Docente, preside, poeta, romanziere, drammaturgo, saggista, storico, archeologo e tanto altro ancora. In due parole: Cristanziano Serricchio.
“Che resterà di te, di me, di quest’ora che non cede al tramonto?”.
Cristanziano Serricchio, proposto senatore a vita da Raffaele Nigro, candidato al premio Nobel, sin da giovane si è distinto nelle molteplici attività da lui svolte con impegno e passione.
Inizia la carriera scolastica nelle scuole superiori con l’incarico di docente. È subito apprezzato dagli alunni per l’elevato spessore culturale e per le competenze pedagogiche all’avanguardia. Gli piaceva insegnare e stare con i giovani. Nel romanzo “Il castello sul Gargano”, Andrea, personaggio autobiografo dice: “Era bello ed entusiasmante, cercare insieme con gli alunni il senso più vero della vita, a volte attraverso gli scritti dei grandi, più spesso con le loro stesse parole, povere sì, ma luminose di vitali energie”.
Ha l’incarico di preside dell’Istituto Magistrale Statale di Manfredonia nel 1954. È il preside più giovane d’Italia. Supera il concorso e nel 1965 diviene preside titolare del suddetto Istituto, al quale per sua iniziativa è dato il nome “A.G. Roncalli”. In tale Istituto svolge la sua intensa attività educativa e culturale fino al 30 settembre 1990 quando viene collocato a riposo. Nel frattempo ottiene la costruzione del nuovo edificio dove l’Istituto trova la sua definitiva sistemazione. Crea la biblioteca dotandola di circa dodicimila volumi, il laboratorio di fisica e di scienze, l’aula per gli audiovisivi, l’aula di disegno e la palestra. Fa intitolare dal Comune il vasto piazzale antistante l’Istituto “Piazza Europa”. Promuove la partecipazione delle scolaresche ai giochi della gioventù e a gare sportive. Organizza, con la collaborazione dei docenti, mostre di pitture e di disegno, spettacoli teatrali, concorsi per la Giornata Europea della Scuola, favorisce la partecipazione di alunni con sfilate di carri allegorici al Carnevale Dauno.
È chiamato dal Centro Didattico Nazionale per i Licei per l’aggiornamento dei presidi e dei docenti. Dirige corsi di abilitazione per docenti. È eletto per tre volte, dal 1978 al 1987, Presidente del Distretto Scolastico di Manfredonia, col quale organizza un’intensa e proficua attività culturale, didattica ed educativa: l’attuazione del diritto allo studio, la medicina scolastica, l’aggiornamento, il piano di edilizia scolastica e le nuove istituzioni, le attività parascolastiche fra cui mostre, concerti, concorsi riservati agli alunni, il servizio di orientamento, gli studi e ricerche utili alla migliore conoscenza della realtà locale, dei beni culturali e ambientali del territorio comprendente Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Mattinata, Zapponeta, Isole Tremiti.
Dal 1962 al 1968 ha ricoperto l’incarico di Assessore alla P.I. e Cultura del Comune di Manfredonia. D’intesa con l’archeologo Silvio Ferri, scopritore delle Stele Daunie, ha promosso la cessione allo Stato del Castello svevo-angioino di Manfredonia per la creazione del Museo Nazionale e del Parco archeologico di Siponto. Nel 1964 è nominato dal Ministero della P.I. Ispettore Onorario per i Beni ambientali, architettonici, artistici, storici e archeologici di Manfredonia.
Ha fondato la Società di Cultura “M. Bellucci”, la sezione dell’AEDE (Associazione Europea degli Insegnanti), la sezione della Società di Storia Patria per la Puglia alla quale, in qualità di presidente, ha dato lustro con sette convegni di studio su “Siponto e Manfredonia nella Daunia” pubblicando i relativi atti. Ha partecipato a convegni di studi, ha collaborato a varie riviste e giornali, ha scritto prefazioni, postfazioni e recenzioni a libri degni di attenzione, ha scritto su personaggi illustri.
Dei suoi libri, già inclusi in numerose antologie e oggetto di tesi di laurea in vari atenei italiani, si continuerà a parlare ancora a lungo. Di lui hanno parlato tanti nomi illustri: Carlo Alberto Augieri, Giorgio Caproni, Gianni Custodero, Michele Dell’Aquila, Renzo Frattarolo, Massimo Grillandi, Francesco Grisi, Oreste Macrì, Guglielmo Petroni, Alfredo Petrucci, Mario Sansone, Pasquale Soccio, Francesco Giuliani, Giorgio Manacorda, Francesco Daunio, C. Betocchi, Mario Luzi, Davide Rondoni, Ettore Catalano, Daniele Pegorari, Barberi Squarotti, Maria Corti, Raffaele Nigro, E. Giachery, Franco Cardini.
