La
rubrica di Adriana Mangiacotti
“Il progetto architettonico: dal
concetto al cantiere. L’importanza della fase esecutiva”
Il
progetto architettonico è un processo lungo, un viaggio che parte da un’idea,
quella dell’architetto, e si conclude con la costruzione dell’opera, grazie al
contributo di tante altre figure professionale che vi entrano in gioco.
A
differenza di altre forme artistiche -come la pittura, la scultura, la moda-,
l’opera architettonica è un oggetto molto più complicato e complesso, proprio
perché si estende in una dimensione spazio/temporale più ampia rispetto, ad
esempio, ad un quadro (che possiamo appendere dovunque) o ad un vestito (che
indossiamo per un paio di stagioni per poi appenderlo in armadio, sperando che
quella “moda” ritorni …).
Forse
l’unica altra forma d’arte che ad essa si può paragonare, e con la quale essa
si confronta e incontra per natura stessa dell’arte in sé, è il cinema. Anche
in questo caso, infatti, parliamo di uno spazio (vero o fittizio) in cui si
girano le scene…
L’opera
d’architettura implica comunque molte più sfaccettature, è soggetta a leggi,
nazionali e locali, perché modifica in modo duraturo il paesaggio, interagisce
col contesto in cui è inserita per un periodo molto più lungo rispetto alla location di un film.
Proprio
per questa serie di complessità, il progetto architettonico ha anche una vita
lunga, una storia che può durare anni, a volta secoli, e continuare nel corso
del tempo, modificandosi sempre, a seconda delle esigenze che l’uomo ha in ogni
periodo storico.
Si
pensi, ad esempio, alle cattedrali romaniche o gotiche. La loro costruzione è
durata decenni, ha visto avvicendarsi generazioni di scalpellini e costruttori.
Sono opere che resistono nelle diverse epoche, sono state e sono luogo di varie
vicissitudini, raccontano la storia di un popolo.
Proprio
per questa laboriosità, esistono diverse fasi di progetto. Le leggi nazionali
ne individuano essenzialmente tre: il progetto preliminare, quello definitivo
ed infine il progetto esecutivo.
Alla
base di tutto c’è l’idea architettonica. Sviluppare il concetto architettonico
è un processo che può durare un tempo imprecisato, un tempo in cui l’architetto
si confronta soprattutto con se stesso, perché l’idea deve prima di tutto poter
convincere, essere buona.
Da
questo momento in poi, dunque, l’idea architettonica deve essere sviluppata, si
deve controllare se può funzionare e se può essere realizzata.
Entrano
quindi in gioco altre figure professionali che supportano il lavoro
dell’architetto. Per citarne alcuni, l’ingegnere statico, il perito tecnico, il
geologo,il geometra… Sono figure, queste,
che aiutano a realizzare il progetto, ma che non possono sostituirsi alla
figura stessa dell’architetto! Questo perché l’idea d’architettura parte
dall’architetto, appunto, e non dagli altri tecnici.
Su
questo punto è buona cosa fare alcune precisazioni, che riguardano in
particolar modo le consuetudini degli studi professionali di San Giovanni
Rotondo. Esistono ormai solo studi di ingegneria, o al massimo studi associati,
dove la parte da leone la fa sempre l’ingegnere…che cosa è successo? Il lavoro
dell’architetto necessita sì dell’appoggio dell’ingegnere ma non può essere ad
esso subordinato! L’ingegnere fa i calcoli statici, così come il perito tecnico
si occupa degli impianti. Tutto il resto del processo/progetto architettonico
spetta all’architetto! Non è ben chiaro come mai, invece, dalle nostre parti
gli unici che riescono a lavorare sono gli ingegneri…il committente non deve
poi lamentarsi se al centro del salotto si ritrova con un bel pilastro! E
questo “solo” perché l’ingegnere non è riuscito a tenere in piedi staticamente
la struttura…certo, non si vuole sminuire in nessun modo la complessità dei
calcoli che le attuali leggi, soprattutto antisismiche, impongono…ma un bravo
ingegnere sa anche riconoscere i propri limiti e ricorre all’aiuto
dell’architetto per trovare una soluzione che sia architettonicamente
accettabile! Altrimenti non si capisce come mai in tutto il resto del mondo
vengano realizzate opere molto più complesse e staticamente più ardue che a San
Giovanni –spesso anche in luoghi ben più sismici dei nostri!-, e da noi, al
contrario, pare che tutto sia o troppo complicato o staticamente
impossibile…e alla fine ci si giustifica col committente che l’unica
soluzione realizzabile era appunto il pilastro al centro del salotto!
Il
committente, da parte sua, ha tutto il diritto di protestare e non accettare
certi compromessi in quanto lui paga dei tecnici proprio perché gli
costruiscano un’opera bella, da vivere con piacere ogni giorno.
