La 22esima edizione della ricerca annuale de «Il Sole 24 Ore» dedicata alla ‘Qualità della vita nelle province italiane’ è stata pubblicata nel bel mezzo del versamento di “lacrime e sangue” del Governo Monti
Sono in macchina e mentre lascio il Sud alle mie spalle, dirigendomi verso Roma, ascolto in radio con una certa tristezza la classifica delle provincie pubblicate dal Sole24Ore, con tanto di dati e statistiche che non fanno altro che confermare la situazione di disastro economico-sociale che si sta abbattendo nella nostra provincia.
Se la Provincia di Foggia, che già nel 2010 occupava il penultimo gradino, ora è proprio l’ultima e nemmeno le provincie calabresi o siciliane ci stanno più dietro.
La notizia non fa che confermare quanto quotidianamente un medio cittadino attento percepisce: i pessimi risultati per servizi, ambiente e per ordine pubblico, con un forte aumento dei delitti denunciati e un’incidenza dei furti di automobili, che risulta cinque volte maggiore rispetto alla media nazionale.
Un’amara verità che coinvolge non solo Foggia ma l’intero territorio Garganico.
Una classifica che si fatica ad accettare, ma che sottolinea una forte contraddizione se si pensa il nostro Gargano come paradiso turistico, come maggiore produzione italiana di pomodori, con San Giovanni Rotondo dov’è nata la Borsa del turismo religioso e Monte Sant’Angelo entrata quest’anno nel Patrimonio mondiale dell’umanità.
Un forte contrasto fra potenzialità del nostro territorio e le sfumature scure del caporalato che esiste e persiste nelle campagne del tavoliere, un turismo concentrato ad organizzare il numero di ombrelloni senza una seria promozione turistica, senza esaltare i tesori del subappennino dauno.
Un turismo religioso che fra fede e cemento è sempre più in crisi con numeri dimezzati per il Santo Pio. Un turismo, quello sangiovannese, senza proposte, progetti per lo sviluppo turistico di S. Giovanni Rotondo nel contesto del Gargano e della Provincia di Foggia.
Un’ulteriore mannaia è la violenza silenziosa che insanguina la montagna garganica. Storie di sangue e violenza che restano sospese ed anonime nel tam tam quotidiano della comunicazione.
Storie di scomparse come quella di Alessandro Ciavarrella che esce di casa dicendo a sua madre di andare a prendere un caffè con gli amici e che in una domenica mattina come tante scompare. Storie di faida garganica come quella del pregiudicato Michele Alfieri, 35 anni, che all’inizio del 2010 in pieno stile mafioso con cinque colpi al volto, esplosi da una calibro nove, davanti ad un bar in pieno centro a Monte Sant’Angelo, muore.
Storie come quella di Michele Mafrolla, 27 anni, ritrovato cadavere in un canalone tra Vieste e Mattinata.
La sanguinosa faida del Gargano, l’industria di morte e terrore, in 30 anni ha provocato oltre 35 omicidi, diversi casi di
lupara bianca e numerosi tentativi di omicidio.
L’aspetto meno comprensibile resta comunque l’abitudine e l’indifferenza che tutti noi abbiamo nel vivere in questa provincia e nelle nostre città.
Forse Moravia aveva ragione quando gli è stato attribuito il giudizio su Foggia come città più brutta d’Italia, ma nel momento in cui lo penso e scrivo mi piacerebbe contraddire la sua sensazione e illudermi che forse un giorno gli ultimi saranno i primi.
Berto Dragano