Recensione di Carmela Fabbricatore
Da circa due anni e mezzo le cronache quotidiane sono intrise di notizie economiche relative alla crisi dei mercati finanziari internazionali: ormai abbiamo fatto l’abitudine nel vedere giornalisti che rendicontano delle perdite di borsa come se stessero annunciando danni di guerra, appropriandosi di quei toni tipici della cronaca nera più tragica.
Vocaboli gergali come spread, debito pubblico, derivati, rating, fanno parte del nostro vissuto giornaliero, ma, il più delle volte, la difficoltà nel comprendere i sottili e complessi meccanismi della finanza fa sì che quelle parole rimangano lì sospese, come entità nel vuoto, a cui non si riesce a collegare nell’immediato un concetto pratico ben preciso. E d’altra parte, perché mai una casalinga, un operaio, un medico, un pensionato dovrebbero avere consapevolezza di nozioni così strettamente legate ad un particolare ambito professionale?
Se si pensa alle ripercussioni della finanza sull’economia reale, non si faticherà a trovare la risposta. Inflazione, disoccupazione e pressione fiscale rappresentano risvolti chiave della crisi, concetti percepibili nettamente anche da chi di finanza non ne sa un bel nulla.
Eppure, se ciò è chiaro più o meno a tutti, meno chiare sono le cause e gli ingranaggi che hanno portato a tale degenerazione. E ancora più difficile risulta dare un nome e cognome ai reali responsabili del crollo delle economie mondiali, persone che, per la loro sconsideratezza, hanno portato in breve tempo interi Paesi sull’orlo del collasso, impoverendo sempre di più i più deboli e privando un’intera generazione di sogni e speranze per un futuro migliore.
A questo proposito, non si può di certo restare indifferenti di fronte all’importante lavoro documentaristico dello statunitense Charles Ferguson, che con il suo Inside Job, si propone di fare chiarezza e di ricostruire passo dopo passo il quadro degli eventi che hanno portato alla crisi dei mutui subprime e al successivo tracollo dei più importanti intermediari finanziari americani. Tracollo a cui è conseguito un effetto domino che ha provocato, in taluni casi, il collasso delle più importanti economie mondiali.
Ferguson parte da lontano, dalla deregolamentazione reaganiana degli anni ’80, passando per l’era Bush, fino al neoliberismo spietato dell’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, dimostrando come nel corso degli ultimi 30 anni i guru della finanza di Wall Street si siano letteralmente “infiltrati” nel sistema di Governo degli Stati Uniti, determinando una serie infinita di provvedimenti e di politiche volte ad incrementare esponenzialmente i profitti del sistema finanziario. Un sistema dove l’unica regola era ed è “fare soldi”, dove le necessità degli utenti/consumatori non vengono mai al primo posto, dove cocaina e prostitute fanno parte del ciclo di tangenti necessarie per perpetuare i meccanismi della speculazione. Ma Ferguson si spinge oltre. Fa nomi e cognomi, correda di interviste inquietanti il suo lavoro, dimostra come l’avidità, la lussuria e la brama di potere hanno condizionato le sorti dell’intero sistema economico mondiale.
E quando nel finale si capisce che i responsabili della catastrofe sono stati identificati, ma rimangono impuniti per qualche strana ragione (e continuano a portare avanti i loro perversi giochi di potere), non si può fare a meno di essere sdegnati e incolleriti. L’eloquenza del sottotitolo italiano al film, Chi ci ha rubato il futuro, non rende necessari ulteriori commenti alla portata devastante degli eventi narrati.
Vincitore del premio Oscar al miglior documentario nel 2010, Inside Job è una visione consigliatissima a tutti coloro che sentono l’esigenza di capire gli automatismi del momento storico che stiamo vivendo: un film divulgativo che consente di avere una chiara visione d’insieme senza che vi sia necessità di possedere particolari conoscenze di settore.