di un’intera raccolta di poesie di Onofrio Grifa consente al lettore di scoprire e conoscere l’autore assai meglio di come lo conoscono i suoi più intimi parenti e amici. Perché, a differenza di questi ultimi, è al lettore che Onofrio si presenta senza nessun velo e senza nessuna maschera: in un atto di umiltà che lo arricchisce a mano a mano che apparentemente sembri impoverirlo.
Tutto quanto viene suscitato nel lettore dai versi di Onofrio Grifa è un riflesso delle sensazioni e dei sentimenti che hanno ispirato l’autore. Con la differenza che quelle sensazioni e quei sentimenti il lettore è capace solo di sentirle; Grifa, anche di descriverle.
Il trucco sta, per dirla con Eduardo, nel saper sceglier il colore delle parole: “nu piezzo ‘e carta…addeventa na festa si ‘e parole… sò state scigliute a ssicond’ ‘o culore d’è pparole. Tu legge e vide ‘o blù vide ‘o russagno ‘o vverde ‘o ppavunazzo, te vene sotto all’uocchie ll’amaranto si chillo c’ha scigliuto canusceva ‘a faccia, ‘a voce e ll’uocchie ‘e nu tramonto.”
Personalmente, non credo, come invece altri hanno sostenuto, che la capacità di Grifa di saper scegliere il “colore delle parole”, abbia molto a che fare con la circostanza che egli sia anche un valente pittore. La bellezza dei versi di Grifa è dovuta invece tutta alla sua straordinaria sensibilità, che dispone il suo animo ad un incessante stupore nei confronti di tutto il Creato. Una sensibilità fuori dal comune e tanto più straordinaria quanto più colpita da elementi che invece appaiono insignificanti a tutti gli altri.
“A noi sembrano spenti certi particolari
che, per un poeta, hanno la luce di cento fari.”
diceva qualcuno.
Ce ne dà prova, con un effetto simile a quello dello zoom di una microfotografia, quando si rivela capace di mettere a fuoco anche un filo d’erba, sopra il quale, una piccola formica:
“si arrampica curiosa,
per godersi il panorama.
Poi beve un sorso di rugiada.
Rialza al cielo il suo stelo
e…cade…
sotto il passo di un bambino”.
Se Grifa è capace di stupirsi e stupirci fino alla commozione per un semplice filo d’erba, come potrebbe restare indifferente quando a cadere sotto il passo della vita è l’uomo?
Quando ciò avviene o c’è semplicemente il pericolo che possa avvenire, egli diventa il pungolo interiore che ordina alla “Ragazza di strada”:
“Devi far crescere la rabbia,
che morda a sangue la vergogna
e prenda a calci il tuo presente
e ricomponga i vecchi cocci.”
E assicura il drogato che:
“I fantasmi del passato
puoi coprirli
con la terra
fresca e buona
del futuro
dove tu seminerai
la tua storia da inventare.”
Se volessi rintracciare il filo conduttore dell’intera poesia di Grifa non esiterei a scorgerlo nella sua tensione verso il “Creatore e Signore di tutte le cose”.
Tutti i suoi componimenti si possono ricondurre a Lui, come:
“Voli di stelle
e corpi celesti
nella mente di Dio”.
Perché, almeno per un credente, è “ Amor che move il sole e l’altre stelle”.
Lo stesso amore per cui scrive:
“Vorrei accarezzare
L’ultimo della classe,
e stringere la mano
a chi sta in fondo alla chiesa
Vorrei ridare il volo
a una rondine caduta,…
Vorrei poter guarire
per sempre i miei malati
e non illuderli con le promesse,
false e logorate,
come stampelle usate
che cederanno poi
ai primi passi incerti”.
Un testo colpisce nel segno quando il lettore si affeziona ai personaggi ai luoghi ed alle cose che vi sono descritte. Ma i personaggi i luoghi e le cose descritti da Grifa appaiono al lettore come lui li vede; per cui leggendo le sue poesie si finisce con l’affezionarsi a lui stesso.
A uno che ama immensamente tutti quanti, perché non vuole perdere:
“quest’unica occasione
di una vita intera
sulla terra.”
Paolo Fini