di Pio Di Giorgio
La settimana scorsa ho pensato di trascorrere qualche ora al
mare e, per compagnia, sotto l’ombrellone mi sono portato un quotidiano e un
libro. Ho iniziato a leggere il giornale, le pagine di Bari di Repubblica, e mi
sono appassionato al riconoscimento che l’Unione Europea ha tributato a Michele
Emiliano, eletto a modello di capacità di spesa dei fondi strutturali per
il lavoro compiuto a “Bari Vecchia”, trasformata da dedalo inaccessibile
e malfamato a cuore pulsante della città, motore della movida e dell’economia
locale. Altro che "Semplicemente Pugliesi"…
Non era certo una sorpresa: ho l’onore di conoscere Michele e di aver trascorso
in sua compagnia più del tempo necessario ad accorgermi dell’amore e della
passione vera che consuma nel rapporto con la città.
A un certo punto ho appoggiato il giornale sul petto, ho chiuso gli occhi ed
hanno iniziato a proiettarsi alla mente – come spezzoni di film – le varie
situazioni in cui ho avuto privilegiata occasione di assistere al modo in cui
Emiliano si pone di fronte ai problemi, al modo in cui li affronta e li supera,
generando un’energia che avvolge tutti i presenti e li motiva alle ragioni
dell’agire.
Ho così pensato di recuperare il libro, iniziato e non ancora terminato,
ripartendo proprio dalle parole del Sindaco di Bari che ne ha curato la
prefazione. Inutile dire si trattasse di “Amaro Giuliani”, il
testo pubblicato dal giornalista Gennaro Tedesco mettendo in fila gli
articoli scritti sul “Corriere del Sud” dalla discesa in campo di Gennaro
Giuliani al cambio di esecutivo chiesto e ottenuto dal Partito
Democratico in nome della rappresentatività politica delle proprie istanze,
sulle quali tornerò più tardi.
In quel momento, a pochi metri dal mare, vi assicuro, ero lontano dal desiderio
di ricordare momenti amari lasciandomi prendere da pensieri cupi o da
rivendicazioni di alcun genere: ripercorrevo invece con la mente gli infiniti
momenti di straordinaria sintonia che si era creata all’interno di
quella prima Giunta. Averne fatto parte, anche solo per un anno, è stata per me
un’esperienza eccezionalmente positiva. Sentivo di star facendo qualcosa di
positivo per la mia città, come credo chiunque possa sognare, in un clima
sereno, di amicizia, di fiducia, di stima. Ero parte finalmente di un gruppo
che lavorava con grande sintonia, senza gelosie né rivendicazioni, sotto
l’abile regia di un Sindaco preparato e generoso – Gennaro Giuliani – che
faceva sentire la sua leadership e la sua esperienza senza farci sentire
scolaretti al primo giorno di scuola, che ci guidava senza mai bisogno di
alterare il tono di voce, che riusciva a orientare l’azione di ciascuno di noi
come fossimo stati parte di un’orchestra: non avevamo mai suonato assieme,
anzi, alcuni di noi non avevano mai preso in mano uno strumento, ma ci faceva
sentire tutti come primi violoncellisti della Scala.
E il Partito Democratico era lì a
guardare. A studiare da fuori i nostri movimenti cercando di trovare i lati
deboli di un esecutivo reo di non avere grande esperienza, mancando di
comprendere che – se soltanto ci avessero fatto sentire forti del loro sostegno
– avremmo potuto dare un contributo ancora più importante, riuscendo magari ad
offrire alla città un modello di governo assolutamente nuovo, come nuovo
era l’impegno che Giuliani aveva promesso in campagna elettorale e che i
cittadini avevano mostrato di desiderare.
Non vorrei annoiare nessuno, ma consentitemi che la lettura del godibilissimo “Amaro
Giuliani” è per me motivo di analisi e di riflessione, dopo un anno dal mio
allontanamento da Palazzo di Città, dal quale sono uscito così come sono
entrato, in punta di piedi. Ma vorrei fosse stimolo di valutazione per molti,
se non per tutti, per capire i mali della politica sangiovannese.
