LibriAmo a cura di Renata Grifa
Anche prima quando vedevamo, c’erano i ciechi, In confronto, pochi, i normali
sentimenti erano quelli di chi vedeva, quindi i ciechi si regolavano sui sentimenti
degli altri, non da ciechi quali erano, adesso, invece, stanno venendo fuori gli autentici sentimenti dei ciechi, e siamo appena all’inizio, stiamo ancora vivendo del ricordo di ciò che sentivamo,
non hai bisogno degli occhi per sapere com’è la vita di oggi.
José Saramago
Interessante col senno di poi.
Potremmo racchiudere in questa frase la valutazione di un romanzo che nel 1998 venne insignito del Premio Nobel per la letteratura.
La storia è nota a tutti. In un giorno qualunque in un Paese non ben precisato all’improvviso si diffonde la tragedia di un’epidemia senza cura, quella della cecità. Non è la cecità come noi la immaginiamo, scura, fatta di buio e di tenebre, è una cecità “bianca”, quasi lattiginosa, e dilaga…dilaga ovunque.
“la cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente”
Da qui in poi il “mal bianco” diviene la metafora di come l’umanità, privata di qualcosa che è dato troppo spesso per scontato, perda non solo il senso del vedere ma il senso dell’intero mondo intorno a se e ci rende la triste verità che non sempre una tragedia possa tirar fuori il lato migliore dell’uomo, ma al contrario viene qui portato all’estremo del cinismo e della crudeltà.
Un male che “non guarda in faccia nessuno” (notevole di come all’interno del romanzo vengano quasi ironicamente utilizzati i verbi del vedere e del guardare, così come la scelta di render cieco un oculista) e che condanna uomini e donne a quella perdizione che sembra essere senza ritorno.
Ne deriva un mondo dove vige la legge del più forte, dove la dignità non esiste più, dove persone spogliate di tutto, persino del proprio nome, si aggrappano all’unica parola d’ordine possibile: sopravvivere, “homo homini lupus”.
La domanda che indirettamente ricorre più e più volte tra le pagine è: e noi come ci comporteremmo se ci trovassimo al loro posto? Riusciremmo a non cadere così in basso, a salvare quella bontà che pensiamo di non poter perdere mai?
Così, quasi come un flusso di coscienza, senza punteggiatura che ostacoli la riflessione, va avanti la descrizione di una storia surreale che vuol “aprire gli occhi” su quanto crudele e brutale possa arrivare ad essere la mente umana.
Non sembra esserci spazio per un lieto fine, non si sa se la cecità è una condanna definitiva o una tragedia che ci serva da lezione.
“perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dico cosa penso, Parla, secondo non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”.