Il centro di studi intercontinentale, tempio di preghiera e di scienza, auspicato da Padre Pio compie 5 anni
“ISBReMIT è stato progettato per produrre terapie cellulari, terapie geniche e protesi costituite da biomateriali, tre branche molto innovative nel campo della ricerca che lo rendono praticamente unico. Non conosco altri istituti che possano fare la stessa cosa in un unico luogo, sia in termini di struttura che di competenze. Faremo ricerca rispettando completamente e totalmente le più stringenti regole dell’etica e della morale, a servizio e a protezione della vita umana”.
Con queste parole in un’assolata domenica di cinque anni fa veniva inaugurato quello che con il passare del tempo si è affermato come uno dei più importanti centri di ricerca scientifica internazionale e punta di diamante dell’intero complesso ospedaliero di Casa Sollievo della Sofferenza.
Era il 13 settembre 2015, a San Giovanni Rotondo nasceva l’ISBReMIT (Institute for Stem-cell Biology, Regenerative Medicine and Innovative Therapies).
Un centro di ricerca basato sull’esperienza del Prof. Angelo Vescovi, attuale direttore scientifico di Casa Sollievo della Sofferenza, che da subito ha posto le basi per far sì che quella struttura impiantata nel cuore del Gargano potesse accogliere una tra le sfide più ardue che la ricerca scientifica potesse affrontare, non solo la sperimentazione in senso stretto, ma anche il poter fare ricerca in un luogo territorialmente particolare.
Da quel giorno sono trascorsi anni di successi quasi inaspettati che hanno coinvolto medici e ricercatori che gravitano intorno ai laboratori di questo prestigioso istituto, dallo sviluppo di nuove terapie a base di cellule staminali per la cura delle malattie neurodegenerative, alla produzione di nanomateriali e biomateriali che segnano un importante traguardo nella frontiera della medicina rigenerativa, fino all’ultimo e importantissimo riconoscimento: la certificazione da parte dell’Agenzia Internazionale del Farmaco (AIFA) delle sperimentazioni cliniche di Fase 1, il che vuol dire che tutto ciò che il nostro centro di ricerca produce può diventare farmaco.
Cinque anni in cui quel centro di studi intercontinentali, tempio di preghiera e scienza, così desiderato da Padre Pio, non solo è diventato realtà ma ha superato qualsiasi aspettativa di realizzazione e sopravvivenza grazie soprattutto a quanti volevano quel centro di ricerca e hanno lavorato incessantemente per far sì che il progetto si realizzasse nella sua totalità.
E ancora oggi, a distanza di cinque anni, il motore che spinge quel centro di ricerca continua girare ogni giorno più forte, verso nuovi obiettivi e traguardi che possano dare soprattutto speranza a quanti si trovano ad affrontare malattie spesso quasi sconosciute. Vogliamo augurare Buon Compleanno all’ISBReMIT attraverso le parole del suo direttore scientifico, il Prof. Vescovi, che in occasione di questa giornata ha rilasciato una lunga e importante intervista pubblicata sul portale della Casa Sollievo della Sofferenza.
La scienza, quella vera, è fatta di tecnologia, filosofia applicata all’etica e alla morale umana – racconta Angelo Vescovi, direttore scientifico del nostro Istituto – e l’ISBReMIT è la dimostrazione che si può fare ricerca nel rispetto della vita dell’individuo. Nel giorno di questo quinto anniversario, l’augurio che faccio a tutti noi è continuare sempre a fare ricerca che rappresenta davvero il futuro dei giovani e dell’intero paese.
13 settembre 2020, cinque anni di attività del Centro di Ricerca ISBReMIT
5 anni in 5 domande (più una) al Prof. Angelo Vescovi
Il 13 settembre 2015, alla presenza del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, veniva inaugurato l’ISBReMIT (Institute for Stem-cell Biology, Regenerative Medicine and Innovative Therapies), quel centro di studi intercontinentale, tempio di preghiera e scienza così caro a San Pio, diventava realtà.
Da allora sono trascorsi cinque anni in cui la ricerca ha fatto passi da gigante, anni di lavoro e sperimentazioni che sono stati ripagati dagli importanti risultati ottenuti, anni in cui il centro di ricerca è diventato il fiore all’occhiello dell’intero complesso ospedaliero di Casa Sollievo della Sofferenza.
Per l’occasione abbiamo incontrato il direttore scientifico dell’istituto, il Prof. Angelo Vescovi.
1 – Prof. Vescovi, lei è Direttore Scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza nonché dell’Istituto Mendel di Roma dal gennaio 2010; ha quindi effettivamente visto nascere il Centro di Ricerca, l’ISBReMIT, istituto di ricerca scientifica ora di riferimento internazionale.
