Il saluto dell’Associazione “Archi di Pace” al professor Romano Prodi
“Impegno attivo per costruire la Pace” è il tema sotto il quale abbiamo sintetizzato, quest’anno, l’argomento multifattoriale e complesso della pace, noi dell’associazione “Archi di Pace”. Il risultato dell’impegno attivo è il fare, il partecipare fattivamente alla costruzione della pace.
Il presidente Romano Prodi è un uomo che con il suo impegno, con i suoi studi, fa, costruisce pace, per questo l’Associazione ha voluto attribuirgli il premio “Archi di Pace”, un modesto riconoscimento, consapevoli che è stato insignito di ben più alte e prestigiose onorificenze.
Abbiamo detto che il professore Prodi contribuisce alla pace con i suoi studi, ma chi è il Prof Prodi? Permettetemi di dire che la sua biografia lo accosta, senza esagerare, a personaggi di fama mondiale e storica.
Per esporla in tempi brevi sono costretto a comprimerla in poche note, chi ha il tempo per i particolari può leggerla sul suo sito.
Sposato con Flavia Franzoni, che saluto tra il pubblico, ha due figli e sei nipoti. Dopo la laurea in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, e la specializzazione conseguita in Università estere, inizia la sua carriera accademica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, dove ha lavorato come assistente, professore incaricato e infine ordinario di Economia e Politica industriale.
Negli anni l’interesse per la ricerca si è arricchito sempre più di nuovi argomenti, ha fondato società di studi economici, scritto editoriali, libri e diretto riviste. Tra gli incarichi ricordiamo che ha presieduto l’IRI ed è stato Ministro dell’industria. Successivamente è stato presidente del consiglio dei Ministri per il Governo Italiano e per cinque anni presidente della Commissione europea.
Oggi presiede il Gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni per il mantenimento della pace in Africa ed insegna in università americane e cinesi. Negli anni ha ricevuto numerosi e importanti riconoscimenti.
In modo sintetico, come i tempi che questo incontro richiedono, devo parlare brevemente del centro studi per la comprensione tra i popoli “Archi di Pace”. Sorvolo sugli scopi e obiettivi, a chi è interessato posso dare copia dello statuto. Gli uomini impegnati a costruire la pace, i costruttori di pace si incontrano su idee condivise e condivisibili, e tali idee sono oggettivamente sostenibili se frutto di studi.
Il nostro centro studi per la comprensione tra i popoli “archi di pace” nasce come centro studi perché ritiene sia fondamentale che, per costruire la Pace, si debba partire dalla conoscenza della società, dallo studio della realtà sociale. Studio largamente inteso come studio umanistico, ma che a nostro parere si può giovare della metodologia della ricerca, al fine di rendere i risultati il più oggettivi possibile.
Sappiamo tutti che gli studi hanno bisogno di tempo e che il tempo è un continuum che non si può fermare; nel tempo necessario per condurre uno studio possono intervenire nella società oggetto di indagine, eventi che portano mutamenti lenti o repentini. I mutamenti aumentano la complessità degli studi in corso e non si può non tenerne conto: perché non tenerne conto altererebbe i risultati degli studi stessi.
Consapevoli di questa verità, il motto dell’associazione è “conoscere l’essere e governare il divenire”, nella speranza che studiando la realtà, l’essere, in continua trasformazione, si possa riuscire a progettare modelli di sviluppo con cui costruire un mondo di pace.
A partire da questo principio, per soddisfare questa premessa, l’impegno dell’Associazione o di chiunque si appresta a studiare la società per costruire la pace sembrerebbe impossibile, arduo, difficile. Ma se non si tiene presente che l’essere è divenire, si corre il rischio di programmare, progettare o impegnarsi per realtà che non si conoscono, che ci sfuggono.
Per inciso sottolineo che questo principio dovrebbe accompagnare chiunque si propone di impegnarsi nella politica o nel sociale.
C’è una via di uscita a questa difficoltà apparentemente insormontabile?
Per rendere meno arduo questo impegno dobbiamo usare la ragione che ci offre la capacità di analisi e di sintesi. Con gli strumenti della ragione possiamo scomporre la realtà e cercare i “mattoni” e il “collante” che stanno alla base della costruzione della società ed usarli come punti fermi per non perdere l’orientamento.
Oggi nel linguaggio comune politico e sociale va tanto in voga la terminologia calcistica, io voglio prendere in prestito, per creare similitudini, il linguaggio scientifico. Rifarmi al DNA.
Il DNA, che sta alla base della vita, si costruisce con pochi mattoni. La vita che sappiamo estremamente complessa, che è fatta di milioni di organismi, è costruita su solo quattro mattoni che si combinano nel modo più svariato, in doppia elica spiralizzata antiparallela come una unione di positivo e negativo, maschile e femminile a formare i geni.
