di Gianfranco Pazienza
Sulle stimmate di P. Pio si stanno esaminando documenti ufficiali utilizzati per la causa di beatificazione e la successiva canonizzazione. Nessuna novità, quindi. Ancor prima, questi documenti, in mano al Sant’Offizio, erano serviti ai tanti detrattori di P.Pio interni alla Chiesa di Roma. Luzzato e Campanella oggi ne parlano e li trattano, giustamente, con “rigore” documentale, anche per ricordare il lungo e travagliato percorso di un umile ragazzo, del povero meridione che con le mani piagate, ha attraversato un secolo difficile.
La rivoluzione russa, le grandi guerre (che ha sempre maledette), gli odi razziali. Un secolo in cui si sono pure guadagnati diritti fondamentali alle donne e agli uomini oppressi, con i movimenti di liberazione dalla schiavitù contadina al Sud.
Un semplice frate che ha combattuto con la preghiera una lotta interiore e sopravvissuto a scontri gerarchici; oltretutto realizzando opere impensabili, grazie al contributo generoso di milioni di fedeli – giunti da tutto il mondo – senza avere i mezzi della comunicazione globale oggi a disposizione.
Ecco, la “verità” su P. Pio riguarda la nostra stessa capacità di saper giudicare quelle opere. Meglio dire: tutelarle, custodirle e accrescerne la portata. Principalmente perché con esse siamo cresciuti attraversando le difficoltà di quel secolo. Questa è la prova a cui ciascuno è chiamato, non solo per coscienza o per fede. Nessuno può rinnegare il valore di altri grandi uomini del nostro profondo Sud, a cominciare da Giuseppe Di Vittorio oppure Rocco Scotellaro, tutti impegnati a risollevare la dignità della condizione umana, dell’amaro vivere nel Meridione. Perché dovremmo farlo con P. Pio?
Con P. Pio i poveri trovano un punto di eguaglianza e di forza, la loro fame spirituale e quella materiale (di salute, anche) si può nutrire grazie alla solidarietà di altri uomini; ed Egli sente il bisogno di dare vita alla più grande opera sociale (e sanitaria): la Casa Sollievo della Sofferenza. Un grande processo di sviluppo locale messo in moto senza avere qui, sul Gargano, a San Giovanni Rotondo, le risorse umane necessarie per realizzarlo. Men che mai quelle finanziarie. Questa è la forza universale che sostiene lo spirito delle Missioni nel mondo povero. A me è capitato di finire in Madagascar con una proposta di impresa etica, condivisa dalla missione dei frati minori cappuccini in quell’isola, per una idea di solidarietà che parte dall’opera di P. Pio.
A P. Pio non risultava difficile trovare persone pronte a seguirlo nella sua “idea folle”. Nei primissimi anni venti, lo aiutò nel suo primo ospedale S. Francesco, il lavoro di un medico, socialista, Angelo Maria Merla: non li selezionava su base ideologica gli uomini adatti. E quanti, approfittandone, hanno maneggiato a sua insaputa, infangandone il nome, non possono sperare nell’immunità o di espiare la propria colpa rifugiandosi dietro i nome del Santo.
A chi è chiamato alla funzione di custode, infine, non può sfuggire un dettaglio importante: quanta capacità di accoglienza P. Pio e i suoi confratelli hanno prodotto. Quanta dobbiamo saperne realizzare noi. Il tema interroga principalmente l’economia e la politica. Preoccupandoci, insieme, delle nostre relazioni con il Mondo che da ottanta anni conosce questa terra. In questo cantuccio, ove riposano le Sue spoglie, nessuno è straniero e ognuno trova accoglienza. Noi siamo solo dispensatori di questo messaggio e dei servizi necessari a metterlo in pratica. Dalla qualità complessiva dipende lo stesso benessere della nostra comunità. L’accoglienza, sappiamo, è un servizio fondamentale da dovere rendere alle persone sole, deboli e, ancora una volta, “povere”: ai malati, ai fedeli, a quanti cercano, qui, un angolo di serenità. Per ciò, questo angolo, dobbiamo preservarlo, allo stesso modo, dalla facile criminale devastazione ambientale esercitata, da molti, con accanimento.
Gianfranco Pazienza