Il
lavoro di coordinamento tra i vari professionisti interessati fa parte di tutto
il progetto architettonico, di cui il progetto preliminare ne è, come già
detto, la prima fase.
Esso
consiste in una serie di elaborati che ogni tecnico deve preparare e presentare
in concomitanza con gli altri. Oltre ai disegni, alle relazioni, illustrativa e
tecnica, e ad un calcolo sommario dei costi del progetto, che sono compito
dell’architetto, occorre avere anche altre informazioni, come ad esempio uno
studio di prefattibilità ambientale, che consiste nel trovare quelle soluzioni
che favoriscono il miglioramento ambientale e paesaggistico del contesto di cui
il progetto farà parte.
Da
questo momento in poi si parte con la seconda fase del progetto, ossia quella definitiva.
È
una fase, questa, che serve ad approfondire tutti gli elementi necessari per
ottenere la concessione edilizia.
Ne
fanno parte, oltre che una serie di elaborati grafici e descrittivi, anche le
relazioni che delineano il tipo di terreno su cui verrà realizzata l’opera;
cioè, ad esempio, la sua geologia, idrogeologia e sismicità. Sono informazioni
fondamentali da cui non si può prescindere! E questo perché l’opera, una volta
realizzata, modificherà per un tempo molto lungo il paesaggio circostante, con
tutte le conseguenze che da esso ne deriveranno.
È
però purtroppo prassi comune che proprio nella redazione di tali documenti, si
cerchi, in un modo o nell’altro, di “scavalcare” il/i vincolo/i che la
normativa impone…è vero, sul nostro territorio le leggi sono molto rigide
(molto di più che in altri Paesi della Comunità Europea…) e tante volte
impediscono di fare “buona architettura”. È pur vero che l’Italia uno dei Paesi
più belli al mondo con un patrimonio storico, artistico e paesaggistico che tutti
ci invidiano…ma ci sono dei vincoli insormontabili che si dovrebbero sempre e
comunque rispettare! Con essi non si può “scherzare” o far finta di chiudere un
occhio, pena la nostra stessa incolumità, come la storia di tante tragedie ci
ha già raccontato!
Con
questo non si vuole puntare il dito contro nessuno, ma semplicemente porre
l’attenzione sull’argomento e cercare di sensibilizzare tutti coloro che ne
sono coinvolti…
Quando
infatti il committente acquista un terreno su cui costruirà, diciamo, la sua
casa, non ha nessuna idea dei vincoli cui quel terreno è soggetto.
L’edificabilità del suolo è stata già concessa prima… Ma, dall’altra parte, ci
deve pure essere l’onestà del tecnico che realizza il progetto di costruire
esattamente il progetto che presenta in Comune! E questo perché il Comune, come
Ente istituzionale, non ha i mezzi (in primis economici) per poter controllare
ogni progetto approvato. E si deve pur sottolineare che non tutte le leggi sono
“cattive”.
Per
esempio, secondo il “Regolamento edilizio”
dell’attuale PRG di San Giovanni Rotondo se si rispettano tutte le regole
concernenti le distanze minime dai confini, la cubatura massima costruibile,
ecc…si arriva ad un fabbricato che ricopre al massimo il 60% del lotto su cui
verrà edificato. Il resto può essere usato come spazio verde, giardino privato,
superficie permeabile per l’acqua piovana…ci siete mai stati in una delle zone
di nuova espansione, per esempio a “Pozzocavo”? Lì, a parte i gerani sui
balconi, non c’è quasi un centimetro quadrato di verde!…e i vasi dei fiori non
possono definirsi “permeabili” solo perché quando si innaffiano generosamente,
l’acqua gocciola dai balconi… quella zona, come altre della città, è sotto
vincolo idrogeologico perché l’acqua che viene giù dalla montagna e che non viene trattenuta dagli
alberi della foresta, in caso di forti acquazzoni, dovrebbe essere in parte
assorbita dai terreni sottostanti …ora, se i terreni sono tutti cementificati
(e dunque impermeabili!), come a Pozzocavo appunto, l’acqua corre oltre, arriva
a valle, e lì si deposita, con tutti i conseguenti allagamenti che abbiamo già
visto! È proprio questo che si intende quando si dice che: “ogni opera
architettonica modifica per un lungo tempo il paesaggio circostante”…
È,
in sintesi, una questione di lealtà reciproca, da entrambe le parti, che ha
come scopo il benessere comune dei sangiovannesi.
Ma
ritorniamo ora al nostro discorso iniziale. Una volta, quindi, pronti tutti i
documenti necessari, si richiede la concessione edilizia al Comune, affinché venga
controllata la conformità del progetto. Se il sito è sottoposto ad altri
vincoli specifici (ambientali, storici,…), occorrerà richiedere i vari
permessi ai differenti Enti interessati (per esempio la Comunità Montana).