Posto che i mattoni su cui si costruisce la vita sono la materia, attribuire ad essa, alla materia, il segno negativo e positivo, maschile e femminile è un valore relativo che aggiunge l’uomo con il suo pensiero, è un’astrazione fatta dal nostro pensiero, e questo pensiero sappiamo può essere classificato come pensiero sociale, ideologico, religioso, politico, settario, oltre che essere alla base della sovrastruttura culturale, etica e morale della società. Pensiero che crea uguaglianze o differenze, comprensioni o incomprensioni tra uomini, culture e popoli.
Un altro modello per studiare la complessità della nostra società potrebbe essere riflettere sulle innumerevoli leggi civili di cui si sono dotati i popoli, le nazioni e confrontarle con i comandamenti. Per non perdersi nell’oceano di leggi, articoli, norme e comma, che si sono accumulate negli anni, potrebbe essere utile guardare ogni tanto ai mattoni su cui è costruita la legge, che sono solo dieci.
Qui con noi oggi abbiamo un maestro, il professore Romano Prodi, un professore studioso della società moderna da cui dobbiamo e possiamo trarre insegnamenti.
Vado rapidamente, cercherò di individuare due, tre geni che stanno alla base della nostra società e che ci devono guidare per “fare, per costruire la pace”.
In origine era il paradiso terrestre, la pace. Adamo ed Eva i primi mattoni. I mattoni per tenersi insieme hanno bisogno di un collante. Alla parola di Dio e al pensiero dell’uomo daremo, per costruire il nostro modello, il valore di collante .
In questo esempio il primo DNA, la prima elica a spirale antiparallela è fatta da: Adamo aderente al consiglio di Dio ed Eva che cede alla debolezza umana e “pecca”, ma le medaglie hanno sempre due facce e l’altra faccia del peccato, lasciatemelo dire, è seguire “virtute e conoscenza”.
I due scacciati dal paradiso furono condannati a “mangiare il pane col sudore della fronte”. Questo racconto biblico possiamo identificarlo come l’origine della società, l’origine dei popoli, perché i due, una volta scacciati dal Paradiso, non si divisero, restarono insieme, restarono solidali. Noi ci possiamo rifare a loro due e riportarli come il primo nucleo di una società fondata su lavoro e solidarietà.
Il lavoro per procacciarsi il cibo, la solidarietà per condividerlo.
Procacciarsi il cibo era faticoso, anziché rincorrere la preda, l’uomo, con la conoscenza, si rese conto che poteva appostarsi e lanciare contro la preda , immaginiamoci…in principio….un sasso: fu inizio dell’uso degli utensili,….. dell’industrializzazione, industrializzazione al sevizio dell’uomo e finalizzata a fargli guadagnare il cibo con meno sudore della fonte.
In una società individualistica, anarchica, l’uomo ogni giorno dovrebbe procacciarsi il cibo, il lavoro sarebbe per lui un dovere assoluto pena la non sopravvivenza.
Mentre, in una società strutturata, civile, con ruoli e mansioni definite, il lavoro diventa un diritto da esercitare con dovere.
Ad un professore di politica industriale cosa si potrebbe chiedere?
Una domanda interessante potrebbe essere: di quanti nuovi posti di lavoro necessità una società organizzata, strutturata, una società civile, industrializzata, ogni anno?
La risposta dovrebbe essere: se la popolazione mondiale cresce ogni anno di 80 milioni di persone, occorrono 80 milioni di posti di lavoro perché ognuno possa guadagnarsi il pane con il sudore della sua fronte. Un posto di lavoro per ogni individuo, in una società fondata solo sul lavoro. Questo numero può ridursi in una società costruita su lavoro e solidarietà come lo era il nucleo originario, la cellula formata da Adamo ed Eva.
Ma questa equazione è risolvibile in una società industrializzata dove la tecnologia riduce l’utilizzo di risorse umane, facendo diminuire i posti di lavoro?
A questa domanda è possibile rispondere se ci rifacciamo alle finalità degli utensili, della tecnologia: essi sono nati per ridurre il sudore della fronte, per aiutare l’uomo nella sopravvivenza; ma io cacciatore che non so più cacciare senza la tecnologia, se ne vengo espropriato, sarò in grado di procurarmi da vivere? Saprò sopravvivere in una società civile industrializzata?
A questa riflessione conseguono altre domande: posso io espropriare popolazioni industrializzate delle loro industrie? La tecnologia è un bene individuale o è un bene dell’umanità? Un imprenditore che delocalizza, sarebbe nato imprenditore nel paese in cui ha delocalizzato?
Il Signore dà a ciascuno di noi i talenti, ma la possibilità di esprimerli è frutto della cultura e del paese in cui nasciamo.
