Recensione di Carmela Fabbricatore
Cinematograficamente parlando, non è certo una trama che brilla per originalità quella di Restless, ultimo film del pluripremiato regista francese Gus Van Sant.
Enoch è un adolescente ribelle orfano di entrambi i genitori. Un tipo scontroso, che ha per unico amico il fantasma di un kamikaze giapponese della seconda guerra mondiale (Hiroshi). Coltiva una passione segreta per le cerimonie funebri e proprio ad uno di questi eventi incontra Annabel, una simpatica biondina appassionata di natura, uccelli e insetti e che, apparentemente, è stramba quanto lui.
Nonostante un primo iniziale rifiuto di amicizia da parte di Enoch, tra i due si stabilisce un rapporto molto tenero e giocoso, che, in qualche modo, sembra alleggerire l’infelice situazione di Annabel, malata di cancro terminale.
Sembrerebbe una storia già vista un milione di volte, di quelle lacrimevoli, che, nelle mani sbagliate, avrebbe pure potuto tradursi in un dramma languido e deprimente. Il pericolo in Restless è sfiorato, ma al contempo, schivato con destrezza.
E’ curioso notare come, dopo la parentesi politico-sociale di Milk, Van Sant si cimenti, ancora una volta, nel raccontare i lati più oscuri e inesplorati dell’essere giovani adolescenti: in Good Will Hunting si era messo in risalto l’impeto ribelle, in Scoprendo Forrester l’essere incompresi, in Elephant e Paranoid Park, l’ anima più violenta e incontrollata.
Questa volta ad essere sotto la lente d’ingrandimento è il rapporto con la morte, che, in maniera complementare, unisce i due protagonisti. Annabel (interpretata da un’ottima Mia Wasikowska) tenta di familiarizzare il più possibile con essa, in maniera piuttosto serena, essendone personalmente interessata. Enoch, al contrario, la “subisce” da spettatore esterno, impotente, che possiede dentro di sé tutta quella sofferenza mista a rabbia di chi sopravvive ai propri cari.
Annabel e Enoch si incontrano un po’ a metà strada in questo strano processo di avvicinamento/distacco nei confronti della morte stessa, che si concretizza anche nella loro particolare predilezione per le cose macabre, come il partecipare ai funerali altrui per puro svago (con un fare che molto ricorda Harold & Maude) o lo stare fermi nell’obitorio a fantasticare sulle storie dei cadaveri che vi sono riposti.
Il modo in cui Van Sant riesce a tradurre in immagini l’intimità che si crea tra i due ragazzi ha del sorprendente: si riesce a partecipare al loro processo di condivisione di pensieri, esperienze ed emozioni con estrema naturalezza. Fondamentale la presenza di una colonna sonora che ben si sposa alle inquadrature, soprattutto a quelle silenziose fatte di soli sguardi e che sembrano penetrare l’interiorità dei protagonisti, lasciando le loro anime nude ai nostri occhi.
Ma non è un film privo di difetti Restless. Toni tipicamente hollywoodiani (come la carrellata di flashback finale) si frappongono in maniera dissonante e fastidiosa ad uno stile generalmente essenziale ed asciutto.
Menzione speciale invece va alla nascente stella del cinema Henry Hopper, figlio d’arte del compianto Dennis, ma senza dubbio dotato di luce propria, brillante nella parte di Enoch per la quale ha dato prova di particolare sensibilità interpretativa.