Lasciatemi per questo usare un ricordo tra i tanti. Come Assessore ai Lavori
Pubblici, il ritmo e l’agenda di quel periodo mi era dettata – si ricorderà –
dagli imminenti grandi eventi. Ma ciò non mi impedì affatto di pensare alle
scuole, anzi, ricordo che per me la sicurezza dei bambini era al primo posto,
come il giornalista Gennaro Tedesco ebbe a scrivere (“Una città a misura di
bambino”), così come la manutenzione ordinaria di strade e marciapiedi, o
addirittura la rimozione dei pali inutili. Sì, lo so, a qualcuno potrebbe
sembrare una questione minore, secondaria o addirittura irrilevante, ma in quel
periodo convulso, con il calendario che ogni giorno restituiva l’ansia da
prestazione in attesa del Santo Padre, decisi di mettermi in aspettativa dal
lavoro e dedicarmi al Municipio a tempo pieno, anche per togliere i pali
inutili dai marciapiedi: per una questione di decoro, ma soprattutto di
accessibilità, per le mamme con i passeggini, per i diversamente abili, per gli
innamorati che camminano vicini tenendosi per mano, o semplicemente per vedere
meno disordine e sperare di iniziare un intenso lavoro per una città più bella
e più vivibile. Una città dell’accoglienza dev’essere anzitutto accessibile, o
no? Troppo semplice?
Non dico tutto questo per vantare dei crediti, sia chiaro, né per dire che sono
stato assessore migliore di altri, venuti prima o dopo. Se un merito va
ricercato, credetemi, va ricercato tra i cittadini. Anzi, tra gli elettori. Che
hanno chiesto a gran voce che la politica facesse mezzo passo indietro per
farne uno avanti tutti insieme, come comunità, verso una visione di futuro
che potesse restituire fiducia nelle istituzioni, fiducia nella politica, ma
soprattutto fiducia nel futuro. E va riconosciuto al Sindaco Giuliani
che, oggi come ieri, persegue un’idea di politica ispirata dal bene pubblico,
con azioni mirate all’equilibrio tra i tanti poteri complessi di questa città
piena di veleni, in cui le cose vanno bene soltanto quando siamo coinvolti in
prima persona e per il resto tutto fa schifo.
E’ per questo che voglio sottrarmi, ovviamente, ad ogni confronto. Perché forse
chi è venuto dopo di me sta interpretando i bisogni dei cittadini in modo più
autorevole, forte di esperienze più importanti delle mie. Forse riuscirà a
essere persino più efficace, avendo un partito e una maggioranza che ne sostiene
l’operato fino in fondo, senza stare lì ad aspettare ogni errore come lama di
una ghigliottina pronta a scattare.
Potrebbe addirittura avere ragione il Sindaco, quando dice che la città ha voluto il cambio di Giunta perché
sentiva la necessità di tornare ad avere i vecchi punti di riferimento, senza i
quali si sentiva smarrita. Ma non è questa la mia lettura: io piuttosto mi
chiedo – e chiedo a voi tutti che mi leggete – se per leggere i fenomeni
sangiovannesi sia più opportuno percorrere vecchie strade oppure tentare di
modificare gli orizzonti con riferimenti nuovi, con la speranza dettata
dall’onestà e con la fiducia che si genera tra persone che si stimano al di là
dei colori e delle bandiere.
Ora non desidero rinunciare a rendere pubblici questi miei pensieri. Perché “Amaro
Giuliani” non è solo un libro di testimonianza e di memorie ma una
speranza. Le centinaia di persone che l’hanno già letto ne sono testimoni. E’
la speranza di vedere San Giovanni Rotondo tornare ad esprimere il meglio di sé
e delle proprie potenzialità, ponendo al bando egoismi e scelte di parte per
riuscire a coltivare una visione collettiva per il futuro che non sia solo la
somma di piccole miopie.
Pio Di Giorgio