Il Mio Partito Democratico:
La Grande Occasione Dei “Moderattivi”
di Michele Gorgoglione
Finalmente ci siamo. Il Partito Democratico comincia a percorrere i primi passi sulla lunga e, credo, tortuosa strada della sua costruzione e costituzione. Si parte quindi, con un enorme carico di entusiasmo, di aspettative, di speranze, come prima di un viaggio atteso da tempo.
Tante sono le cose da portarsi dietro, forse troppe, forse c’è molta nostalgia nascosta per quello che si lascia, per le proprie identità miste a radicati sentimenti di appartenenza, frutto dei periodi ormai storici per la nostra Italia, in cui la partecipazione politica era soprattutto, allora sì, una scelta di campo netta e chiara. Si poteva essere comunisti, socialisti, democristiani o addirittura fascisti, ma comunque l’appartenenza e l’identificazione nel partito era sentita come parte del modo di essere, di agire e di pensare di molti uomini e donne impegnati nella partecipazione alla vita politica ad ogni livello, dal locale al nazionale.
Questa forte contrapposizione di identità ha spesso alimentato in passato scontri, divisioni e profonde fratture tra componenti e classi sociali della realtà italiana, fratture di cui ancora oggi è possibile percepirne il retaggio nel linguaggio e nel pensiero di alcuni emeriti commentatori e di semplici elettori, ma tale contrapposizione ha d’altro canto impedito che ciascuno smarrisse il senso della propria partecipazione attiva alla quotidianità dell’impegno politico.
Ciascuno, infatti, aderendo ad un partito, o meglio, facendosi la tessera, sapeva di aver perso la propria neutralità agli occhi di quanti non si erano schierati per alcuno pur avendo le proprie preferenze da esprimere al momento del voto. La differenza sostanziale di allora con la realtà di oggi è che ogni iscritto, e spesso anche i soli simpatizzanti, sentivano la necessità di farsi carico dell’impegno politico, in qualsiasi ruolo, fosse anche solo in quello di creare opinione in famiglia, sul proprio posto di lavoro, al bar con gli amici. In altre parole, ciascun iscritto offriva il proprio contributo al partito “attivandosi” con profonda convinzione.
Oggi invece la politica ha perso molto del suo appeal, soprattutto ha perso la spinta rinnovatrice ed innovatrice dei giovani, che sempre in minor numero si avvicinano alla partecipazione politica, nonostante proprio dal mondo giovanile si erge, prorompente, la domanda di contare ed essere visibili agli occhi di una politica spesso distratta dai grandi temi dell’economia e della finanza e meno dalle reali necessità delle persone e dei giovani in particolare. C’è ed è palpabile tra i giovani di questa e della precedente generazione, la difficoltà di esprimere il proprio malessere per una società non più in grado di offrire una prospettiva ed una aspettativa di vita certa, come anche una formazione più facilmente spendibile nel mondo del lavoro all’interno di un sistema economico divenuto fortemente competitivo sul piano internazionale, poiché basato su due elementi discriminatori fondamentali, quali il costo della manodopera, dove l’Italia non ha possibilità di competere, ed il binomio innovazione tecnologica e qualità del prodotto, settori dove l’Italia arranca non per scarsità di “cervelli” ma per mancanza di investimenti seri, motivo e causa della costante riduzione dei laureati in discipline scientifiche negli ultimi dieci anni.
E’ quindi in questa crescente deriva di basi su cui poggiare le fondamenta di una profonda coscienza civile, che la politica rappresenta agli occhi di molti giovani sempre più il mezzo per raggiungere “per conoscenza” una sistemazione dei propri interessi, favorendo il dilagare del fenomeno, molto italiano e meridionale in particolare, del clientelismo. Ecco spiegato perché in molti cittadini si è radicata la convinzione che “la politica è sporca” e che “chiunque và, di destra o di sinistra, farà sempre e solo gli interessi suoi e degli amici suoi”, e poi “sono sempre gli stessi, cambiano solo colore e bandiera o mettono al loro posto qualcuno che possono manovrare come vogliono”. Nulla di più vero, purtroppo, anche perché sono i fatti recenti a livello comunale a fugare ogni illusione idealista in merito.
Potrebbe essere un punto di chiusura di ogni discorso sul tema, ma credo sia, anzi, deve essere il punto di partenza per costruire il nuovo, perché c’è l’esigenza di ritornare a fare politica, a partecipare per contribuire e per contare, senza soverchiare le idee altri, ma fondendole assieme al fine di elaborare una sintesi che abbia come unico motivo fondante la realizzazione dell’interesse collettivo. E’ una politica di servizio a cui dobbiamo ispirarci, servizio inteso come volontariato per la propria città, come anche per la propria provincia e regione. E’ una politica di passione, di dedizione, di desiderio di giustizia ed equità sociale, di lavoro su obbiettivi condivisi che siano espressione delle varie sensibilità, di uomini e donne ugualmente rappresentate. E’ una politica che sappia guardare oltre il limitato corso della durata dei mandati istituzionali, in grado cioè di offrire alla propria città ed ai suoi cittadini una prospettiva di sviluppo e di crescita socio-economica seria. E’ “la politica” di Don Sturzo, di Gramsci, di Aldo Moro, di Alcide De Gasperi, ma anche di Biagi, di Falcone, di Borsellino, di Peppino Impastato, di Don Puglisi e di tutti coloro che nell’anonimato hanno speso la loro vita a cercare di realizzare, ciascuno nel proprio ambito, il bene comune.
