Ma quali sono le colpe dei giovani ?
Articolo 18, bamboccioni, posto fisso, monotonia e addirittura sfigati : sono questi gli epiteti e le battutaccie che dal 2007 ad oggi hanno accompagnato la questione giovani nei discorsi della politica. Una satira di cattivo gusto, intrisa di stereotipi che viene magicamente in campagna elettorale, quando i giovani divengono improvvisamente il futuro e il fulcro di tante attenzioni simili a millantate promesse.
Era il 2007 quando l’allora ministro delle Finanze del governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa definì “bamboccioni” i giovani che restavano a casa dei genitori invece di rendersi autonomi e indipendenti. Poi c’è l’annoso e ciclico discorso sull’articolo 18 la cui abolizione è legata chissà come e perché alla disoccupazione giovanile, e via via fino alla monotonia del posto fisso dichiarata dal presidente del consiglio Monti, continuando con un vice-ministro che definisce “sfigati” i giovani che a 28 anni non sono laureati, per finire con la ministra Cancellieri che ha sentenziato sui giovani che pretendono il posto vicino “a Mamma e Papà”.
Quindi, sembra che improvvisamente i giovani da futuro di una nazione siano passati ad essere una zavorra, un baluardo contro la modernizzazione. Da “vittime” che subiscono e subiranno sulla loro pelle, gli squilibri, le nefandezze e gli sperperi delle generazioni precedenti, sono finiti con l’essere loro stessi il loro problema e colpevoli di tale problema. E beffa delle beffe, detto proprio da rappresentanti di quelle generazioni che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, spostando sempre più avanti nel tempo i nodi, che oggi inevitabilmente sono venuti al pettine. E’ davvero troppo grande come burla, soprattutto perché parliamo di ragazzi che lavoreranno con meno garanzie, meno tutele, che pagheranno le pensioni di chi li ha preceduti, e che probabilmente la loro pensione non la vedranno mai.
La politica “Ufficiale” e la politica dei “Professori” continuando a denigrare i giovani, il posto fisso, e i bamboccioni sfigati, in realtà tentano di sovvertire l’ordine delle cose reali, quelle vere che non si troveranno mai nei salotti televisivi della politica. Perché le cose reali dicono altro.
Dicono innanzitutto, come riportato da diversi sondaggi (non ultimo quello di Mannheimer per il corriere), che solo il 30% dei giovani spera nel posto fisso, il che evidenzia che c’è un enorme 70% che non pensa più al posto fisso, e che un 60% vede il proprio posto di lavoro come temporaneo, e che fra qualche anno avrà cambiato lavoro. Quindi pur nell’ipotesi che il posto fisso sia monotono, i giovani sono già proiettati oltre, ed è una menzogna già il solo associare giovani e posto fisso. Anche perché per i giovani è già tanto che esista un posto di lavoro, vista la disoccupazione giovanile intorno al 30%, con picchi del 50% al sud.
Il presidente del consiglio ha definito poi “monotono” il posto di lavoro e ha dichiarato che cambiare lavoro sia uno stimolo. In linea generale si può anche essere d’accordo, ma il problema è un altro. Il problema è che prima di parlare del “diavolo” posto fisso, bisognerebbe rivedere tutti i meccanismi a monte del problema lavoro/futuro.
Bisognerebbe, ad esempio, rimodulare e riformulare i meccanismi a base dell’erogazione dei mutui per la casa. Ad oggi le banche se non leggono in busta paga la dicitura “contratto a tempo indeterminato” non erogano un centesimo. Inoltre in un sistema economico che non produce posti di lavoro, e sbocchi occupazionali, come si può solo pensare di “cambiare lavoro” per avere nuovi stimoli? E ancora, l’art. 18 non sancisce l’impossibilità di licenziare in assoluto, chiariamolo. Ma bensì presuppone una giusta causa alla base del licenziamento. E allora non avrebbe più senso stabilire e rivedere quali siano le giuste cause concretamente, e non in modo arbitrario, piuttosto che cancellare tutto l’articolo 18, che è una doverosa e dolorosa conquista dei lavoratori? Inoltre il cosiddetto posto fisso, non vincola il lavoratore, il quale se dovesse trovare mai un posto di lavoro più stimolante e renumerato, non ci penserebbe due volte a dimettersi e cambiare lavoro.
Ma l’approccio governativo è capovolgere le questioni, coprire dietro chissà quali furbizie argomentative la realtà delle cose. Quali siano le reali colpe dei giovani, non ci è dato sapere; i sondaggi dicono che essi sono già oltre gli stupidi clichè del politichese moderno. Il fatto probabilmente è un altro. E’ che La politica, sia essa quella del “Mestiere”, sia quella dei “Professori” non ha nulla da offrire ai giovani, non ha nulla da dire ai giovani. Anzi. Invece di chiedere un minimo di scuse, per i propri sperperi, per i propri privilegi, per la condizione avvilente in cui gli ha ridotti, pretende persino la presunzione di doverli anche bacchettare, insultare e denigrare. Forse perché consci della potente arma sociale dell’infotainement, dei tronisti, e dei calciatori, pensano, e ottengono effettivamente, di allontanare quello che i giovani dovrebbero fare realmente. Fare quello che altri giovani prima di loro hanno fatto: prendersi il proprio futuro, e disegnarlo sui propri valori. L’unico errore dei giovani è forse questo: assistere immobili alla grande “normalizzazione” della crisi e della precarietà ad opera di lobby economiche e banche d’affari.
Pio Matteo Augello