La rana bollita: adattamento o sopravvivenza?
A cura della dottoressa Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
La rana ha adattato la propria temperatura corporea a quella dell’acqua e, una volta vicina all’ebollizione, non ha però più avuto la forza di saltare fuori perché troppo stanca per regolare la propria temperatura.
Cosa ti fa pensare questa storia? Cosa ha impedito alla rana di salvarsi? E cosa le ha impedito di saltare fuori dal pentolone prima che fosse troppo tardi?
La metafora in questione è stata elaborata dal filosofo Noam Chomsky per indicare l’attitudine dei popoli ad adattarsi e accettare situazioni sfavorevoli, negative e opprimenti. Viene usato specialmente in sociologia per descrivere alcune dinamiche di potere, soprattutto moderne, nelle quali vengono cambiate le regole della società, procedendo per step, facendo abituare lentamente le masse anche a conseguenze avverse e sfavorevoli.
Tuttavia, questa metafora sottende un principio che spesso caratterizza l’uomo moderno e la capacità dell’essere umano di adattarsi a situazioni spiacevoli senza reagire, si può applicare a tante situazioni che ci troviamo ad affrontare nella quotidianità.
Infatti, capita a noi tutti di sopportare situazioni poco piacevoli
subordinando il nostro benessere emotivo, rispetto a necessità che consideriamo
più importanti e alla lunga tali situazioni diventano fonte di malessere e
insoddisfazione, sfociando talvolta in condizioni di vera e propria sofferenza.
Eppure ciò che ha ucciso la rana non è stata l’acqua bollente, ma la difficoltà a decidere quando saltare, cosi come spesso non sono le situazioni nelle quali ci troviamo ad essere distruttive di per sé ma la nostra difficoltà a lottare o decidere di sottrarci rispetto alle stesse e proseguire verso ciò che invece sono i nostri desideri più profondi.
Ciò che inibisce l’azione è la paura di apportare cambiamenti, lasciare andare il noto per dirigerci verso l’ignoto.
Ragion per cui preferiamo permanere in una condizione di stasi, che non ci gratifica o non ci rende felici, per il timore di rimetterci in gioco e modificare delle vecchie, ma rassicuranti routine ed abitudini, in nome di un apparente benessere.
Proprio come la rana che per salvarsi avrebbe dovuto cambiare la sua situazione e saltare fuori dalla pentola, non adattandosi all’acqua fintantoché è diventata insopportabile, perché la paura di cambiare sembra ancora più spaventosa dell’acqua bollente.
Ed ecco che non è infrequente, che diventiamo contenitori poco attivi di frustrazioni, rabbia, disagi e paure, che represse e sepolte da un apparente adeguamento vengono con il tempo espresse attraverso varie forme di dolore e conseguenze ancor più spiacevoli.
Sebbene adattarsi sia una qualità e capacità molto importante che consente all’uomo di vivere in armonia con il proprio ambiente, accettare qualunque cosa, adeguandosi e non rispettando più i propri bisogni e desideri, diventa una forma di sopravvivenza necessaria a non soccombere, ma che rischia di farci ribollire nelle nostre paure dimenticando chi siamo e cosa vogliamo.
Sebbene i cambiamenti possano essere inizialmente spaventosi, per evitare di adagiarti ed adeguarti a tutti i costi, è importante riconoscere la propria sensazione di malessere in una situazione che ormai si fatica a modificare ed essere consapevoli che siamo liberi di scegliere di fare pensieri nuovi, di agire liberamente, di lasciare andare, di “sbagliare” e ricominciare. Solo così possiamo fare spazio dentro di noi all’idea del cambiamento, accettandolo e non più schivandolo. Certamente non è un percorso semplice e non accade dall’oggi al domani, ma è possibile innanzitutto se iniziamo a coltivare l’amore ed il rispetto per noi stessi, non accettando più passivamente ciò che accade ma diventando sempre più consapevoli e determinanti nella direzione che vogliamo che prenda la nostra realtà.
Non aspettare che l’acqua cominci a bollire, è il momento di saltare fuori!