“Fortapàsc”
Recensione di Carmela Fabbricatore
Napoli, anni ’80. Sole, mare, pizza e
Vesuvio fanno da cornice ad un territorio prigioniero di se stesso. Libertà e
democrazia sono concetti astratti. Le istituzioni non esistono, la loro
presenza è puramente formale. Unico grande organo regolatore di tutto e tutti,
la criminalità organizzata, con i suoi infiniti clan in eterna lotta tra loro.
La Camorra controlla,
comanda, ordina, fa giustizia, seguendo le sue spietate regole. Onore e soldi.
Che giustificano qualsiasi atto, compreso l’omicidio, veloce ed efficace
sistema di regolazione dei conti. I delitti sono all’ordine del giorno,
riempiono le pagine dei quotidiani, l’opinione pubblica non si scandalizza
nemmeno più.
E così, non ci si meraviglia tanto quando
il 23 settembre del 1985,
in uno dei quartieri più prestigiosi di Napoli, un
ragazzo di ventisei anni viene trovato morto assassinato nella sua Citroen
Méhari verde. Finisce nella mischia, è un morto di camorra tra i tanti, di
quelli che rimangono nel cuore dei conoscenti, ma di cui dopo un po’ il mondo
si scorda. Tuttavia, nessun morto di camorra è “uno tra i tanti”. Nemmeno il
ragazzo in questione: Giancarlo Siani, giornalista corrispondente de “Il
Mattino”, particolarmente dedito allo scandaglio approfondito dei rapporti tra
camorra e istituzioni.
Intuitivo e curioso, aveva aperto la strada ad un nuovo
modo di fare inchiesta: staccarsi dall’evento di cronaca in sé, per analizzare
e capire le vere ragioni che portavano all’omicidio di turno. Soffermandosi sul
perché
degli avvenimenti. Scava in profondità, arrivando a comprendere che gli
interessi economici e politici hanno molta più rilevanza di quel che la gente
crede.
Ragazzo coraggioso, Siani, che non ha paura a pubblicare le sue
scoperte, sebbene sia molto rischioso. Non si può buttare nel dimenticatoio la
sua storia. Immortalarla sul grande schermo è un modo per rendergli omaggio e
imprimere le sue azioni nella memoria collettiva. Ci pensa Marco Risi, che nel
2009, realizza un film ispirato a questa storia, dal titolo Fortapàsc.
Fortapàsc è la trascrizione fonetica di
Fort Apache, leggendario luogo del far west evocato per richiamare atmosfere
selvagge, primitive e senza regole. Quelle stesse atmosfere che vive il
protagonista. In meno di due ore si ricostruisce la storia di Giancarlo, le sue
scoperte sul clan di Valentino Gionta, le circostanze misteriose della sua
morte, la verità mai venuta a galla sui mandanti. Un omicidio in cui la camorra
sembra essere solo il braccio. E l’incapacità (vera o voluta) delle istituzioni
di fare giustizia.
Libero De Rienzo, nel ruolo di protagonista, è un ottimo
interprete della personalità di Giancarlo, ragazzo genuino dai modi semplici e
delicati. Il film riesce a buttare lo sguardo anche sulla vita privata di
Siani, mai in maniera invadente, ma mostrandoci quel tanto che basta per farci
capire che era un ragazzo come tanti. Gli amici, la fidanzata, la domenica a
mare. Il tutto su uno sfondo partenopeo anni ’80 fedelmente ricostruito, molto
familiare a chi in quel periodo c’era o lo ha indirettamente vissuto grazie ai
racconti dei cugini più grandi.
Perfette e spaventosamente reali le scene che
ricostruiscono le feste private dei clan, marcate da quel tipico cattivo gusto,
kitsch e pacchiano, in cui l’ostentazione della ricchezza (in particolare dei gioielli
in oro) fa da contraltare ad una pochezza intellettiva e umana senza paragoni.
Quando il film si conclude, la riflessione
che più ci rattrista è che, in fondo, da allora non è che sia cambiato molto.
Le cronache dei giornali continuano a riempirsi di eventi simili. Chissà quante
persone come Giancarlo sono passate sotto i nostri occhi nelle immagini sfuggenti
dei tg, in maniera così superficiale da non darci nemmeno il tempo di farci
caso.