“Il Silenzio di Abram. Mio padre dopo Auschwitz”: la Shoah raccontata dal figlio di un sopravvissuto
Queste pagine vogliono essere un omaggio a mio padre, un uomo buono, e a chi, come lui, i più, ha testimoniato con il silenzio l’impossibilità di sgretolare il muro apparso ad un certo punto della sua vita, separandola definitivamente dalla successiva esistenza.
Marcello Kaloswki
Queste le parole che, in occasione della Giornata della Memoria, anticipano la presentazione de “Il silenzio di Abram – Mio padre dopo Auschwitz”, romanzo autobiografico di Marcello Kaloswki, che si terrà venerdì 24 gennaio alle 20.30 presso la sede dell’associazione culturale ProvoCult, alla presenza del sindaco Michele Crisetti.
Il silenzio di Abram è il racconto di un figlio che si assume il compito di dare voce al silenzio di un padre che è stato testimone di uno degli orrori più impensabili partoriti dalla mente umana: l’Olocausto.
Marcello Kalowski, scrittore per caso, per anni funzionario della Hebrew Immigration Aid Service, poi commerciante di orologi, ha vissuto la sua vita tra Italia e Israele, fino a quando, alla soglia dei 60 anni, ha affrontato quello che per lui è stato il cruccio della sua intera esistenza: scrivere, scrivere per riscattare quel padre divenuto ostaggio del silenzio, un silenzio che non poteva rimanere inascoltato.
Abram Kaloswki, nato nel 1925, ebreo polacco di Lodz, fu uno dei sei milioni di ebrei deportati nei campi di sterminio nazisti, a lui toccò Auschwitz, gli sopravvisse, ma dopo nulla fu più come prima, a seguito della liberazione approdò in Italia dove morì in un ospedale romano nel più assoluto anonimato.
“Ogni volta che posso chiedo a mio padre di parlarmi di Lodz, della sua famiglia, di Auschwitz. Nel farlo sollevo automaticamente la manica della sua camicia, mettendo a nudo il numero tatuato sul suo braccio. Mentre mi parla continuo a fissare quel numero che diventa uno schermo capace di trasformare istantaneamente le sue parole in immagini. Le poche cose che mi racconta, della sua infanzia felice, dell’abbrutimento nel ghetto che aveva prosciugato persino le lacrime che sarebbe stato giusto versare per la morte del padre, dell’ultimo sguardo rivoltogli dalla madre, degli incubi che popolavano le notti ad Auschwitz, me le dice sorridendo. Per i pochi che sono riusciti ad uscirne vivi, e sicuramente per mio padre, dopo Auschwitz è iniziata un’altra esistenza che in nessun caso è riuscita a costruire un ponte sospeso che li collegasse alla vita precedente. Sono io che debbo costruire quel ponte, perché la sua esistenza, subita e vissuta con coraggio, e le contraddizioni, le incertezze, le angosce, le sue debolezze acquistino il senso e la dignità che meritano”.
Prima di incontrare la cittadinanza, nella mattinata di venerdì 24 gennaio l’autore incontrerà gli alunni del Liceo Statale Maria Immacolata, per far sì che siano loro i primi testimoni della memoria, perché raccontando di tanta barbarie si possa aprire un varco nella speranza che mai più si ripeta l’orrore di quegli anni e soprattutto perché solo attraverso il ricordo possiamo mettere al riparo dall’oblio quello che quanti ancora continuano a negare e restituire onore e dignità a coloro i quali hanno avuto la sola colpa di essere venuti al mondo.