“Harry
Potter e i doni della morte Parte II”
Recensione di Carmela Fabbricatore
Capita spesso di guardare film che fanno
parte di una saga più con il cuore che con gli occhi. Ci si affeziona ai
personaggi, ai luoghi, alle storie. La suspense prende il sopravvento e le
domande chiave alla fine di ogni episodio sono “Chi vincerà?” “Come andrà a
finire?”, insieme alle ipotesi più disparate sull’esito felice o meno di
eventuali storie d’amore. Pochi essenziali elementi per creare empatia con il
pubblico, tutti generalmente ruotanti intorno ad una trama complessa ma
avvincente.
La saga è fatta così. Può suscitare un senso di indifferenza totale
nello spettatore, che si sente spesso smarrito e impassibile di fronte alla
storia. O si può venire travolti dalla sua intricata struttura, arrivando ad
amarla. E quando l’epopea si conclude, rimane un senso di nostalgia permanente,
per tutte le emozioni che quella storia ti ha fatto vivere nel corso degli
anni.
Questa settimana la parola fine è stata
usata per una delle saghe più celebri della storia del cinema e della
letteratura: Harry Potter. Sette libri e otto film, che per i primi
instancabili appassionati si traducono in più di dieci anni di sogni e avventure
fantastiche. La seconda parte di Harry
Potter e i doni della morte conclude il ciclo cinematografico delle
peripezie del mago più celebre del mondo. Il film si apre laddove l’avevamo
lasciato, la sabbiosissima spiaggia di Villa conchiglia, dove i protagonisti
hanno appena celebrato un importante e commovente funerale.
Di qui si snodano
tutte le vicende successive, con un ritmo sempre più incalzante e avvincente.
Certo, gli errori e i difetti non mancano. Una narrazione macchinosa e
incompleta, un’inespressiva Emma Watson assolutamente non degna del personaggio
che interpreta, un doppiaggio forzato che non rende a pieno il potenziale
recitativo di Daniel Radcliffe, ma soprattutto, la presenza di adattamenti nei
dialoghi e nei dettagli, fatti spudoratamente per accattivare l’attenzione del
“pubblico di massa” e che sacrificano l’anima della storia. Primo tempo non
degno di nota. Errori e dimenticanze permangono anche nel secondo tempo. Scene
epiche di battaglia costruite con quel tipico retrogusto hollywoodiano, capace
di spostare l’attenzione dal messaggio all’azione fine a se stessa. Tuttavia,
appena in sala si spengono le luci dell’intervallo, “l’effetto saga” prende il
sopravvento.
E nonostante tutte le grossolanità evidenti, scorrono le lacrime.
A fiumi. Perché le apparenze ingannano. E quando si scopre che i cattivi non
sono cattivi, che tutto è mosso da un amore puro e supremo, non si può non
abbattere il muro dell’indifferenza e scoppiare in un pianto liberatorio. Merito
anche di una squadra di attori di
vecchia scuola che fanno la differenza. Maggie Smith nei panni della
professoressa McGrannitt, una spanna sopra gli altri, capace di emozionare
anche se ha poche fondamentali battute, grazie ai suoi forti sguardi e alle sue
movenze ponderate. Alan Rickman integerrimo nel suo ruolo di cattivo non
cattivo. Gary Oldman (Sirius Black) che
ti abbatte con uno sguardo da comparsa e Ralph Fiennes (Voldemort), capace di
farsi odiare alla follia anche se lo hai terribilmente amato quando era solo un
paziente inglese. Stesso discorso per la malefica Hélèna Bonham Carter
(Bellatrix Lestrange), trasformista come poche della sua generazione.
Tra le scene che rimarranno nei cuori, i
sette minuti dedicati a colui che pensavamo essere il traditore per eccellenza
(Severus Piton) o la candida King’s Cross, tutta bianca e silenziosa, ambiente
perfetto ed accogliente per riflessioni profonde e filosofiche.
La citazione di mezzo minuto di Harry Potter e la pietra filosofale, che
ci scaraventa addosso tutto il peso del tempo trascorso, chiude il cerchio tra
passato e presente. E il futuro? Ci penserà la scena finale, quei 19 anni dopo,
dove tutto sembra finire, ma dove in realtà tutto ricomincia. Nuovi undicenni,
nuova Hogwarts, nuove avventure. Il ciclo della vita, riassunto in sette libri.
Questa è la vera magia di Harry Potter. E se ne accorgeranno anche i
detrattori, quando leggeranno quelle storie ai loro figli.