Molte le testimonianze di riconoscimento: il Presidente della Repubblica Pertini il 2 giugno 1979 gli ha conferito il diploma di prima classe con medaglia d’oro quale benemerito della scuola, della cultura e dell’arte. Ha ricevuto premi prestigiosi: Premio Nazionale di Poesia inedita “Città di Bari – Marina di Palese” 1981; Premio Nazionale di Poesia “Traiano” 1982; Premio Nazionale di Poesia, Giornalismo e Fotografia “Il Gargano” 1987; Premio Nazionale Poesia Haiku 1992; Premio Letterario Nazionale “Giuseppe Malattia della Vallata” 2000; Premio “Umberto Fraccacreta” 2010.
L’amministrazione comunale di Manfredonia il 7 febbraio 2012 gli ha conferito il primo “Laurentino d’oro”, riconoscimento che segnala alla pubblica stima “cittadini che hanno onorato la città nel campo delle scienze, della ricerca, delle lettere e delle arti, dell’impegno nella vita pubblica”.
Ricercatore appassionato della verità storica non rinunzia alla fatica di un viaggio per portare alla luce qualche vicenda umana. Si reca a Malta al Centro Studi Malitensi alla ricerca di documenti inediti sulle tracce dell’erede al trono di Costantinopoli Fra Domenico Ottomano e della sultana d’Oriente Giacometta Beccarini, la bimba rapita dai Turchi nel sacco del 1620 a Manfredonia. Da Malta porta la bellissima stampa che rappresenta la figura della sultana Zafira “la vera effigie” della sultana, ossia di Giacometta Beccarini. Interessato allo studio della vita e della traslazione delle reliquie dell’apostolo Tommaso da Ortona all’isola greca e viceversa si reca a Chios. Segue con dovizia di particolari il suo itinerario mostrando il suo scrupolo di storico e di attento studioso.
Serricchio, uomo d’ingegno poliedrico e geniale, è davvero un modello straordinario, un orgoglio per il mondo culturale di Capitanata, un punto di riferimento per avere riportato alla luce meravigliosi misteri storici ed artistici della sua Daunia.
Nell’intervista rilasciata a Daniele Giancane dice: “Nei miei saggi storici e archeologici è avvertibile il bisogno di penetrare nel cuore delle cose, degli avvenimenti delle persone, nonché l’amore per il Gargano, la Daunia, la Puglia, il Mezzogiorno, lembo estremo di Italia e d’Europa legato alle Origini della civiltà”.
“Della Daunia non è solo il poeta, ma colui che illustra le vicende storiche, le leggende pittoriche e le bellezze naturali” dice Giovanni Giraldi e Giorgio Manacorda ha ribadito che la poesia di Serricchio “è l’esempio più vivo e sincero di quel fertile Sud poetico, dove domina una doppia ispirazione, la dura vicenda di un mondo contadino e la dolcezza dei sentimenti”. “Ci fa sentire”, dice Davide Rondoni, “la unicità della sua terra, dei volti, dei suoni, delle visioni tra cielo e mare” e Ugo Reale sull’Avanti: “Nel Tavoliere, terra cosparsa di memorie di antichissima civiltà, Serricchio legge nel marmo le vicende di lontani fratelli di lavoro, di sofferenze e di speranze; compone una storia di vinti che è vicina a molte condizioni odierne, pur nell’evoluzione di millenni”.
In Serricchio si rispecchiano le condizioni spirituali in cui si trova la nostra società, condizioni che lo rendono partecipe del dramma del nostro tempo e del dolore cosmico esistenziale, quale la solitudine, l’ascolto delle voci familiari contro il frastuono del mondo esterno, le sorti del nostro pianeta minacciato da estinzioni. Il tema centrale nelle sue opere è il tempo nel suo incalzare continuo, un tempo di cui l’uomo può carpire solo brevi barlumi di una condizione metastorica che si oggettiva nell’empiria della vita quotidiana. Il continuum temporale gli permette di essere nelle cose, nella natura, nei sensi “Il tempo è solo quell’alberello / erto laggiù, sul limite e così breve / che questo accanto è immensamente grande, (…..). Di fronte a questa ineluttabile condizione di precarietà temporale, l’unica arma per non disperdersi nell’oblio è la Parola della Poesia, selce e fiaccola / dell’uomo nelle caverne / primordiale Parola / e Fuoco dell’uomo spaziale” (Orifiamma).
