"La luna aggira il mondo e voi dormite”
dal blog di Lupo Sordo
Un nostro concittadino, alias Gaetano “Lupo Sordo”, con un blog tenuto su in maniera a dir poco brillante, mi stimola quasi quotidianamente la lettura dei suoi contenuti. Fra interviste immaginate e racconti a più mani, fra satira, ilarità e “vissuto”, è sempre un piacere "passarci". Mi ha particolarmente colpito il suo ultimo post, che di seguito pubblico, sulla vita dello scomparso artista Matteo Salvatore (gp)
Era di sera. Mio padre e altri due facchini furono chiamati per andare a scaricare alla ferrovia un vagone di calce viva. Noi stavamo tutti a letto. Mia madre non dormiva per la preoccupazione del nostro stomaco vuoto. Stava affacciata alla finestrella. Verso l’una di notte, avevano finito il lavoro alla stazione e l’appaltatore pagò i facchini. Le mani di mio padre e quelle degli altri due amici sanguinavano. Nella stessa notte, mio padre bussò alla porta di una donna che vendeva del pane e ne comprò quattro chili. Avevo quattro o cinque anni. Rientrò mio padre e io mi svegliai. Mio padre e mia madre tagliarono il pane, mentre Michele, Vincenzo, Maria, Matteo, Beatrice, Umberto dormivano ancora. Mia madre prese i pezzi di pane e li accostò alla bocca dei figli: "Svegliatevi, è arrivato tatà, ha portato il pane". Ci menammo come lupi a strappare il pane con la bocca. Si era fatta quasi l’alba, raggiunsi mia madre vicino alla finestrella e c’era la luna. Mia madre sussurrò: "Figlio mio, la luna aggira il mondo e voi dormite!". Io chiesi a mamma: "Che significa?".
"Eh, figlio mio… vuol dire tante cose!".
Inizio a raccontarvi questo libro, questa biografia di Matteo Salvatore dall’aneddoto finale, quando oramai si è scoperto tutto dell’uomo e dell’artista. Si è scoperta l’infanzia di estrema povertà, in un meridione, quello di inizio secolo, paragonabile quasi al terzo mondo. I giochi con gli amichetti (come li chiama lui), fatti per ingannare lo stomaco vuoto, le angherie dei signorotti locali, e il duro lavoro dei campi, sotto il cocente sole pugliese e agli ordini del soprastante (da cui prende il titolo una delle sue famose ballate), che impediva ai braccianti anche il solo abbeverarsi. Si conosce il maestro Pizzicoli, un musicista cieco che insegnò a Matteo a suonare la chitarra e col quale andava in giro a portare serenate.
Si passa attraverso l’emigrazione di Matteo dal suo paese natio per andare a Roma, dove iniziò facendo il mendicante nei ristoranti, sempre accompagnato dalla sua chitarra e dove, per molto tempo, abitò in una baracca.
Si arriva fino al riscatto sociale, alle prime incisioni, all’amicizia con Claudio Villa, alle tournee in Canada e al suo rapporto con le donne. Fino al ritorno ad una vecchiaia povera.
Matteo Salvatore, cantastorie di Apricena, comune al confine tra il Tavoliere e il Gargano, grazie alle sue ballate è riuscito a raccontare il disagio sociale del meridione povero. E’ stato un’artista amato dal popolo, con le sue ballate allegre (un pugliese a Roma, la bicicletta), ma è stato anche apprezzato dagli intellettuali, grazie alle sue struggenti ballate di vita contadina (Padrone mio, Lu Soprastante). Matteo Salvatore per molti anni è stato il cantante che rappresentava la Puglia in giro per l’Italia e per il Mondo.
Diceva Calvino: "noi dobbiamo ancora inventare le parole che dice Matteo Salvatore", io vi propongo una sua ballata:
Lu Bene mio
Va’ lu bene mio,
curre a mamma toje,
tu mo’ si l’ammore,
bella mia.
Io te vulevo bene
e te ne voje ancora,
tu mo’ si l’ammore
bella mia.
Se mammate nun vole,
nuje ce ne fuimme,
pigghiemo l’appuntamento,
bella mia.
Va’ lu bene mio,
curre a mamma toje,
tu mo’ si l’ammore
bella mia.
Dal blog di Lupo Sordo