Come nasce la festa più colorata dell’anno
Il Carnevale, la festa più colorata dell’anno. Diverte grandi e piccini ed è un vero momento di condivisione che da’ spazio alla creatività con le tante maschere che si indossano durante i giorni di festa. Vi raccontiamo le origini della festa, le maschere più note in Italia e a San Giovanni Rotondo.
Etimologia e origini
L’etimologia della parola Carnevale, deriva dal latino Carnem Levare, cioè togliere la carne e sta ad indicare il digiuno a cui la gente si sottopone in Quaresima, il periodo che inizia il giorno successivo alla fine del Carnevale.
Considerata la festa dell’allegria e dell’esagerazione per eccellenza, permetteva, in origine di sovvertire l’ordine naturale delle cose, di creare il caos attraverso mascheramenti.
Febbraio era il mese che segnava il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo, inizia la semina e bisognava purificare terreni e anime. Proprio del nome, Febrarius, da Februare cioè purificare, iniziavano i riti di purificazione a cui s’intrecciavano i riti della fecondazione, i Lupercoli.
Durante questi riti, si sacrificavano gli animali, capre per lo più, ci si mascherava con le loro pelli e si “rincorrevano le donne” facendo scherzi di ogni genere.
Dello stesso periodo sono i Saturnali, della Roma antica pagana, festeggiamenti in onore di Saturno, in cui, per sette giorni, in tutta la città ci si dava alla pazza gioia con esagerazioni di ogni genere.
Il Re dei Saturnali, quando i festeggiamenti erano giunti al termine, veniva sacrificato per purificare tutti da questo stato di esaltazione.
Oggi c’è il processo o il funerale del Carnevale.
Dal Medioevo, la Chiesa, non proibì le feste contadine e popolari, ma, ovviamente ne bandì il lato pagano.
Le maschere più conosciute
Arlecchino
Nel Medioevo era una maschera paurosa e diabolica; alla fine del Cinquecento divenne furba e intelligente.
Balanzone
E’ uno dei due vecchi della commedia dell’arte e appare già nella commedia cinquecentesca. Vesta la toga con collare bianco alla spagnola, cappello nero a grandi falde; porta sotto il braccio libri voluminosi e polverosi.
Colombina
Appare già nel 1530 nella commedia dell’arte. Moglie o amante di Arlecchino, svolgeva la parte di servetta vivace, civetta e furbissima.
Gianduja
Si tratta della maschera piemontese più famosa nata per opera del burattinaio Gian Battista Sales nel 1798. Gianduia era un contadino di animo buono e generoso ma anche furbo e astuto, amante della buona tavola e del vino.
Pantalone
Veneziano, è un mercante dipinto inizialmente vecchio, avido e tirchio, poi trasformato in saggio. Veste in velluto o stoffa rossa, con calze rosse e berretto.
Pulcinella
Protagonista della scena napoletana della Commedia dell’Arte famosa non solo in Italia ma anche in Francia, Spagna e Germania. Furbo e pigro, la sua maggiore occupazione è mangiare, si adatta a tutto e finisce sempre per combinare guai e farsi bastonare.
Il Carnevale sangiovannese e le sue maschere.*
A San Giovanni Rotondo, il Carnevale era motivo di festa e aggregazione collettiva. Interi quartieri contribuivano nella realizzazione di abiti, addobbi che avrebbero sfilato nella piazza durante i tre giorni finali della festa.
I gruppi andavano nelle case di amici e parenti e cantavano questa canzoncina: “Se nen ce dà lu vine, ce ne jame crà ‘mmatina” (se non ci dai il vino ce ne andiamo domani mattina), e quando il padrone rifiutava di ospitarli, così rispondeva: “De vine nen ce ne stà, jate vinne pure pescrà!”, e si continuava così fino a notte fonda.
Tutti i gruppi erano seguiti da musicisti e preceduti da una maschera, “lu Carlucce”.
Alla mezzanotte del terzo giorno, si celebrava il funerale di Carnevale. Un pupazzo posto in una bara. Due file parallele di grandi e piccini assistevano al passaggio del corteo funebre. Pianti e lamenti, specialmente della moglie di Carnevale, accompagnavano il defunto. La bara era trainata da un carretto o portata a spalla dai necrofori. Infine il feretro, giunto in Piazza Europa, veniva bruciato e la gente mestamente faceva ritorno a casa.
Tra le maschere tradizionali:
LU CARLUCCE
Era la maschera che apriva la sfilata. Indossava una veste di pelle di capra o di agnello, un cappello bianco a forma di cono allungato, alla cui punta vi erano dei campanellini (“Carlucce”, da questo deriva il nome della maschera) e una cintura dalla quale pendevano delle campanelle. Saltava e ballava al ritmo de “lu buchete-e-bù”, de “lu scisciulu”, de “lu murtale” e della fisarmonica.
LA PACCHIANELLA
Portava una gonna rossa a pieghe, lunga fino alla caviglia o a metà gamba, e su ogni piega vi era un nastro variamente colorato. Un gilet attillato, anch’esso abbellito con tanti fili variopinti, veniva indossato su una camicia bianca a maniche lunghe legate a metà braccio da fiocchi rossi oppure da manicotti. La camicia era adornata con pizzi e merletti, mentre sulle spalle e in testa portava un fazzoletto di tulle bianco. Le calze erano rosse e di lana. Le “pianelle” di velluto rosso con la punta e il tacco di pelle nera. I capelli erano intrecciati e tirati su a toupet. Molti monili d’oro coprivano il petto. Gli orecchini erano pendenti e sempre d’oro.