Ultima
fase di progettazione è quella esecutiva. Ad essa appartengono, oltre che
una serie di documenti ed elaborati che l’ingegnere (o gli ingegneri) deve
fornire per la struttura statica (ossia i calcoli e i disegni esecutivi relativi alle strutture, agli impianti e alle
eventuali opere di risanamento, p.e. ambientale), ci sono tre importanti fasi
di progettazione, di solito a carico dell’architetto: i disegni esecutivi, il
capitolato dettagliato e il cronoprogramma. Sono elaborati da cui non si può
prescindere, pena la qualità stessa dell’oggetto architettonico, dei costi e
dei tempi di realizzazione.
Vediamo
di descriverli uno per uno. Il progetto dei dettagli prevede il disegno di tutti i punti
architettonici più significativi, che in fase cantieristica potrebbero risultare
problematici. Si noti che punti problematici esistono sempre, anche nel
progetto più piccolo e “semplice”! Poter analizzare, discutere con tutti gli
interessati (l’ingegnere che si occupa della statica, la ditta di costruzione,
p.e.), risolvere i problemi a priori significa anche non avere troppe sorprese
in fase cantieristica, significa cioè non dover apportare varianti in corso
d’opera, non perdere tempo nel trovare una soluzione alternativa -spesso non
sempre felice!-…significa, per il committente, risparmiare soldi e tempo perché
ogni cantiere, ogni giorno, costa! Certo, non tutti i problemi si possono
risolvere sulla carta. Esistono infatti progetti, soprattutto quelli
riguardanti i siti storici, dove non si sa mai cosa si trova una volta che si iniziare
a scavare …Sono cantieri in cui tante scelte e tante varianti devono essere
apportate appunto direttamente in cantiere…ma sono eccezioni, non la regola! Di
solito, per una nuova costruzione in zona di espansione, a San Giovanni Rotondo
non ci si imbatte in uno scavo archeologico…
Ora,
strettamente legato al disegno dei dettagli, è la redazione del capitolato
dettagliato, in cui ogni voce, ogni materiale che verrà usato deve essere
quantificato e descritto affinché le ditte concorrenti per l’appalto (pubblico
o privato) possano fare la loro offerta.
Anche
qui, un buon capitolato si riconosce dalla minuziosità descrittiva e
dall’esattezza quantitativa. E un buon capitolato permette anche di avere un
quadro generale e sommario dei costi che si dovranno affrontare, con un margine
di errore consentito del 10% ca. sulle quantità riportate.
Ultimo
punto che corona questa fase progettuale è infine il cronoprogramma. Esso
consiste essenzialmente in un grafico in cui sono riportate le varie fasi di
costruzione e i tempi che ogni ditta deve rispettare. Sembra un po’ come la
schematizzazione di un concerto, di cui il direttore di cantiere è il direttore
d’orchestra. I vari lavori, infatti, devono potersi svolgere anche
contemporaneamente, quando è possibile, senza però che le varie ditte che si
trovano sul cantiere vengano intralciate nel loro lavoro. Per esempio, quando ci
sono gli elettricisti, possono lavorare contemporaneamente anche gli idraulici.
Avere
in mano un cronoprogramma significa, anche in questo come nei casi precedenti,
avere uno strumento di controllo…ancora una volta, del tempo e dei soldi!
Quando infatti si firma il contratto con la ditta appaltatrice, che a sua volta
ha il diritto di conoscere i tempi del cronoprogramma e di fare la propria
offerta sui tempi che ritiene necessari e fattibili per eseguire i lavori,
questa è tenuta a rispettare i tempi pattuiti, pena il pagamento di una multa
per rallentamento di tutto il processo cantieristico.
Descrivere
quanto sopra era obbligatorio per meglio capire le ultime fasi di progettazione
che, però, purtroppo, nella prassi comune, almeno per quasi tutto il territorio
nazionale, è ben diversa.
Il
progetto architettonico infatti si ferma in media con l’ottenimento della
concessione edilizia. Di come e quando, poi, verrà costruito il progetto, viene
tutto demandato alle ditte di costruzione, senza una regola precisa, senza che
il direttore di cantiere possa avvalersi di strumenti giuridici effettivi, con
tutti i rischi che questo comporta. In prima linea a scapito sempre e comunque
del committente, ossia di colui che paga!
Se
invece si progettassero i dettagli architettonici costruttivi, se si conoscessero
i costi di ogni materiale, se ogni ditta si prendesse la responsabilità di
entrare nel cantiere, eseguire i lavori in tempo e lasciare la scena secondo i
termini stabiliti e accettati, si avrebbe un controllo molto più sistematico e
puntuale del cantiere.
Il
cantiere, a sua volta, è un altro mondo…di cui si parlerà nel prossimo
articolo!
Adriana Mangiacotti