Oggi, 13 settembre 2020, il Centro compie 5 anni di operatività. Ripensando a quel 2015 e agli anni immediatamente precedenti quali sono state le maggiori difficoltà affrontate prima di poter giungere a quella giornata di inaugurazione che, come tante, resterà nella storia di questo paese e della Casa Sollievo della Sofferenza?
Sembrerà strano ma difficoltà grandi, se non quelle ordinarie, non ve ne sono state, e spiego il perché.
Provengo da una storia che è complessa e lunga. Sono stato fondatore e poi direttore di un altro Stem Cell Research Institute, quello del San Raffaele di Milano, un istituto di ricerca di un certo tipo ove il ricercatore per portare avanti il suo programma, nei limiti del possibile, ha il supporto logistico ed economico nei limiti di quello che l’istituto può dare.
Successivamente, e prima di “approdare” a San Giovanni Rotondo ho fondato un istituto simile, un po’ più piccolo, nella città di Terni, ove, è inutile negarlo, ho incontrato purtroppo difficoltà e resistenze significative.
Nell’arrivare in un posto come San Giovanni Rotondo, un posto che tutti chiamano il “sud profondo”, ci si attenderebbe di trovarsi di fronte ad una serie di problematiche ancora più complesse. in realtà, così non è stato, anzi… Infatti, al di la delle ovvie problematiche tecniche inerenti un progetto di questo genere, che è di una complessità folle, qui c’era la ferrea volontà di avere quell’istituto che si stava realizzando; c’è stato quello che io chiamo un humus positivo.
Questo centro di ricerca è cresciuto in 18 mesi; era una collina spoglia e, mi si creda, quando l’ho visto finito 18 mesi dopo, io stesso non credevo ai miei occhi.
Questo per dire, rispondendo alla rovescia, che se ci son stati dei problemi tecnici, strutturali e non da meno economici, tutto è stato superato grazie ad una volontà comune di avere il Centro, che è anche un po’ un’esperienza nuova per me.
Per poi capire i problemi bisogna capire come nasce ISBReMIT.
Il progetto risale al 2011 nell’ambito del PON (Programma Operativo Nazionale), quindi con finanziamenti CEE che vengono assegnati per progetti strategici.
L’ISBReMIT fu pensato a suo tempo con l’idea di avere un link, una connessione, tra l’ospedale di San Pio, con la parte clinica, e il Poliambulatorio, che comunque che fa ricerca di base con applicazione clinica, anche se indiretta, perché da li nasce la diagnostica. L’idea, insomma, era di un trait d’union tra clinica e ricerca il quale, quindi, il quale portasse ad un istituto di medicina traslazionale.
Ci siamo “inventati” questo progetto, che è unico perché in realtà al mondo non c’è un istituto così, e forse il vero problema è nato proprio dalla sua originalità e di attuarlo in Italia, un paese purtroppo poco aperto ad innovazioni così forti.
Il progetto ha ottenuto un finanziamento di circa 14 milioni di euro, la cui stesura originale prevedeva la realizzazione di un piano in più in altezza e il collegamento diretto con i laboratori del Poliambulatorio in modo da creare un’unica struttura e far sì che quello che è diventato un campus di ricerca a tutti gli effetti, avesse anche strutturalmente un collegamento interno. Dei 44 milioni di euro previsti furono assegnati, come detto, circa 14 milioni di euro. Il progetto, quindi, è stato rimodulato in funzione del finanziamento, e si è riusciti comunque ad ottimizzare i lavori e ad avvalersi dei più avanzati strumenti vitali al funzionamento dell’istituto stesso.
In 18 mesi è stato realizzato l’impensabile: il giorno in cui il Cardinale Parolin venne ad inaugurarlo, in ISBReMIT c’era gente che lavorava.
2 – Chi vi osserva da vicino sa che in cinque anni sono stati fatti passi avanti straordinari dal punto di vista scientifico, dalle sperimentazioni portate avanti senza sosta ai risultati ottenuti. Chi è fuori dalla comunità scientifica ha allo stesso modo percepito che in questo centro di ricerca qualcosa di grandioso sta accadendo.
Quale è stata l’evoluzione dei progetti in carico dal 2015 ad oggi e quali sono le prospettive e le speranze per il futuro?
L’Istituto si sviluppa su tre livelli; la prima struttura che è stata avviata è quella della cosiddetta cell factory – che sarebbe poi il laboratorio dove nascono le staminali per la terapia – una core facility interamente dedicata ad un’attività che è in primis finalizzata a produrre “cellule di qualità” clinica, veri farmaci per terapie avanzate. Si tratta di una procedura estremamente complessa la cui certificazione viene emanata da un’agenzia nazionale che è AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) la quale rappresenta e verifica le regole dettate dall’EMA (European Medicines Agency). I lavori, quindi, si eseguono secondo le regole europee e questa è stata la nostra priorità; non solo, l’AIFA in sede di ispezione ha immediatamente rilasciato la certificazione alla produzione di farmaci cellulari, cosa questa non facile né scontata ma da ottenere assolutamente per potere operare in ambito clinico.
