Recensione di Carmela Fabbricatore
La stagione cinematografica autunnale riserva ai cinema più fortunati un gioiellino proveniente direttamente dalla Francia, firmato dalla ventisettenne Céline Sciamma.
Tomboy, il titolo del film, che tradotto dall’inglese vuol dire maschiaccio. Curioso abbinamento quello di un titolo inglese per un film francese, visto l’ancestrale attaccamento alla lingua da parte dei nostri cugini d’oltralpe e vista anche l’eterna rivalità con la cultura d’oltremanica.
La Sciamma in un’intervista è stata chiara: “(…) il mio film si pone forse nel mezzo tra la tradizionale narrazione francese e la messa in scena anglosassone. Volevo tracciare un ponte tra due cinematografie.”
E ci è riuscita perfettamente, vediamo perché. Laure è una ragazzina di circa dieci anni che si trasferisce in una nuova città con mamma, papà e la sua piccola sorellina di 6 anni. E’ estate e manca ancora un po’ all’inizio della scuola. Laure ha così la possibilità di fare amicizia con i bambini del quartiere: superando la naturale timidezza iniziale, riuscirà ad essere accettata nel gruppo, vivendo insieme agli altri una stagione felice, piena di giochi sinceri, corse nei boschi, nuotate al fiume e primi innamoramenti.
Ma c’è un piccolo dettaglio. Laure ha detto a tutti di essere un ragazzo e di chiamarsi Mikael. E, in effetti, nessuno direbbe mai che si tratta di una bugia: un fisico mascolino, capelli corti, uno sguardo vivace e acuto, da cui traspare quell’impazienza di scoprire il mondo tipica della preadolescenza. La giovane regista francese osa, osa molto e crea un film su uno degli argomenti in assoluto più difficili da affrontare: le prime avvisaglie di una crisi nell’identità sessuale, che generalmente si manifestano proprio nel passaggio tortuoso dall’infanzia all’adolescenza.
Nulla è lasciato al caso: si indaga, si scandaglia, si approfondisce ogni piccola sfaccettatura dell’io fanciullesco. Dalla complicità con la sorellina più piccola al rapporto con i genitori, che accettano la situazione della figlia come un dato di fatto che non si può ignorare né di cui si può dare la colpa a qualcuno. Se da un lato il tema trattato è tipico della tradizione cinematografica francese, che da sempre ha focalizzato la sua lente di ingrandimento su gioie e disagi dell’infanzia, dall’altro non si può non notare uno stile asciutto tipicamente anglosassone, con quelle immagini silenziose e cariche di un simbolismo raffinato.
Nonostante la complessità dei temi trattati, il film scorre via leggero: si viene dolcemente trasportati nella storia con grazia, è un planare arioso tra sentimenti nascosti e audaci. Come se si fosse trasportati da una brezza mattutina, partecipiamo all’intensa storia di Laure senza sofferenza apparente. Tomboy è un film intelligente, brillante e penetrante, l’ennesimo prodigio del cinema indipendente.