"This Is England"
Recensione di Carmela
Fabbricatore
Se c’è una cosa che gli inglesi portano
dentro senza dimenticare, sono i terribili anni di Margareth Tatcher. Quelli
della guerra delle Falkland, quelli della disoccupazione, degli scioperi
violenti. Quelli degli skinhead nazionalisti e delle Dr. Martens.
Negli anni
’80, essere un ragazzino adolescente inglese di provincia non è facile:
soprattutto se non sei ricco, se a scuola c’è sempre qualcuno più grosso di te
pronto a pestarti e specialmente se tua madre non ti capisce. In un contesto
così inospitale, allearsi con il più forte sembra essere l’unica chiave per la
sopravvivenza e la tranquillità. Ed è quello che fa il piccolo Shaun,
tredicenne orfano di padre, che si lascia trasportare nell’ambiguo e violento
mondo skinhead senza alcuna esitazione. Perché lì si sente accettato, si sente
una persona speciale.
Con il suo This Is
England, Shane Meadows ci offre un crudo punto di vista sulla realtà
suburbana inglese dei primi anni ’80, spesso contraddistinta da ferocia e
brutalità gratuite. Gli occhi del piccolo Shaun diventano testimoni oggettivi
di un ambiente violento, ma che sa farti sentire parte di una famiglia. Meadows
è bravo, perché non si accolla l’ingrato compito di separare ciò che è giusto
da ciò che è sbagliato, ci lascia una zona grigia da analizzare e su cui
riflettere: se anche il più spietato tra tutti piange per un amore non
ricambiato o se il capo di una banda di teppisti difende un ragazzino dagli
insulti altrui, come si può segnare una linea netta di demarcazione tra buoni e
cattivi?
Punto di forza del film, la fedele
ricostruzione di mode, ambienti e scenari. Persino la fotografia a tratti
sfumata e sgranata, ricorda quella dei film a basso costo dell’epoca. I brani
che compongono la colonna sonora aiutano a immedesimarsi nella storia, al punto
che ben presto si dimentica di vivere ai nostri giorni e si viene proiettati
indietro negli anni come se avessimo una macchina del tempo.
Spesso il tono smette di essere
cinematografico e diventa documentaristico, segno che l’intento finale non era
solo quello di raccontare una storia, ma di usare quella storia per dare uno
sguardo d’insieme all’epoca e agli avvenimenti che l’hanno contraddistinta.
Il finale, additato da molti come
didascalico e non all’altezza delle premesse del film, riesce comunque ad
essere soddisfacente, sia grazie all’ottima interpretazione del piccolo Thomas
Turgoose, sia perché omaggia Antoine Doinel (e tanti altri come lui) e questo
non può che essere incluso tra i meriti.