Questo è un risultato ottenuto l’anno scorso ma che ha richiesto quasi quattro anni di lavoro.
Il passaggio successivo, e la notizia è di pochissimi giorni fa, è stata la verifica della produzione, ovvero la validazione della produzione delle cellule per i pazienti. Da ora, quello che si produce può esser “immesso” nei pazienti. Questo per dire che oggi siamo in produzione, siamo operativi; in altre parole il nostro ospedale è pronto per fare i trapianti.
Finalmente, e qui lasciatemi tirare un sospiro di sollievo, i prossimi trapianti non avverranno più fuori sede, quindi nella cell factory di Terni. Adesso tutto potrà essere fatto a San Giovanni Rotondo e questa è una delle cose a cui più tenevo. Siamo arrivati a quasi 11 anni di lavoro e questo progetto voglio vederlo finito.
Questa è la parte fondamentale, poi intorno alla struttura centrale sono cresciute altre attività di ricerca. Siamo riusciti a portare qui ricercatori che avevano incarichi importanti altrove, professionisti abituati a vivere all’estero o comunque nelle grandi città del nord, dove è innegabile che sia più facile lavorare. Professionisti che invece si sono trasferiti qui andando a formare un nucleo di ricercatori di qualità che ruotano specificamente intorno alla cell factory e che stanno portando avanti programmi di punta, soprattutto sulla parte oncologica sia dei tumori solidi che dei tumori liquidi, quelli del sangue.
La ciliegina sulla torta potrebbe essere l’avvio del finanziamento del CIS di Capitanata per circa 36 milioni. Se riuscissimo a farlo partire a breve, l’istituto potrebbe finanziarsi per i prossimi 5 anni, perché il progetto globale del centro di ricerca è strutturato affinché l’istituto fornisca servizi e ricerca all’industria nazionale e quindi col vantaggio che se c’è una cell factory possiamo fare tutto da noi. Parlo per esempio delle certificazioni di sterilità; facendo tutto “in casa” potremmo poi vendere lo stesso servizio all’industria ed altre cell factories ed entrare in un circuito in cui oggi ci sono solo due fornitori a livello nazionale in grado di fare queste certificazioni. Venderemmo un servizio che fungerebbe da autofinanziamento.
3 – A dicembre dello scorso anno dal palco del teatro Verdi di San Severo, in occasione del Concerto di Natale organizzato proprio a sostegno della ricerca scientifica, ci ha reso testimoni degli incoraggianti obiettivi raggiunti in questi anni, uno tra tutti il recente riconoscimento da parte dell’AIFA delle sperimentazioni cliniche di Fase 1 e in quell’occasione si parlò dell’avvio della Fase 2 qui a San Giovanni Rotondo prevista “ottimisticamente tra marzo e aprile”.
Quale è stato l’impatto della pandemia sul progresso della sperimentazione?
Impatto devastante!!!
Per un motivo semplicissimo, avevamo gli ultimi due pazienti da trapiantare ed era il pieno della pandemia, il picco. Impensabile procedere con un intervento chirurgico; siamo riusciti ad allungare la coltura delle cellule per due mesi, non senza problemi. Abbiamo comunque completato la fase 1 sulla sclerosi multipla a maggio, purtroppo non abbiamo potuto ancora continuare la parte sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Per la Fase 2 AIFA ci ha chiesto delle modifiche ai protocolli che abbiamo fatto, ma purtroppo questo ritardo si è sommato al ritardo causato dal Covid. Stiamo cercando di limitare i danni ma temo sarà di almeno un anno. Ma la fase 2 arriva, nel 2021, ma arriva.
Una Fase 2 che potrebbe sovrapporsi alla sperimentazione per le lesioni spinali, ma questo istituto è sei volte più grande quello di Terni. Possiamo farcela.
Inoltre ci sono altri progetti che non si fermano. Facciamo produzioni di terapie avanzate, produciamo cellule per i trapianti. Ricordiamo che la struttura core di ISBReMIT ha tre aree, e finora abbiamo parlato solo della prima, cioè quella delle cellule.
La seconda area è quella per la produzione dei nano materiali quindi delle nanotecnologie biologiche, qualcosa che va già oltre la nano medicina e che serve per fare le nano protesi su cui si mettono le staminali per fare i trapianti nel midollo spinale; quindi un’area per la produzione di protesi biologiche che si producono solo a San Giovanni Rotondo.
