Puglia, i pendolari della radioterapia: “Nove ore di viaggio fra Bari e Foggia per dieci minuti di cure”
L’appuntamento è al Sacrario militare di Bari alle 7 del mattino. Arrivano alla spicciolata. Sono per la maggior parte donne accompagnate dai rispettivi mariti, figli o nipoti. Salgono tutte su questo furgoncino bianco tappezzato di immagini di padre Pio. Il conducente segna le presenze sul registro, come si fa a scuola. Questo viaggio che durerà un’intera mattinata sarà altrettanto istruttivo. Perché per capire come ‘non’ funziona la radioterapia in Puglia bisogna salire qui, come abbiamo deciso di fare, su questa piccola navetta, sedersi accanto a Grazia, Angela, Milena o agli altri passeggeri e partire con loro. Direzione San Giovanni Rotondo.
Si chiama ‘navetta della solidarietà’ ed è un servizio organizzato dall’ospedale Casa sollievo della sofferenza, un viaggio della speranza che dal 2006 raccoglie ogni giorno pazienti oncologici dal sud della Puglia e li porta al nord per fare radioterapia a tempi record e gratuitamente, dove il nord questa volta è sempre in Puglia. Tutto avviene nei confini regionali. “Eppure – dicono alcuni dei viaggiatori della speranza poco prima di salire sull’autobus – è come se ci trasferissimo in un altro mondo”. Un’ultima lettura al registro delle presenze e via. Si parte alla volta delle prime due tappe intermedie, Molfetta e Andria. Le soste durano poco, il tempo di far salire altri passeggeri. Ad Andria i 19 posti della navetta sono pieni.
Sulla navetta i viaggiatori cominciano a parlare fra loro. Di cosa? “Del solito – dice l’autista, Donato Cammardella – del matrimonio della figlia, del compleanno della nipote. Storie di famiglia. È bello vederli e sentire le loro storie. Capisci quanto sono forti e quali sono i veri problemi della vita. Hanno anche la forza di ridere e scherzare. Anche il solo viaggio in comune è importante, è una sorta di terapia di gruppo, perché così si fanno forza tra loro”, commenta Donato mentre si rimette in viaggio. Dietro, intanto, ci si prepara a recitare il rosario. È una donna in prima fila a guidare nelle preghiere gli altri viaggiatori.
“Mi hanno dato questo compito – dice imbarazzata Rocca Iacovelli di Casamassima, due figli grandi e un tumore al seno scoperto un anno fa – spero di farlo bene”. L’autobus riparte questa volta senza fermarsi. Alle 10 del mattino si arriva all’ingresso del poliambulatorio della Casa sollievo della Sofferenza. È in questa grande struttura in mattoni rossi, che i 19 passeggeri effettueranno a turno la seduta radioterapica. A San Giovanni Rotondo ferve il turismo religioso, le strade brulicano di auto e pellegrini. Il poliambulatorio è a ridosso della chiesa dedicata al santo di Pietrelcina e realizzata da Renzo Piano.
Il tempo di fare qualche scalino e si è già nel reparto di radiologia e radioterapia, colmo di pazienti provenienti da tutta la Puglia, Campania, Basilicata e Molise. I viaggiatori della navetta aspettano il loro turno in sala d’attesa. “Ognuno – spiega Antonio Canistro, primario del reparto – viene identificato tramite un numero”. Prima però c’è la preghiera collettiva. Se ne occupa un’infermiera “che ha fatto molti pellegrinaggi a Medjugorie”, dice il vicedirettore sanitario dell’istituto, Leonardo Miscio, che annuncia a breve l’arrivo di un nuovo autobus più capiente, pagato con le offerte dei pellegrini. “Tre rosari al giorno – spiega l’infermiera – è quello che chiede la Madonna. È difficile ma non per chi ha amore e volontà. Poi ci chiede di confessarsi una volta a mese e fare digiuno a pane e acqua. Queste sono le pietre che sconfiggono il demonio. La Madonna ce lo chiede”.
“Ed è uno sforzo che facciamo con piacere”, dice Grazia Derosa di Andria, capelli corti, giubbottino giallo e viso scavato da un anno di lotta contro la malattia, un altro tumore al seno. “Io mi sono operata all’Humanitas di Milano un anno fa – racconta – pensi che il primo giorno di chemio l’ho fatto il 24 dicembre. È stata dura. Poi è arrivato il turno della radioterapia. Dall’ospedale di Barletta mi hanno detto che c’erano posti solo a fine settembre. Troppo tardi. “Siete carne da macello” mi disse una dottoressa, parole che non dimentico. Sono stati loro a segnalarmi San Giovanni Rotondo e ora sono qui”.
Una storia tira l’altra, le donne e gli uomini della navetta prima della seduta vogliono raccontare la loro esperienza con il mostro. “Mio marito – dice Angela Deliso di Palese che è qui perché non poteva attendere gennaio per fare la radioterapia all’Oncologico di Bari – è come se vivesse ancora in un incubo, non ha ancora realizzato la mia malattia. Sono io che a volte devo dare forza alla famiglia”. Basta poco per farli parlare delle esperienze che hanno avuto in altri ospedali. “Mi sono ritrovata con un bubbone di due centimetri – dice Milena Palumbo di Grumo, in lotta contro la malattia da quattro anni – ho fatto la chemio al Di Venere e sono stati impeccabili. Ho provato a fare radioterapia all’Oncologico, unico posto dove si possa fare a Bari, ma non si capiva quanto lunga sarebbe stata l’attesa. I dirigenti degli ospedali pubblici dovrebbero venire a fare dei corsi qui per imparare come si trattano i pazienti”.
Michele Magro è seduto a poca distanza. Alza gli occhi dal suo e-book. Legge un libro di Kapu?ci?ski, reportage dalle guerre civili, “un modo per distrarmi” dice lui, uno dei pochi uomini della compagnia: “In fondo con questa storia della navetta l’istituto religioso fa anche marketing, fa sapere ai pazienti di tutta la Puglia “ecco, qui è l’eccellenza”. Per carità, non dicono mica il falso. Però sorprende che siano direttamente le strutture pubbliche di Bari, della Bat, di Taranto a indirizzarti qui. Come dire “noi nel pubblico non ce la facciamo”.
La radioterapia è finita, manca una mezz’ora alle due del pomeriggio. Ci si ritrova tutti all’ingresso dell’ospedale per il ritorno. Rocca si fa pensierosa: “Diciamo che il peggio è passato. È dura accettare questa malattia, ti chiedi “perché è capitato proprio a me?”. Ma ci dobbiamo ritenere fortunati che adesso siamo qui. Saranno cinque anni di travaglio fra visite e controlli”. Il gruppo sale sulla navetta. Si torna a casa. Saluti e abbracci, domani si ripete il percorso, un altro giorno di viaggio e di speranza.