La 2ª A dell’ I.C. Melchionda – De Bonis partecipa a Masserie sotto le stelle 2013
Il 22 giugno scorso, in un clima festoso, genitori ed alunni hanno partecipato alla 3ª edizione di “Masserie sotto le stelle”, grande manifestazione dedicata alla cultura contadina ed all’amore per la terra e per le cose buone e genuine, organizzata – in collaborazione con le Masserie Didattiche sparse in tutta la Puglia – dall’Assessorato alle Risorse Agroalimentari regionale.
Il progetto per la prima volta ha visto un vero e proprio concorso rivolto a tutte le scuole di primo grado, che vi hanno preso parte con esibizioni teatrali e musicali, fotografie ed illustrazioni grafiche sul tema “Ti racconto la mia masseria”.
Gli alunni della 2ª A dell’ I.C. Melchionda – De Bonis di San Giovanni Rotondo hanno presentato presso l’Agriturismo Falcare di Cagnano Varano un racconto dal titolo “Na storja alla scurda, ovvero una storia a lume di candela”.
Il racconto narra la vita di due nonni, descritta ai nipotini in una serata d’inverno, a lume di candela a causa di un blackout: un viaggio tra i ricordi di un mondo antico fatto di fatica ed onestà, lavoro e gratificazioni.
La signora Dina dell’Agriturismo Falcare, nel ringraziare gli alunni e la professoressa Maria Cusenza, ha confessato: “le pagine di questo racconto mi hanno fatto rivivere la mia infanzia e la mia giovinezza”.
NA STORJA ALLA SCURDA, OVVERO UNA STORIA A LUME DI CANDELA
Coro: Tra munte Calve e munte Nire, sta situate nu paiesine, nen ci sta pane pe tutte quante ma l’allegria jè naute tante!
Era una sera d’inverno, fuori c’era tanta neve e il freddo era pungente. Serena, Davide e Giulio stavano giocando, chi alla Play-Station chi al computer. Ad un tratto, gridolini di sorpresa riempono la stanza. C’è un blackout, la corrente va via. Il camino acceso rischiara la cucina. La nonna, che stava preparando la cioccolata calda per i nipotini, accende una candela e li invita ad entrare in cucina. Dopo aver bevuto la cioccolata, i bambini iniziano ad essere irrequieti. La nonna chiama il nonno per calmarli e, visto che l’arrivo dei genitori era ancora piuttosto lontano, approfitta della situazione inusuale. Per distrarli, decide di raccontare una storia, quella della loro vita.
Filomena e Giuseppe (Meiuccia e Peppine) cominciano il racconto.
Nonno: Era il 1946, la guerra era finita da poco. I nostri genitori erano contadini, anzi il papà di nonna era un bracciante. La mia casa era piuttosto grande. Ricordo che oltre alle camere da letto c’era anche una cucina molto spaziosa dove la mamma preparava il pane ed apparecchiava per tutta la famiglia, e durante il periodo della trebbiatura cucinava anche per i braccianti. Rammento che era proprio il mese di Giugno quando, per la prima volta, ho incontrato Meiuccia.
Bambini(In coro): Chi?
Nonno: Meiuccia, vostra nonna Filomena! È così che la chiamavano una volta. Ricordo che mentre il padre con la falce tagliava gli steli del grano, Meiuccia li raccoglieva e li legava in covoni, li manocchje. Portava una gonnella a fiori e una camicetta scollata.
Nonna: Scollata la mia camicetta? Ma che dici?
Serena: Nonna che c’è di male a portare una camicetta scollata?! Pure la mamma la porta!
Nonna: Eh…. Figghya mia! Na vota nu jeva accuscì! Pecchè le ragazze per bene, prima, non potevano essere scoperte più di tanto!
Nonno: Io la guardavo da lontano e mi piacevano tanto i capelli che luccicavano al sole. E poi, quante volte volevo avvicinarmi, ma il padre mi guardava in malo modo! Però il giorno che abbiamo cominciato la trebbiatura, finalmente mi sono avvicinato a lei per aiutarla a slegare i covoni.
Nonna: Questa era solo una scusa, perché pure io avevo notato quel bel ragazzo… però non potevo far capire che mi interessava, anche perché era il figlio del padrone.
Dopo aver sistemato i covoni in cerchio, mio padre prese il mulo e cominciò a farlo girare intorno. Il mulo calpestando i covoni, rompeva le spighe e i chicchi di grano fuoriuscivano. Vi devo dire, però, che i contadini che non avevano il mulo, usavano con grande fatica, delle mazze dette “correggiato”. Poi, successivamente in una giornata ventilata, si separava il grano dalla paglia.
