LibriAmo a cura di Renata Grifa
Ci alzammo, gli stringemmo la mano mentre lui diceva qualcosa
sul fatto che dovevamo tornare, magari già la sera dopo – o almeno cosi mi parve di capire –
e andammo via.
– Cosa ti ha scritto su quel foglietto? – chiesi quando ci fummo allontanati
– L’indirizzo di un posto dove fanno jazz. Che ore sono? – Papà non portava mai l’orologio.
– Le dieci e mezza.
– Ha detto che non cominciano a suonare prima di mezzanotte.
Facciamo passare un’oretta da queste parti, poi ci andiamo.
Antonio d’Orrico commentando questo romanzo sul Corriere.it lo ha definito come “un libro bellissimo e c’è poco da aggiungere. Sono i libri brutti o mediocri che richiedono commenti. Alla bellezza di un romanzo, alla sua riuscita, di addice soltanto un silenzio (di commozione e di rispetto)”.
Ed è proprio questo che si percepisce immergendosi nella scrittura visiva, quasi cinematografica di Gianrico Carofiglio.
La storia è quella della riscoperta di un padre e di un figlio.
È la bellezza di ritrovarsi più simili e vicini di quanto potessero pensare. È il rimpianto di non averlo capito prima ed è soprattutto la consapevolezza di non lasciarsi scappare mai le occasioni belle che la vita regala, neanche quando derivano “dalla notte buia dell’anima dove sono sempre le tre del mattino”.
Siamo negli anni Ottanta, Antonio è un adolescente come tanti, introverso, con la passione per i disegni e con un inaspettato problema di salute che lo vedrà costretto a vivere per due giorni e due notti a stretto contatto con suo padre, a suo dire causa di ogni male e infelicità.
Insieme intraprendono un vero e proprio viaggio della speranza nella Marsiglia più affascinante e dannata del tempo accompagnati dalle note di una musica bella e imperfetta come la storia che stanno per vivere “il bello del jazz è nell’imperfezione, nell’incompiutezza che lo distingue da ogni altro genere […] ma tutto quello – poco o molto – che capisco davvero del jazz lo imparai quella notte”.
Insieme, da soli, si metteranno a nudo uno di fronte all’altro.
Antonio smetterà i panni del figlio sempre in lotta e scoprirà in suo padre un uomo brillante e al tempo stesso fragile.
“Stavamo tornando alla banchina quando a un tratto mio padre si fermò. – Che c’è? – gli chiesi. Sorrideva in modo insolito, vago e quasi stupito. – Lo sai che mi sto divertendo? – disse. Quella frase mi spezzò il cuore. Riuscii solo ad abbozzare un sorriso e a fare un cenno col capo. – Anch’io, – dissi, ed era vero. Non mi ero mai divertito così tanto in vita mia”.
Il padre dal canto suo oltre a rivedersi in quel figlio così simile a lui, troverà la chiave per aprirsi agli imprevisti della vita e per rendersi conto che sono quelli la vera fonte di felicità.