di Michele Placentino
Fino a poco tempo fa pensavo a Rignano Garganico come ad una delle poche cittadine del Gargano che meglio poteva rappresentare lo spirito di uno sviluppo consono ad un Parco Nazionale. Una cittadina che avrebbe più di altre potuto legare il suo destino alle opportunità offerte dalla presenza di un’area protetta costruendo assieme a questa un’identità che potesse trasformarsi in economia che costituisse un freno all’emigrazione se non addirittura un buon motivo per una immigrazione di ritorno.
Allo stesso modo ho sempre avuto l’impressione che il rignanese fosse una persona tenace, in grado di riuscire nel proprio lavoro anche fuori Rignano, aperto al mondo e capace di progettare uno sviluppo in linea con quella che gli economisti chiamano soft economy. La capacità di stare nel mondo globalizzato, cogliere le opportunità, unire tradizione e innovazione tecnologica, e tutto questo non dal centro del mondo ma da una zona periferica come il Gargano.
Il rignanese non mi ha mai dato l’impressione di essere lo stereotipo del cittadino di una piccola comunità chiusa al mondo e ripiegata solo su se stessa con l’unica prospettiva di cercare nell’emigrazione una risposta alla mancanza di lavoro.
Per questo quando ha cominciato a circolare la notizia del progetto della statua gigante di San Pio non potevo credere alle mie orecchie. Pensavo ad una boutade che presto sarebbe caduta nel dimenticatoio soffocata dalla contrarietà di tutta la comunità. Invece la notizia non si è spenta, anzi, è cresciuta fino ad arrivare sui media nazionali.
Inevitabilmente ho dovuto riconsiderare la capacità dei rignanesi di dare risposte concrete alle esigenze di sopravvivenza della loro comunità. Posso capire gli entusiasmi che può suscitare nella comunità un progetto faraonico del genere. Qualcosa di non molto diverso da quello che si poteva respirare nella San Giovanni Rotondo della fine degli anni ’90. Fantasticare sulle opportunità lavorative e sognare la grande svolta.
Mi lascia alquanto perplesso invece la mancanza di dibattito che accompagna questa proposta di progetto. Non si tratta semplicemente di essere favorevoli o contrari alla costruzione di una statua. Non è propriamente come un dibattito sull’opportunità o meno di collocare una statua in un giardino pubblico. E’ inevitabilmente qualcosa di più e di molto più serio. Si tratta di capire quale idea strategica abbiamo maturato per lo sviluppo del nostro territorio.
Sono tante le perplessità che tale progetto suscita.
Prima di tutto non si capisce su quali basi si fonda la certezza che la mega-statua possa rappresentare una attrazione turistica tale da giustificare un investimento del genere. Sono stati effettuati degli studi, delle indagini di mercato, oppure ci si fida del proprio istinto secondo il quale ciò che può funzionare per noi, funzionerà sicuramente?
Se c’è una cosa che la recente storia di San Giovanni Rotondo può insegnare è che senza una scientifica analisi del mercato, dei flussi e delle tendenze, senza una programmazione seria si rischia di trasformare una occasione di sviluppo in una condanna a vivere eternamente insoddisfatti con l’aggravante di un territorio compromesso e prostituito.
Varrebbe la pena chiedersi non quanti sono ma chi sono e che cosa vogliono i potenziali visitatori della mega-statua. Se anche fossero tanti resterebbe comunque il problema di una analisi qualitativa del turismo attratto. Ci sono territori come le Cinque Terre, le Langhe, la Toscana, lo stesso Salento, solo per citare alcuni esempi, che stanno crescendo dal punto di vista turistico e quindi economico perché stanno puntando tutto sul territorio, sulla qualità dell’ambiente, sull’innovazione tecnologica, sulla qualità delle produzioni artigianali e su quelle agro-pastorali, sul recupero dei borghi. Si offrono insomma sul mercato internazionale del turismo con una proposta seducente e unica semplicemente puntando sulla unicità del loro territorio. Chi visita questi luoghi lo fa perché ha la consapevolezza che quelli siano luoghi unici e irriproducibili.
La mega-statua a quale di queste esigenze risponde? Ammettiamo che la statua venga realizzata con tutta l’imponenza dei suoi 60 metri. Significherebbe che Rignano ha optato per la gigantomania piuttosto che per il piccolo e bello. Diciamo che la statua più grande del mondo dal punto di vista del marketing, della immediata copertura mediatica potrebbe anche funzionare, ma per quanto tempo? Magari dopo qualche mese in qualche città della Cina potrebbero decidere di innalzare una statua a chicchessia alta 100 metri e loro non dovrebbero nemmeno fare faticose collette. Un paradosso per dire che non è sul campo della megalomania che Rignano deve trovare il suo riscatto ma sulla unicità e irriproducibilità di quello che può offrire. La tendenza al gigantismo sta caratterizzando l’architettura di questi ultimi anni nei paesi del sud est asiatico, le cosiddette Tigri dell’Asia che si giocano il primato economico nel nuovo millennio e che simboleggiano la loro potenza innalzando costruzioni sempre più alte. Così come a Mosca è in progetto la realizzazione della costruzione più grande mai realizzata a celebrazione della rinascita della Russia. Ma Rignano non ha bisogno di mostrarsi grande, sensazionale, ma semplicemente così com’è puntando sull’irripetibilità delle sensazioni che un turista può vivere visitandola.
