“Terraferma”
Rensione di Carmela Fabbricatore
Fresco di vittoria del Premio Speciale della
Giuria all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, approda nelle nostre sale Terraferma, di Emanuele Crialese. Il giovane regista romano di origini
siciliane arricchisce il cinema italiano di un’altra piccola perla, confermando
l’indiscusso talento di cineasta venuto fuori già un decennio fa con il
meraviglioso Respiro (2002) e
confermato nel 2006 da Nuovomondo.
A
differenza dei precedenti lavori, che raccontavano storie lontane nello spazio
o nel tempo, sospese tra realtà e surrealtà, Terraferma si cala con realismo profondo nell’attualità. Un’isola
siciliana non meglio specificata (potrebbe essere un’isola qualunque) fa da
sfondo all’intrecciarsi simbiotico di diverse storie: quella di Filippo,
ventenne orfano di padre, di sua madre Giulietta, del nonno Ernesto, vecchio
pescatore che non rispetta altre leggi se non quelle del mare; di una giovane
donna africana incinta, approdata illegalmente sulle coste dell’isola e salvata
clandestinamente da Ernesto.
Protagonista indiscusso del film, il mare, visto
ancora una volta come simbolo di libertà, di uguaglianza, che gode di leggi
proprie, indipendenti da quelle assurde che regolano la terraferma. Al mare non
importa se sei pescatore europeo o clandestino africano, può scatenare la sua
ira violenta contro entrambi senza fare distinzioni.
Attraverso le storie
individuali dei singoli personaggi, Crialese si lancia in una denuncia decisa
delle precarie leggi che “regolamentano” l’immigrazione clandestina, rendendoci
partecipi dell’assurdità di un sistema che sembra non badare abbastanza alla
dignità umana.
Ma Terraferma
non è solo un film che da risonanza al tema dell’immigrazione. Crialese allarga
lo sguardo e analizza in maniera compiuta una serie di contraddizioni tipiche
del nostro Paese e della nostra epoca. Lo scontro generazionale e la perdita di
alcuni valori cardine come quello della solidarietà, il superficiale turismo di massa, che
rappresenta al contempo salvezza e contaminazione per le comunità isolane,
abituate a sostenersi unicamente grazie alla pesca.
Particolare importanza
viene data alla linea di confine tra vecchio e nuovo, tra giusto e sbagliato,
dove la verità sapiente degli anziani è messa continuamente in discussione, e a
prevalere sono l’ambiguità e il dubbio.
Degna di nota è l’interpretazione di
Donatella Finocchiaro, capace di dare intensità e vigore al suo personaggio. Il
cinema di Crialese non si presta a facili schematizzazioni: se da un lato ci
sono delle storie profondamente radicate nella realtà, dall’altro non si può
fare a meno di notare che il linguaggio poetico-cinematografico non viene
sacrificato, anzi è perfettamente funzionale al racconto. Crialese parla per
immagini.
I dialoghi sono pochi ed essenziali, la musica accentua l’empatia con
i luoghi e i personaggi, mettendoci letteralmente in contatto con loro. Le
contraddizioni sono rese note al pubblico tramite contrapposizioni decise di figure
e forme, con un intento spesso didascalico.
La grandezza di questo film sta
appunto nel trattare una molteplicità di storie e argomenti con una sapienza
artistica che rende le parole di una recensione assolutamente inutili rispetto
alla forza comunicativa delle immagini.Il che rende Crialese un regista
dall’indubbio spessore artistico e una delle punte di diamante del cinema
italiano.