Il ricordo deve scuotere le coscienze
Dicono che i luoghi abbiano una memoria. Una sorta di anima, in cui sono custoditi i ricordi di chi una volta li ha popolati. Viene da chiedersi, allora, che tipo di anima abbiano quei luoghi che conservano il ricordo di eventi terrificanti: luoghi come Auschwitz.
Chi ha visitato il memoriale-museo di Auschwitz racconta di posti in cui il tempo si è fermato, manifesta la volontà di mantenere un ricordo imperituro di uno dei momenti più tragici e funesti della storia umana (oltre un milione e centomila persone persero la vita nell’immenso lager di Birkenau, Auschwitz II). Perché la storia insegna; perché essi possano fungere da monito alle generazioni future; perché possano testimoniare, raccontare dell’insana frenesia che ha generato la volontà di annientare un’identità etnica.
C’è silenzio ad Auschwitz, un silenzio terribilmente rumoroso; c’è il vuoto, un vuoto lasciato che coloro che una volta erano e non sono più, a causa di un insensato tentativo di cancellarne per sempre la presenza, ma che hanno lasciato impronte indelebili del loro passaggio. E poi l’odore. L’olfatto è il nostro senso più potente, direttamente collegato alla sede della memoria e immediatamente collegato alle nostre emozioni. L’odore che si respira in quelle “fabbriche della morte” non può essere rapportato a null’altro: è indimenticabile; è impregnato di lutto, di dolore, di angosciosa separazione, della fine di ogni speranza, ma anche della perdita di ogni valore, perfino di quella tanto decantata compassione umana che si è tramutata nella crudeltà più bruta. Vittime di un odio cieco quanto infondato, i deportati furono uccisi nei forni crematori, nei “roghi” – fosse ardenti giorno e notte, usate per l’eccedenza di vittime che non si riusciva a smaltire, nonostante le pur notevoli capacità distruttive dei campi di sterminio – e nelle camere a gas, o morirono di stenti e criminosi esperimenti medici. Il 3 settembre 1941 venne sperimentato per la prima volta il gas Zyklon B, normalmente impiegato come antiparassitario, poi adoperato su vasta scala per il genocidio ebraico.
Ogni anno, in occasione del 27 gennaio, la memoria collettiva torna ad affacciarsi su questi agghiaccianti documenti storici. Nulla può il dolore, lo sdegno, la rabbia contro quelle nefandezze, contro un’insensatezza che nessuno riuscì a impedire e che mai alcuno potrà cancellare. Ma resta, più forte della morte, il ricordo a scuotere per sempre la coscienza.
Katia Di Pumpo