La parola è immagine e l’immagine è parola. I versi sono limpidi, spesso fulminanti nella loro semplice, delicata, naturale vitalità. “Amo la tenerezza e la forza del suo pathos” ha detto di lui Mario Luzi. Nel tempo universale di Serricchio ci stanno le piccole cose familiari, gli oggetti, la nostalgia e il ricordo. I ricordi sono “pagine / incise col fuoco della pena / e il pane fresco della speranza”. È sensibilissimo alle cose che scompaiono. Il recupero di ogni indizio diventa motivo di approfondimento e di partecipazione al passato che si lega al presente. Passato e presente perdono i loro confini, si competrano, si fondono, e diventano un solo unico tempo, di un tempo che fluisce senza soste del quale si sente partecipe.
Daniele Giancane “Il tempo presente è vissuto da Serricchio quasi sempre da una angolazione negativa, tempo di decadenza e di incertezza, di gente smemorata; il tempo futuro sentito con un misto di speranza-angoscia. Il tempo di Serricchio è anche distensio animi, flusso psicologico ininterrotto che si può osservare dal di fuori, luogo dell’assoluta identità del soggetto pensante, e in definitiva asserzione di un esserci totale. “Il sentimento del tempo in Serricchio è tutto interiore” (Michele Dell’Aquila) e “trova la sua forza nelle radici dell’anima e nella personale e dolente visione dell’uomo, della natura e della vita” (Dario Bellezza).
Nelle opere in prosa si trova la medesima intima capacità di cogliere e rappresentare l’inesorabile trascorrere del tempo. Il tema del tempo, il tema della memoria, il tema della religiosità, il tema della natura, il tema della donna, il tema della morte Serricchio li rivive con grande originalità. Dichiara “Anche nella narrativa sono presenti i motivi del legame con la terra, con le proprie radici fantastiche e reali; una narrativa intesa come confessione, riservatezza e discrezione, ma anche come ricerca introspettiva del destino dell’uomo, del suo passato come del suo futuro”. “Serricchio non guarda solo all’uomo, ma all’umanità, e non solo alla terra, ma a tutto l’universo. Vive nella storia, e dalla storia apprende la precarietà di ogni certezza, il fosco fluire dei giorni, dei mesi, degli anni” (Giacinto Spagnoletti). Narratore brillante; si fa leggere con interesse; ha una forma d’espressione tutta sua, efficace, folgorante, ariosa come un sogno aereo.
In una intervista del 2004 svela che i suoi maestri erano Leopardi, Foscolo, Pascoli, Quasimodo, Valerì, Gatto, Luzi, Bacchelli. In una lezione tenuta a Trinitapoli il 29 gennaio 2005 nei corsi di formazione indetti dall’Accademia Internazionale “Padre Pio” Serricchio afferma che “La poesia è vita e la vita è amore, e il poeta, se è tale, deve parlare in pieno spirito di libertà e di amore per la natura, gli uomini, l’universo, Dio. Come la poesia la religione schiude i misteri della vita, in quanto esprime amore, dolore, comprensione, amicizia, felicità, infelicità, sentimenti vari, di tormento e di pace, dalle cose più effimere all’infinito eterno che è l’universo e Dio. Per tutti questi motivi la poesia aiuta a capire se stessi e gli altri, a vivere, a dare significato e valore alla vita”.
Alla domanda: “Una vita per la poesia. Ne è valsa la pena?”. Rispose: “Senz’altro; al di là dei giudizi altrui, la poesia mi ha insegnato a vivere”. Poi ai posteri l’ardua sentenza, come scrisse in un bellissimo testo: “Che resterà di te, di me, di quest’ora che non cede al tramonto?”.
Dal 1 settembre del 2012 Cristanziano Serricchio non c’è più ed ha lasciato in chi l’ha conosciuto un vuoto incolmabile. Se n’è andato un grande poeta, il poeta della luce così definito da Flavia Pankiewicz, ma il suo nome non morrà e la sua poesia continuerà a farci luce.
“Mi piacerebbe essere ricordato non solo come poeta, ma uno che ha amato la sua città e dato ad essa il massimo impegno civile e culturale. In che modo spetterà ad altri stabilirlo”.
Nunziata Quitadamo