“Super
8”
Recensione di Carmela Fabbricatore
Dopo mesi di marketing assiduo e virale,
arriva nelle sale l’attesissimo Super 8.
Ambientato a cavallo tra gli anni 70 e 80,
il film narra delle vicende di un gruppo di ragazzini che assistono casualmente
ad un incidente ferroviario notturno di enormi proporzioni. E che ha a che fare
con qualcosa di anomalo. Da quel momento in poi in città cominciano ad accadere
strani eventi: persone che scompaiono, elettrodomestici che non rispondono più
alle leggi della fisica, fenomeni
elettromagnetici inconsueti. L’Air Force, impegnata a spazzare via i rottami
dell’incidente, sembra conoscere le motivazioni di tutto ciò, ma non ha
intenzione di rivelare niente. Ben presto però, la situazione sfuggirà di mano
e l’intera cittadina capirà di trovarsi di fronte a qualcosa di
incontrollabile, pericoloso e soprattutto, non umano.
Super 8 è il terzo lungometraggio dell’ormai acclamato J.
J. Abrams, noto soprattutto per l’ideazione e produzione di serie tv di
successo come Alias e Lost. I precedenti lavori avevano dato prova della sua
indiscutibile abilità nel padroneggiare con arguzia gli elementi tipici del
cinema blockbuster, riuscendo a distaccarsi da quell’immensa pattumiera che è
diventato il genere dell’Action movie a sfondo fantascientifico.
La critica
internazionale lo ha additato come “Il Nuovo Spielberg” e Super 8 doveva essere
il film della consacrazione o quantomeno avrebbe dovuto ratificare
quest’importante eredità. Così non è stato. Super 8 manca completamente di
originalità. Prevedibile e profondamente stereotipato, per tutto il film si ha
la sensazione di aver già visto quelle scene, quei personaggi, quelle storie. E
difatti, pensandoci un po’, si arriva alla conclusione che è come vedere allo
stesso tempo E.T., Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo e Alien, o meglio, la
loro parodia. Un vero dispiacere se si pensa al sapiente lavoro di regia, che
si allontana dalla grossolanità a cui ci avevano abituato gli ultimi film del
filone. Peccato anche per la sempre più adorabile Elle Fanning, classe 1998, la
cui eleganza sembra quasi fuori posto nel chiassoso intreccio stilistico.
Eppure,
nonostante il film sfiori i confini del trash, non li attraversa. Se mai fosse
possibile trovare una giustificazione a così tanto sfacelo, sarebbe sufficiente
fare appello ad una sola parola: nostalgia. Super 8 è un film nostalgico fin
dal titolo, chiaro riferimento al formato cinematografico della cinepresa
portatile, simbolo degli anni ’70, con la quale tanti registi hanno cominciato
le loro carriere quando erano solo degli adolescenti. Non solo, ogni elemento
narrativo, per quanto banale e prevedibile, non sembra essere piazzato lì per
caso.
La struttura rispecchia fedelmente i film di fantascienza che da piccoli
ci hanno fatto sognare. E’ come se Abrams avesse nostalgia di quei film, delle
loro atmosfere sognanti e avesse cercato di rievocare quelle sensazioni.
Magari per un ragazzino di oggi Super 8
potrebbe avere lo stesso effetto che ha avuto E.T. nell’animo del regista e di gran
parte di noi. Resta il fatto che non siamo più negli anni ’80 e che, purtroppo,
ci vuole qualcosa di più di un alieno incavolato per appagare la nostra fame di
sogni.
Uscire fuori dagli anacronismi sarebbe un buon punto di partenza.