Una triste pagina della storia di San Giovanni Rotondo
Cento anni fa, il 14 ottobre 1920, San Giovanni Rotondo fu teatro di uno dei più efferati episodi di repressione del primo dopoguerra.
Un eccidio che contò quattordici morti e ottanta feriti.
Tredici civili: Cassano Giovanni, contadino; Centra Donato, artigiano; Fiore Michele, contadino; Gorgoglione Paolo, pastore; Grifa Francesco, contadino; Masciale Michele, contadino; Miglionico Maria, casalinga; Pannelli Michele, contadino; Ritrovato Michele, contadino; Santoro Antonio, contadino; Santoro Giuseppe, contadino; Siena Giovanni, contadino; Tortorelli Filomena, casalinga; e un carabiniere, Imbriani Vito.
Di lì a poco il grave fatto di sangue che interessò la nostra città finì nel dimenticatoio, come fosse un avvenimento di cui l’intera comunità dovesse vergognarsi. Poi una lettura completa e storicamente corretta, libera da travisamenti dei fatti e capovolgimenti delle responsabilità imposte dal potere fascista che in quegli anni si stava imponendo, ha permesso di rendere la giusta memoria a quei cittadini inermi morti ammazzati nel nome della libertà.
Dal 1989 una lapide celebrativa apposta sulla facciata di Palazzo San Francesco ricorda i 14 martiri del 1920:
L’Amministrazione Comunale
di San Giovanni Rotondo
rievocando i fatti del 14 ottobre 1920
ccaduti all’inizio di un fondamentale periodo
della storia nazionale in questa piazza dei Martiri
ricorda i nomi
di quanti testimoniarono con la vita
l’ansia alla giustizia e alla libertà
nel travagliato costituirsi
dell’Italia democratica e repubblicana.
Cassano Giovanni
Centra Donato
Fiore Michele
Gorgoglione Paolo
Grifa Francesco
Imbriani Vito
Masciale Michele
Miglionico Maria
Pannelli Michele
Ritrovato Michele
Santoro Antonio
Santoro Giuseppe
Siena Giovanni
Tortorelli Filomena
Si erano da poco concluse le elezioni amministrative e il partito socialista aveva portato a casa la vittoria con uno scarto di circa duecento voti rispetto al Fascio d’ordine, una coalizione clerico-fascista, composta da popolari, combattenti, liberali e dagli “arditi di Cristo”, sostenuta dai grandi e piccoli proprietari del luogo.
L’insediamento dei nuovi eletti nella Residenza municipale doveva avvenire il 9 ottobre 1920, ma un’ordinanza del maresciallo della locale stazione dei Carabinieri l’aveva rinviata per motivi di ordine pubblico.
Ottenuta l’autorizzazione, la mattinata del 14 ottobre, i socialisti fecero il giro della città con la banda per due volte, senza incidenti, ma una volta giunti davanti al Municipio la situazione precipitò, il corteo aveva pacificamente invaso la piazza del comune, e aspettava che il neo eletto sindaco, Luigi Tamburrano, salisse sul balcone per issare la bandiera rossa in segno di vittoria, come era consuetudine in tutti i comuni e come era stato preventivamente richiesto e concordato con il Commissario Prefettizio, che aveva accordato il proprio assenso. Ma gli avversari si opposero e appena il corteo si avvicinò alle porte del Palazzo di città i carabinieri intimarono l’alt.
Il sindaco Tamburrano cercò di calmare gli animi per evitare che la situazione potesse degenerare, ma la folla s’impose e una donna prese la bandiera rossa e cercò di farsi avanti.
Fu allora che i carabinieri spararono sulla gente inerme, dal balcone del municipio, dove erano stati dislocati dal maresciallo. Non si limitarono a sparare in alto per disperdere la folla, ma sparano a freddo contro di essa, colpendo alle spalle dei cittadini indifesi.
Seguirono momenti concitati, tutti cercavano di scappare dalla piazza e il bilancio di quella giornata funesta fu molto pesante: nella sparatoria furono coinvolti solo civili, di cui 13 uccisi e 80 feriti, alcuni anche gravemente; morì anche il carabiniere Imbriani, ma non si riuscì mai a capire la dinamica di questa circostanza.
Tuttavia nei telegrammi inviati dai carabinieri alla Prefettura di Foggia e dalla Prefettura al Ministero Interno Centrale non si fa in alcun modo riferimento alle vittime civili, ma si segnalano, con dovizia di dettagli, solo i feriti tra i carabinieri e i soldati. Nei telegrammi si legge che per ristabilire l’ordine pubblico minato dall’intenzione dei socialisti di voler esporre la bandiera rossa sul balcone del municipio, la forza pubblica fu costretta all’uso delle armi, come se non fosse legittima la richiesta dei socialisti e che gli scontri non fossero stati causati invece dalla bellicosità del “blocco partito d’ordine”, che invece aveva mal digerito di aver perso le elezioni.
Anche la stampa locale e nazionale dell’epoca non diede risalto all’eccidio e lo trattò come un semplice fatto di cronaca che aveva reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine per evitare che fossero issate le bandiere rosse sui balconi del Municipio, e facendo ricadere la responsabilità sulla aggressività dei socialisti e sulla rissosità della gente presente. Solo l’Avantine diede notizia due giorni dopo, e il 20 ottobre pubblicò in prima pagina un’accurata ricostruzione: “Il massacro di S. Giovanni Rotondo. La nostra inchiesta”.
A distanza di 100 anni possiamo certamente affermare che quelle 13 persone uccise barbaramente in piazza colpite alle spalle – come accertato dalle verifiche mediche – non erano sovversivi ma espressione della classe operaia cittadina, vittime inconsapevoli dell’avvento del fascismo.
La ricostruzione storica dell’ecidio evidenzia infatti che questa vicenda tragica non può essere considerata un episodio di storia locale ma si inserisce nel vasto panorama politico nazionale, ne è testimonianza il singolare fatto che a San Giovanni Rotondo, in occasione di quelle elezioni, ci fu un esagerato dispiegamento di forze armate: a rinforzare la forza pubblica già presente furono inviati un reparto di fanteria di cento uomini e altri trenta carabinieri.
Il Partito Socialista aveva vinto in molti altri Comuni della provincia, la bandiera rossa era stata esposta senza opposizione e non si erano registrati incidenti. Perché la piazza antistante il Comune era presidiata da tanti militari e perché sui balconi c’erano tiratori scelti pronti a far fuoco? Per quale motivo in un paese di appena diecimila abitanti si ritenne necessario l’invio di un così numeroso contingente armato?
La presenza di tanti soldati non era sicuramente giustificata dalla necessità di assicurare un normale servizio d’ordine a causa di una grave minaccia (perché issare una bandiera e sfilare in corteo non erano minacce)… sembrava piuttosto una strategia già predisposta e si cercò nel comportamento della folla solo un pretesto per agire: per compiere una strage che aveva tutta l’aria di essere stata premeditata.
Il fascismo che da lì a poco avrebbe preso piede in tutta Italia, aveva scelto San Giovanni Rotondo per mostrare tutta la sua ferocia.
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