Nonno: Meiuccia, ricordi quando abbiamo festeggiato la fine della trebbiatura? I balli che abbiamo fatto? Le canzoni che abbiamo cantato?
Nonna: Certo che me lo ricordo!
Giulio: Che canzoni cantavate?
Davide: Perché non ce ne cantate una?
(I nonni iniziano ad intonare la canzone “Lu mariulì” e poi entra il coro)
Nonna: è vero Peppì, che questa era la nostra preferita?
Nonno: Sì, sì, è proprio così!
Serena: E da qui che avete cominciato a frequentarvi?
Nonno: Eh sì… Però sempre di nascosto, perché io non ero “all’altezza di vostra nonna” (ironico)
Nonna: (sorridendo) Come? Jeve chiù jaute de me?
Nonno: C’ha capite?
Nonna: Eh… sci. Stavo scherzando!
Giulio: Quando vi siete sposati?
Nonno: Dopo la trebbiatura abbiamo continuato a frequentarci, però abbiamo dovuto aspettare ancora un po’ di tempo perché c’erano tanti lavori da fare come la raccolta delle mandorle. Andavamo la mattina presto nei campi perché faceva molto caldo. Poi, tornati alla masseria, all’ombra di un albero, le smallavamo. Dovete sapere che una volta, le mandorle le sgusciavamo una ad una, si stendevano al sole ad asciugare e poi si vendevano al sensale.
Davide: Chi è il sensale?
Nonna: Il sensale era il mediatore nella compravendita dei prodotti agricoli.
Nonno: Dopo la raccolta dell’uva c’era la vendemmia, che era una festa, un divertimento, perché i ragazzi pigiavano a piedi nudi l’uva nei tini. Il profumo del mosto si spandeva tutto intorno.
Nonna: Mentre nonno era intento a questi lavori, io dovevo preparare il corredo. I negozi che c’erano allora vendevano la stoffa e poi eravamo noi ragazze a ricamare e preparare tutto ciò che occorreva per la nuova casa. Io sono stata aiutata dalle mie sorelle.
Nonno: Mentre vostra nonna pensava ad arredare la nostra casetta, io nel frattempo avevo finito di arare e seminare il grano, l’avena e l’orzo. Il grano serviva per noi e l’avena e l’orzo per gli animali. Subito dopo abbiamo cominciato la raccolta delle olive. Quell’anno ti ricordi Meiuccia quanta abbondanza c’è stata?
Nonna: Sci, perciò avevamo pensato di sposarci nel mese di dicembre, prima di Natale, perché papà mio aveva lavorato di più e anche tuo padre aveva guadagnato di più. Però, siccome la festa di matrimonio doveva svolgersi a casa di nonno in campagna, abbiamo dovuto rimandare a primavera.
Nonna: Avevamo pensato al mese di Maggio ma ci avevano detto che, per tradizione, non ci si sposava in quel mese perché è il mese dedicato alla Madonna e così ci siamo sposati a Giugno, prima dei lavori della mietitura.
Giulio: E in tutto questo tempo vi vedevate sempre di nascosto?
Nonna: Nooo, perché prima di Natale abbiamo fatto la “trasciuta“. Vi volevo far vedere nonno, com’era rosso, sembrava un peperone. Era tanto emozionato!
Serena: “La trasciuta“, e che cos’è?
Nonna: È l’ingresso ufficiale dei genitori dello sposo a casa della sposa. Durante la cena i nostri genitori hanno parlato del matrimonio e della dote che ci dovevano dare.
Nonno: Poi abbiamo fatto “lu cunsante“, cioè la promessa di matrimonio che veniva fatta in Municipio davanti al sindaco, seguita da una piccola festa per i parenti più stretti.
Nonna: Una settimana prima del matrimonio, a casa mia e a casa di nonno abbiamo esposto i corredi ad amici e parenti, perché pure lo sposo doveva portare il suo corredo.
Tre giorni prima dello sposalizio abbiamo preparato i dolci: li prupate a forma di cuore per sposi e compari, i taralli, le sfogliatine di ricotta, i dolcetti della zita e i rosoli per il rinfresco, mentre il pranzo l’abbiamo fatto a casa mia, con la sola presenza dei genitori, dei fratelli e dei compari. Abbiamo mangiato la pasta al forno, l’arrosto con le patate e il cavicione con la ricotta.