Allo stato attuale e per quel poco che capisco di turismo, la mega-statua riuscirebbe ad attrarre non più di qualche pullman di pellegrini ciociari o napoletani con panino al seguito, di ritorno da San Giovanni Rotondo.
Altra questione. Perché mai i pellegrini dovrebbero venire a pregare in una statua-chiesa quando hanno la possibilità di pregare sulla tomba di San Pio che dista solo 15 km? Perché mai dovrebbero sostare a Rignano per dormire quando per vedere l’imponente statua basterebbero dieci minuti?
Se si pensa che il turismo attratto dalla statua possa poi visitare il museo, Grotta Paglicci, etc..a pare mio si commette un grosso sbaglio perché significherebbe non tener conto delle motivazioni e delle diverse tipologie di turisti. La statua attirerebbe solo quel turismo che resta impressionato dal sensazionalismo delle dimensioni, dal turismo che si esaurisce nel giro dello scatto di una foto, da quello che si vede, si tocca e poi basta. Ma la frontiera di un turismo che porti reali benefici ad un territorio è un’altra. E’ il turismo che coinvolge i 5 sensi, il turismo di qualità. Il turismo di chi vuol vedere e conoscere, ascoltare e capire, assaporare, odorare. E i turisti di qualità stanno alla larga da ciò che è ripetibile in ogni altro luogo del mondo e avulso dal contesto.
Perché mai Rignano Garganico dovrebbe rinunciare ad una sua propria ricerca di sviluppo?
Perché non investire nella realizzazione di una rampa di lancio per deltaplani (cosa che mi pare in passato veniva fatta)?
Perché non insistere sulle potenzialità del museo di Grotta Pagliacci?
Perché non insistere sulla fruibilità almeno parziale di Grotta Paglicci?
Perché non puntare tutto sulla qualità delle produzioni tipiche artigianali e agro-pastorali?
Perché non fare di Rignano una cittadina dell’energia con l’eolico e il solare?
Perché non supportare e far crescere le piccole aziende che già ci sono?
Perché non pensare all’albergo diffuso e non alla costruzione di nuovi alberghi?
Perché non pensare all’apertura di ristorantini di qualità in una cittadina dove è difficile anche solo trovare un bar per prendere un caffè?
Perché non fare di Rignano un avamposto della modernizzazione tecnologica del Gargano visto che mi pare sia stato il primo comune garganico ad ovviare alla mancanza della copertura adsl con l’installazione di reti wireless?
Mi pare che Rignano nel corso degli anni abbia sfornato menti che hanno fatto onore alla cittadina. Non si tratta di un posto di caproni, tutt’altro.
Mi rendo conto che possono queste sembrare sempre le solite ricette ma se fino ad ora non hanno funzionato secondo le aspettative non vuol dire che non siano valide ma che probabilmente c’è bisogno di attuarle con maggiore convinzione e maggior organizzazione.
Attenzione. Non vorrei apparire come il passatista e antimodernista che pensa a ieri per l’incapacità di guardare al domani. Non penso che i giorni passati siano stati sempre e comunque migliori di oggi e che oggi sia sempre e comunque meglio di domani. Non è di questo che stiamo parlando. Ma della consapevolezza che i territori hanno una loro anima, una loro identità e quanto più questa viene conservata tanto più questa porterà benefici solo se la si saprà coniugare con l’innovazione e legarla all’economia.
Legare il nome di Rignano alla presenza di una statua gigante che dovrebbe portare i turisti (tutto da dimostrare) vorrebbe dire rinunciare definitivamente a quell’insieme di valori legati alla comunità e al territorio e legarsi ad un elemento di marketing decontestualizzato.
Proprio nel momento in cui si fa sempre più pressante l’esigenza di riportare San Pio ad una dimensione più spirituale e meno urlata con titoloni nei tg e sui giornali, si vuole prendere a prestito la sua immagine quasi come a volerla svuotare completamente della sua figura di uomo straordinario che tutti gli riconoscono a prescindere dal dono della fede, e farne un feticcio, un totem.
Mi dispiacerebbe molto se queste mie modeste riflessioni fossero bollate come una indebita intromissione negli affari rignanesi e se il mio intervento fosse tacciato di antimodernismo. Mi piacerebbe invece che attorno all’opportunità di realizzare o meno questa statua si intavolasse un dibattito sereno per valutare i pro e i contro che un’opera del genere comporta. Sarebbe necessario magari anche ascoltare il parere di esperti che potrebbero dare un parere sui trend del turismo, su quali sono le domande del turista moderno, e se la statua gigante risponde a queste domande. Ho l’impressione che per ora su questa idea ci sia stato poco confronto, almeno fuori da Rignano. Si tratta di decidere seriamente a quale modello di sviluppo Rignano vuole aggrapparsi per dare un’opportunità ai suoi figli. Una decisione che è troppo importante per essere delegata solo all’intraprendenza di qualche personaggio magari in cerca di visibilità. Bisogna avere la consapevolezza che quando si mette in gioco il destino di una comunità è molto difficile tornare indietro e quello che a qualcuno oggi potrebbe sembrare l’Eldorado potrebbe rivelarsi il definitivo colpo di grazia a quella comunità che ha la fortuna di vivere sul…BALCONE DI PUGLIA.
Michele Placentino
San Giovanni Rotondo