“Sangue, onore, memoria”
E’ stata sicuramente una serata speciale, un giovedì che lascerà un segno forte fra i tanti che hanno affollato il salone parrocchiale di San Leonardo per assistere alla presentazione del libro “La mafia innominabile”, di Domenico Seccia, Procuratore del Tribunale di Lucera.
Una dura presa d’atto per la città e per quanti ancora credono, o forse vogliono egoisticamente credere, “non sentendosi toccati in maniera diretta”, che la mafia a San Giovanni Rotondo non esiste.
Ebbene, anzi purtroppo, il primo messaggio lanciato dal Procuratore Seccia è stato netto: la mafia a San Giovanni Rotondo c’è stata, c’è, ed è viva! Nel recente passato, non si può negare di aver “pensato” di associare la criminalità locale a quella mafiosa, ma per il fatto che alcuni importanti processi non erano ancora definiti, l’affermare un tale assunto avrebbe sicuramente urtato molte “sensibilità”.
Le risultanze di recenti processi invece hanno fornito chiare evidenze: San Giovanni Rotondo è territorio di mafia; mafia satellite delle realtà vicine alle quali è legata da stretti rapporti, in primis con quella di Monte Sant’Angelo e di San Marco in Lamis.
Una “mafia del territorio” la definisce Seccia, che nasce da particolari categorie della società: agricoltori ed allevatori; non numerosi gruppi ma pochissime famiglie per ciascun luogo (oltre ai già citati, da ricordare anche Sannicandro e Rignano) a contendersi, litigarsi per l’egemonia del territorio, per detenere il potere, per annettere terra a terra.
“Il tratturo” è l’elemento che Seccia definisce la genesi della mafia garganica; l’attraversamento di un tratturo è condizione necessaria per la conduzione delle attività di allevamento per cui assume una rilevanza strategica per gli egemoni del territorio: “se devi passare devi pagare l’aggio”. Modus operandi criminale che ha avuto sviluppo ed evoluzione: dal tratturo si è passati “all’industria dell’allevamento”, talmente evoluta che è stata beneficiaria perfino di contributi comunitari.
Una “mafia di paese” sì, ma non nel messaggio di percezione, perchè rispetta tutti i canoni della mafia: sangue (la vocazione di vendetta, stragista, non ha limiti; intere famiglie straziate, con eliminazione di tutti i figli maschi), onore (il segno di potere, di imporre sudditanza, è insito nell’animo del mafioso), memoria (la mafia non dimentica le offese di sangue, possono passare anche decenni, la vendetta potrebbe giungere inaspettata).
“Non abbiamo un Saviano! C’è troppo silenzio purtroppo! Non si parla di mafia. Non c’è un sindaco che dica chiaramente, che ammetta, che nel suo comune c’è la mafia” – esprime con forza Seccia.
La domanda che sicuramente sarebbe arrivata di lì a poco dal pubblico il procuratore se la pone da solo: “Che fare?”
Innanzitutto “inorgoglisce”, giudiziariamente, che la criminalità del luogo sia stata riconosciuta come mafia. Lasciando le facili affabulazioni, occorre una presa di coscienza da parte della società civile. Occorro esempi nuovi e non ancorati al passato, quasi vivessimo “congelati” ai ricordi di chi in altri tempi e modi ha combattuto la mafia.
Oggi a San Giovanni c’è un uomo coraggioso che è uscito fuori dagli schemi di omertà; a uomini come lui – fra gli applausi della platea – Seccia ha chiesto di esser vicini e di seguirne l’esempio. Solo così si potrà bonificare la città dalle infiltrazioni mafiose.
Tutto sarà, comunque, più difficile se dovesse realizzarsi il progetto del governo centrale di rimozione della Procura di Lucera con annessione a quella di Foggia. Senza un presidio giudiziario sul territorio garganico, da Sannicandro a Vieste, più di uno sorriderà.
gp
Un grazie speciale da tutta la Redazione a Valeria Lauriola e PierGiuseppe Corritore per l’idea ed il lavoro svolto per portare a San Giovanni Rotondo il procuratore Seccia