Novembre
A cura della dottoressa Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
Da pochi giorni è iniziato novembre, mese dedicato alla commemorazione dei defunti. Mentre via della rimembranza si ripopola di parenti e amici, è probabile che durante il tragitto si riattivino ricordi e vissuti relativi al lutto. Indipendentemente dalla religione che ognuno di noi professa, il tema della morte, in quanto uomini, porta con sé numerose riflessioni e il lutto ad esso connesso è assolutamente soggettivo e influenzato dal vissuto personale di ognuno.
Cosa intendiamo per lutto?
Così Galimberti definisce il lutto e da questa definizione si evince come il lutto equivalga ad una perdita e al processo che questa innesca, indipendentemente che sia la morte di una persona cara, di un animale, della perdita del lavoro o della fine di una relazione.
Ma cosa perdiamo?
Oltre la separazione fisica, che già di per sé è un’esperienza dolorosa che incide sul nostro stato d’animo e sul proseguimento della nostra vita, vi è una perdita significativa sul senso del nostro essere in relazione proprio a quella persona o a quella situazione. Infatti, quando perdiamo qualcuno, viene a mancare ciò che noi eravamo con e per quella persona, e quelle parti di noi che “venivano fuori” proprio con quella persona. Si potrebbe dire che perdiamo una parte di noi stessi. Ragion per cui l’elaborazione del lutto prevede che vi sia una prima fase di accettazione dell’accaduto, imprescindibile per poter successivamente passare in una fase di ristrutturazione della propria vita.
Il dolore della perdita tendenzialmente si presenta nelle prime fasi ed è solitamente di un’intensità tale che spesso la persona si sente annientata. La modalità di reazione, ovviamente, è assolutamente personale, e in parte dipende dal proprio vissuto circa il tema dell’abbandono e della morte.
Mentre alcuni permangono in questo stato di smarrimento più o meno a lungo, talvolta annegandoci, altri negano completamente la propria sofferenza, non concedendosela, spesso impiegandosi in mille attività, travestite da indifferenza o freddezza, che avrebbero la funzione di proteggere il proprio Io dall’eccesso di dolore.
Ma la sofferenza e il dolore sono lì, insieme a tutte le altre emozioni conseguenti all’esperienza della perdita, pronte ad emergere, talvolta ad esplodere senza preavviso e senza contestualizzazione alcuna.
Altre volte ancora, la sofferenza così profonda non può trovare espressione attraverso la parole, per cui si fa spazio e trova espressione attraverso un sintomo dell’anima o del corpo.
Il lutto in quanto esseri umani, soggetti in relazione, è un’esperienza che prima o poi noi tutti siamo destinati a fare. Il lutto è un “lavoro” – come lo definisce Freud – che consiste nel prendere atto che l’Altro non c’è più e nel ritiro e disinvestimento sentimentale dallo stesso. Non è certo una discesa indolore, una toccata e fuga, bensì un’operazione che richiede di tempo ed energia.
Il viaggio di ricerca e scoperta di questa sofferenza attraverso un’attenta analisi di sé, rappresenta una modalità per imparare ad affrontarla senza soccombere. Il primo passo è rappresentato senza dubbio dalla possibilità di riconoscere e potersi concedere le emozioni suscitate dalla perdita, non temendo il giudizio e non temendo soprattutto il dolore, poiché esso necessita di trovare forme di espressione per divenire tollerabile e poi dissolversi, per divenire pian piano compagno di viaggio meno scomodo…. Ciò non vuol dire dimenticare la persona perduta, ma integrare il suo ricordo nella propria esperienza esistenziale.
Dando voce al dolore, alla rabbia, alla colpa, alla frustrazione ci si permette di poter elaborare la perdita accettandola, per poi concedersi di proseguire la propria vita con nuovi equilibri e nuove consapevolezze.
E se questo non fosse possibile? Se non si riuscisse a dar voce al proprio dolore? E se quel dolore fosse troppo da sopportare?
Non abbiate paura di chiedere aiuto…