Il giorno prima del matrimonio le vostre bisnonne sono andate nella nostra casa per allestire il letto nuziale.
La celebrazione si è fatta nella Chiesa Madre e poi subito dopo siamo andati a casa di nonno dov’è cominciato il banchetto.
Nonna: Sono stati i vostri zii a fare da camerieri, a fare i “turni”. A ogni portata di dolci, seguiva una portata di liquore. Dopo che io e nonno abbiamo tagliato il propato a forma di cuore e distribuito i confetti, sono cominciati i balli.
Serena: Nonna, mi dici com’era il tuo vestito da sposa?
Nonna: Jeva belle assà! Era quello di mia nonna Filomena. Lei l’aveva regalato a me che ero la sua nipotina prediletta, proprio perché mi chiamo come lei! Era bianco con delle rose in vita e in testa tenevo una ghirlanda di roselline pure bianche. Il velo era lungo lungo!
Nonno: Era proprio bella nonna con quel vestito da sposa! Sembrava un’attrice di Hollywood…
Nonna: Sci, sci, pure nonno era bello con l’abito scuro. Sulla giacca teneva appuntato un garofano bianco. Tutti gli invitati erano vestiti a festa, ed erano tanto eleganti!
Giulio: Eh com’è finita la festa?
Nonno: Io e nonna abbiamo aperto le danze ballando lu valz tang. Poi nonna ha ballato con mio padre e mia madre, con i suoi genitori e io ho ballato con la madre e mia madre. La festa si è conclusa con la quadriglia. Poi ci hanno accompagnati a casa che era là vicino e ci hanno fatto la serenata.
Giulio: Com’era la vostra casa? Era grande come questa?
Nonno: No, era piccolina. C’era la camera da letto, un bagnetto e la cucina, che era abbastanza grande. Un tavolo, le sedie e “lu stipe”, un armadio per conservare le cose che servivano.
Davide: E il frigorifero?
Nonna: Il frigorifero, la lavastoviglie, la lavatrice, queste cose non c’erano. Poi non c’era neanche la corrente elettrica e la sera usavamo le lampade ad olio per illuminare la casa!
Giulio: Allora non avevate neanche la televisione e il computer?
Nonna (sorridendo): No, nen tenevame nente!
Nonna: Peppì, ricordi che la mattina dopo il matrimonio è venuta tua madre a portarci latte e caffè e i taralli all’uovo?
Nonno: Sci, sci, mi ricordo. I primi giorni sono stati tanto belli, perché ci coccolavano tutti e stavamo sempre insieme ma poi, come tutte le belle cose, questo finì.
Giulio: Perché nonno, che è successo?
Nonno: Perché io dovevo andare nella campagna di mio padre ad accudire gli animali. Ve vuleva fa vedà quant’era bella nonna quanne faceva lu lette e suspirave, quanne girave li linzole e me spiava dritte inte l’occhiera.
Nonna: Eh je le vuleve dice, statte qua, venite a cucà, marite mije, aje misse le lenzola fresche*, nen te ne janne!
* Cit. Michele Merla
Nonno: Je lu sapeve cudde che pensave, ma ne poteve rumanè e qullu core stritte stritte, le dave nu uasche e me ne jave.
(I nonni si prendono per mano e si sorridono)
I nipoti: Che bella storia!
Ad un tratto la casa si riillumina, i bambini corrono felici nelle loro camere a riprendere i giochi preferiti.
Il nostro racconto termina qui. Potevamo dire tante altre cose sulla vita dei nostri nonni, ma abbiamo voluto lasciarci con il sorriso affettuoso di nonno Giuseppe e nonna Filomena e le grida gioiose dei piccoli Davide, Serena e Giulio.
La ricerca continua delle tradizioni locali, dei costumi e delle abitudini dei nostri nonni, ci ha permesso di scoprire un mondo a noi sconosciuto.
La vita contadina, il lavoro dei campi, le piccole case di campagna (la massaria), hanno accresciuto la nostra curiosità per quei tempi così lontani. Pregni sì di fatica, ma ricchi di valori e soddisfazioni, che solo l’esistenza umile ed onesta dei nostri avi sapeva cogliere.
Oggi anche se ci è chiaro che non possiamo fermare il progresso, non vogliamo in alcun modo dimenticare, ma anzi vogliamo trarre un insegnamento proficuo che ci permetta di crescere nella consapevolezza che il lavoro onesto, il merito riconosciuto ed il saper vivere civilmente, non possono far altro che accrescere la nostra dignità di Uomini.