Ed è anche nel loro ricordo ed esempio che oggi tanta gente ha risposto all’appello del nascente Partito Democratico, sospinta dal desiderio di riappropriarsi della possibilità di partecipare alle scelte, di condividere le variegate esperienze all’interno di una casa comune dove far confluire l’esperienza di governo e la vitalità di diverse componenti della cosiddetta società civile, movimenti ed associazioni compresi. Tanti i candidati che, come me, hanno deciso di spendere il proprio nome per uno dei candidati alla segreteria nazionale o regionale, proponendosi alla gente con l’orgoglio e l’emozione come di un padre verso il figlio nel momento in cui inizia a camminare da solo. Oltre settantamila i volontari che hanno lavorato dal mese di agosto per garantire lo svolgimento delle primarie del Partito Democratico, vero momento di democrazia partecipata, in cui la scelta dei rappresentanti e dei dirigenti di partito è affidata esclusivamente agli elettori, alla gente, ai giovani e giovanissimi, alle donne ed agli anziani, agli uomini ed ai cittadini extracomunitari regolari, agli iscritti come ai semplici simpatizzanti, affinché ciascuno si senta coinvolto e possa constatare l’importanza di abbandonare lo stato di quiescenza, di attesa, di critica passiva e lesiva della propria dignità di cittadino.
La stessa richiesta di 1 euro quale contributo per votare, oltre a servire a coprire gli ingenti costi organizzativi delle primarie (non si dimentichi che sono state organizzate in quasi tutti i comuni d’Italia, quindi schede, urne, volantini, pubblicità informativa in TV e sui giornali), è il primo banco di prova per quanti veramente credono nel progetto del Partito Democratico, investendovi non solo la propria credibilità ma anche il proprio tempo e, quando occorre, il proprio denaro, affinché veramente questo sia il “partito della gente”, il partito dei democratici e dei moderati di centrosinistra, antitesi e stridente contraltare dei vari partiti azienda presenti nel panorama politico italiano.
E’ sempre nel momento dell’espressione del proprio voto che ciascuno difatti sceglie di essere parte attiva, di contare, di partecipare, di avere un’opinione e di non volerla lasciare tra i pensieri ricorrenti o in un cassetto del proprio cuore come per un desiderio irrealizzabile. Ma non può bastare, non è sufficiente per fare la differenza. Occorre continuare a restare in campo o almeno a supportare, stimolare, incoraggiare questo giovanissimo Partito Democratico, abbandonando per sempre l’idea di un partito autosufficiente e costituito solo dai suoi rappresentanti eletti. E’ il momento di invertire il concetto di moderati fermi in attesa di entrare in campo nel momento di dirimere divergenze o cercare convergenze, occorre finalmente essere propositivi, fare il primo passo, avere delle proprie idee prima di accodarsi a quelle di qualcun altro, essere dinamici sempre, pronti nel rispondere ad ogni necessità di risposta della società, alle aspettative della gente per un futuro migliore per se e per i propri figli.
Occorre in una sola parola diventare “moderattivi”, essere cioè il popolo dei moderati che sa ascoltare, elaborare, proporre e realizzare una politica moderna, al passo con le esigenze di essere nel sistema globalizzato, ma anche in grado di essere quantomeno esauriente, se non esaustiva, nel trovare soluzione alle reali esigenze dei cittadini, siano questi abitanti del piccolo borgo come della grande città.
Ma ancora non basta. Affinché vi sia vera divergenza col passato modo di concepire la partecipazione politica, ciascun aderente al Partito Democratico deve avere lo spazio per poter offrire il proprio contributo, ricevendo uguale attenzione da coloro che lo rappresentano nel partito e nelle istituzioni, offrendogli anche opportunità di rappresentanza in base al all’impegno profuso, alle capacità dimostrate ed al consenso espresso, nella logica della fondamentale condivisione dei ruoli e delle responsabilità, della pluralità di sensibilità rappresentate e del ricambio generazionale.
Occorre che le varie anime che vanno a fondersi in questo progetto del Partito Democratico siano disponibili a cedere quote di sovranità elettorale per arricchire il confronto interno in ogni occasione e non mortificarlo con la mera espressione della democrazia dei numeri, poiché la forza di ogni scelta o decisione assunta risiede nella convinzione con cui quanti devono sostenerla la fanno propria. E’ necessario quindi perseguire con metodo la ricerca dell’unanimità interna, prescindendo da logiche di spartizione proporzionale di incarichi e decisioni da assumere, utili solo ad aggirare temporaneamente la soluzione dei problemi ed a rendere evidenti gli schieramenti di persone all’interno del partito, favorendo prese di posizioni non obbiettive, che ledono la ricerca dell’interesse collettivo e conducono verso la difesa di interessi di parte.
E’ su questi principi che, a mio avviso, occorre costruire il Partito Democratico, prescindendo dalla predefinizione di quale ruolo ciascuno, singolo o gruppo, dovrà assumere. Occorre invece che ognuno, per quanto gli è possibile, metta a disposizione parte del proprio tempo, delle proprie capacità e del proprio entusiasmo per offrire alla nostra città l’opportunità di crescere culturalmente, civilmente ed economicamente, creando in tal modo anche le condizioni per favorire la permanenza in loco, come cittadini e come lavoratori, dei giovani di oggi e delle prossime generazioni.
Io credo quindi nel Partito Democratico come partito di idee in movimento, di persone in azione, di uomini e donne portatori di valori positivi e desiderosi di migliorare la qualità della vita nel nostro territorio e del nostro territorio, perché deve essere forte il desiderio di impegnarsi in prima persona per esprimere la gratitudine per questa terra da cui non vi è alcuno che non abbia ricevuto tanto.
Auguri di buon lavoro a tutti coloro che sceglieranno, come me, di diventare “moderattivi”.
Michele Gorgoglione
(candidato nella lista “I Democratici per Enrico Letta” )
* (documento inviato via mail a cura del candidato)