Infine, la terza delle aree, che ha lo stesso grado di contenimento necessario a coltivare virus pericolosissimi quale Ebola, è destinata alla terapia genica. E’ grazie ad una struttura cosi che ci è stato permesso di entrare nel network nazionale di Alleanza Contro il Cancro (ACC) per le immunoterapie, considerato che la manipolazione genetica delle cellule per fare l’immunoterapia contro i tumori, richiede una cell factory che abbia un’area di terapia genica. E di tali strutture in Europa ve ne sono davvero molto poche.
4 – Lei è nato in Lombardia e ha avuto esperienze nei più importanti centri di ricerca internazionali, si trova oggi a capo di un istituto situato territorialmente in una zona particolare, cosa significa avere una struttura di tale portata e importanza, qui, al Sud Italia?
Il gusto della sfida mi anima. Io ci tengo troppo a dimostrare adesso che si può fare.
È vero che purtroppo che nel nostro paese c’è un ristagno culturale, un atteggiamento un po’ retrivo nei confronti della scienza, ma io da qua non me ne vado finché non ho finito e fin quando non avremo dimostrato a tutti cosa è possibile fare quando si crede in opere finalizzate al bene dell’umanità.
E poi il Centro è un’ancora per tanti giovani che vengono qui, perché la ricerca si può fare anche qui e anzi la si può fare bene.
5 – San Pio parlando dell’Opera espresse la volontà e il desiderio di veder realizzato un tempio di preghiera e scienza, un binomio che se per qualcuno può sembrare improponibile, qui diventa quasi imprescindibile e si lega immediatamente con un altro binomio spesso dibattuto dal mondo scientifico, quello di ricerca scientifica ed etica.
Perché?
No, non è dibattuto dal mondo della scienza, è dibattuto da una parte, spero piccola, del mondo della scienza che si taccia di essere depositario del sapere universale, perché la scienza quella vera è fatta di tecnologia, filosofia applicata all’etica e alla morale umana, non deve essere necessariamente religiosa, ma deve essere inderogabilmente umana, e a quel punto scienza e fede cattolica coincidono senza alcuno sforzo. Non c’è nessuna scriminatura.
L’ISBReMIT è la dimostrazione che si può fare ricerca nel rispetto della vita dell’individuo.
E noi lo facciamo in due modi molto semplici.
Primo, il trapianto di staminali cerebrali da decesso spontaneo in utero, che è una cosa che si fa solo qui in tutto mondo, non esiste altrove sul globo terracqueo e, secondo, la riprogrammazione di una parte delle cellule del corpo a produrre cellule di un’altra parte del corpo in modo tale da non aver bisogno degli animali.
Science, il New York Times, il World Economic Forum ci portarono alla ribalta, poi i soliti noti cercarono di smentirci, di dire che la conversione di cellule adulte di un parte del corpo in quelle di un altro era un artefatto. Poi fortunatamente è arrivato Yamanaka, Shinya Yamanaka (Premio Nobel per la medicina nel 2012, ndr), che ha dimostrato che non solo si può fare quanto appena detto, ma che si possono davvero riprogrammare le cellule per fare dalla pelle qualunque tipo di cellula senza passare dall’embrione, eliminando non solo il problema etico, ma anche quello del rigetto.
Il prossimo progetto è la certificazione di grado clinico del processo che fa sì che si prenda una parte di epidermide e la si cambi in cellule staminali cerebrali facendo i trapianti che ora stiamo effettuando ma utilizzando le cellule del paziente stesso come donatore. Stiamo parlando di trapianto autologo per cui in questo momento inizia il percorso di certificazione del metodo e ci vorranno 2 anni circa.
Poi abbiamo completato una sperimentazione sui tumori cerebrali che è andata oltre ogni più rosea previsione.
5 + 1: Per questo quinto compleanno qual è l’augurio che si sente di fare alla ricerca scientifica italiana e ai suoi numerosi ricercatori?
Non voglio essere populista ma da sempre quando si parla di tagli la prima spesa che viene tagliata riguarda i fondi alla ricerca scientifica e questo non è un buon sintomo. Deve cambiare la struttura del sistema, non si può pensare a posizioni lavorative nella ricerca che diventano a vita a prescindere da quello che si produce. La seniorship, come negli Stati Uniti, te la devi guadagnare e devi essere soggetto a valutazione ogni x di tempo. I sistemi che sono a vita non sono la strada da perseguire.
Ad oggi l’unica speranza è di tenere il piede un po’ fuori dallo schema generale, di collaborare a livello internazionale, fino a quando non ci sarà questa inversione di marcia nel sistema, perché non ho timore a dire che trovo vergognoso il modo di cui sopra, che ha parte di questo Paese di porsi nei confronti dei giovani ricercatori e della ricerca.
L’augurio che quindi faccio è che cambi la mentalità nei confronti della scienza e della ricerca, perché è veramente assurdo continuare ad ignorare che la ricerca è davvero il futuro dei giovani e dell’intero Paese.
rg, gp