Una piccola curiosità storica: Se il bene terra fosse stato possibile delocalizzarlo, sarebbe stata possibile la riforma fondiaria?
Le difficoltà a mantenere l’equilibrio sociale, la pace sociale non finiscono qui.
Se nello studio inseriamo un altra variabile: come l’allungamento della vita media, l’equazione da risolvere diventa ancora più complessa.
La crescita demografica e l’allungamento della vita media sono due fattori che in un certo qual modo dipendono dalla natura, sono vincolate alle leggi naturali. Facendo un passo indietro nel discorso, tornando ai dieci comandamenti, forse sarebbe necessario un undicesimo: uomo nel legiferare rispetta le leggi della natura. In altre parole il motto dell’associazione: “Conoscere l’essere e governare il divenire”. Con queste domande per le quali non chiedo una risposta, mi avvio a concludere sottolineando che l’impegno degli uomini di pace è quello di costruire la Pace dove non c’è e lavorare per mantenerla dove c’è.
Il professore Prodi è impegnato in modo esemplare su tutti e due i fronti.
Inviato speciale del Segretario generale dell’ONU per il Sahel ha lavorato ad un progetto multiplo che prevede cinque direttrici di intervento per il benessere di quella regione dell’Africa, regione che comprende una grande fascia che va dall’Atlantico all’Eritrea e che oggi è martoriata dall’assenza di pace.
Professore ordinario di Economia e Politica industriale è impegnato a dare risposte per il mantenimento della pace nella nostra società industrializzata dove alcuni interessi possono far perdere la pace sociale guadagnata con i sacrifici del passato.
Concludo questa mia presentazione tornando rapidamente sul discorso dei geni che mi piace immaginare alla base della cultura della pace.
I mattoni su cui si costruisce la cultura della pace, dell’umanità ripeto sono pochi.
Essi si tengono insieme con il collante che il pensiero individuale o collettivo, condiviso e condivisibile, quindi culturale, etico e morale .
A volte questi mattoni si possono assemblare determinando malattie genetiche che noi dobbiamo saper curare, per curarle potrebbe essere utile il coraggio di un pensiero divergente.
Ho parlato di Adamo ed Eva come una doppia elica antiparallela dove l’uomo è aderente al volere di Dio e la donna disubbidisce per soddisfare l’istinto dell’Uomo verso la conoscenza.
Per concludere e contemporaneamente spiegare le motivazioni che hanno indotto la nostra Associazione a scegliere come simbolo del premio per la pace San Pio nelle vesti del Cireneo, permettetemi di rifarmi alle radici Cristiane che sono alla base della nostra cultura sociale, sia italiana che europea.
Il DNA, la doppia elica antiparallela a cui devo fare umilmente riferimento ora sono la Madonna e Gesù.
Maria, donna come Eva inverte i ruoli, è simbolo di obbedienza alla volontà di Dio, accetta tutte le sofferenze che il suo si, il suo consenso, comporta.
Gesù, l’uomo, che porta una nuova Parola, scaccia i mercanti dal tempio, attacca gli scribi e i farisei non per la loro dottrina che va custodita, ma per il loro comportamento che manifesta una religiosità vuota, fredda, fatta solo di pratiche esteriori; porta la Sua Parola pur sapendo che questo suo pensiero divergente rispetto al potere costituito lo porterà alla croce.
Il premio sintetizza tutte queste idee, questi valori culturali, etici e morali. Compreso il paradosso che non sempre l’uomo di pace viene a portare la pace.
Perché la pace per noi dell’Associazione “Archi di Pace” non è il silenzio tombale della platea che ascolta passivamente chi parla dal pulpito, la sofferenza che può derivare del consenso espresso ed erroneamente delegato, ma l’armonia delle voci che si alzano dalla platea e raggiungono il pulpito, dove coloro che si propongono come direttori di orchestra devono essere in grado di trasformare il rumore in suono armonico.
Questo mio discorso, per il quale chiedo scusa se è sembrato senza filo conduttore, trova la sintesi nella frase di San Pio che abbiamo scelto e riportato in calce al premio “sotto la croce si impara ad amare…”P. Pio (ep. 1, p.339).
Se lo studio ci aiuta a comprendere la realtà e i bisogni della società, l’amore ci aiuta a sostenere il peso dell’impegno attivo per costruire la pace, ci spinge, ci aiuta ad essere coerenti fino in fondo con il pensiero che scegliamo di promuovere. E l’amore non è come il sale, che se è troppo guasta la minestra, l’amore è come il suono e l’eco, più ne emetti, ne irradi e più si riflette su ciò che ti circonda.
Grazie a tutti, e ancora grazie al presidente Romano Prodi per essere venuto personalmente a ritirare un cosi modesto riconoscimento, noi siamo certi che l’ha fatto perché apprezza i valori che lo ispirano, che ispirano il premio e la nostra Associazione.