LA MONTANARA
Questa maschera indossava una gonna a pieghe o increspata in vita, di un tessuto a fiori, lunga fino alla caviglia. Un gilet di velluto scuro, adornato con nastri colorati o con passamanerie dorate, era portato su una camicia bianca a maniche lunghe legate da un nastro rosso. Un fazzoletto in testa e uno sulle spalle, di seta o di lana a fiori, il grembiule di stoffa scura a fiorellini, le calze scure e le “pianelle” di velluto nero completavano l’abbigliamento. Anche la Montanara portava i capelli intrecciati a toupet e aveva lunghi orecchini pendenti d’oro.
LU SCEKAVONE
Era un giovane che sfilava a cavallo. Il cavallo era coperto da un drappo o da una coperta di seta colorata. La coda e la criniera erano intrecciate con nastri colorati. Il cavaliere indossava un vestito di raso lucente e un largo mantello, anch’esso di raso. Portava una borsetta elegante contenente o confetti o coriandoli o petali di fiori che distribuiva durante la sfilata alle belle ragazze. Indossava guanti bianchi.
LU PASTORE
Indossava un giubbone di pelliccia di montone, in testa un cappello di pelle o di lana a tre punte, pantaloni di velluto, calze di lana di pecora marroni o grigie e scarpe a punta di pelle di maiale cucite con delle strisce di pelle oppure con spago. Suonava “lu Buchete-e-bù”.
LU VECCHIE
Indossava una camicia senza collo bianca o colorata a quadrettini, un gilet, una giacca, pantaloni di velluto marrone lunghi fin sotto il ginocchio, un cappello di feltro nero o un copricapo a triangolo di lana con bon-bon, calze di lana anch’esse con bon bon, uno scialle di lana a fiori sulle spalle e un fiaschetto legato ad una cintura, anch’essa di lana.
LI BANNARINNULE
Gruppo di ragazzi di ambo i sessi mascherati da ballerini, che saltavano e ballavano per tutta la durata della sfilata. I balli in voga erano “la tarantella” e la “quadriglia”.
LU ZITE E LA ZITA
Indossavano abiti usati per un vero matrimonio: lu Zite, un abito nero, la camicia bianca, la cravatta grigia, i guanti bianchi, le scarpe nere ed a volte un cappello nero. La Zita, un abito bianco lungo fino alle caviglie, in testa un’acconciatura impreziosita da perline o piume bianche dalla quale scendeva lo strascico di tulle bianco (la cherlanda) retto da damigelle, anch’esse vestite di bianco (li vergenalle), i guanti bianchi di pizzo, le scarpe bianche, la corsettina bianca elegantissima piena di confetti di fiori e tulle bianchi. Gli sposi erano accompagnati da un corteo di parenti ed amici, anch’essi elegantemente vestiti, che durante la sfilata distribuivano confetti e coriandoli ai passanti.”
Foto: Lu Carlucce durante la fase di preparazione alla manifestazione organizzata dalla scuola Celestino Galiani di San Giovanni Rotondo il 10 febbraio 1997.
*Si ringrazia la ProLoco di San Giovanni Rotondo per la foto e il materiale fornito.
Maria Pia Carruozzi
Marianna Alicino
Matteo De Vita
Ma un evento carnevalesco tradizionale, magari anche con materiali ecosostenibili, non è possibile in questo paese ammuffito?
Matteo De Vita
Francesco Martino
A Vieste c’è un sangiovannese che ha scritto un sacco di roba su San Giovanni Antico
interessa?
se volete vi mando il link
Francesco Martino
Maria Pia Carruozzi
Matteo, l’anno scorso ho proposto, tramite Cambio Rotta e sgrnet.it, un mini concorso per chi creava la maschera piu originale realizzata con materiali da riciclo. In palio c’erano dei carnet di buoni acquisto.
Boh forse i buoni erano pochi o forse era troppo difficile rinunciare al vestitino pronto.
Francesco Martino
A Maria Pia Carruozzi e Marianna Alicino,
due precisazioni, una la dico qua, l’altra dopo:
Quando si andava nelle case e si recitava la filastrocca: “Se ninci da lu vine ….”, non si andava via a notte fonda, ma quando il padrone di casa mosso a compassione o perché si metteva a ridere, o perché non voleva più sentire il rumore del manico di scopa (vi siete dimenticate di citare che con il manico si batteva per terra) prendeva il vino e lo offriva a tutti gli astanti, questi si scoprivano le facce coperte dai cappucci o mascherati e bevevano, e dopo se ne andavano in un’altra casa a ripetere il tutto.
. >>> .Francesco Martino
Francesco Martino
Qui non dite di che periodo si parla,
comunque se si tratta di prima prima piazza Europa non esisteva.
Dipende, quindi di che periodo parlate.
Prima c’era lu Lummetone o lu Gummone non ricordo preciso quale dei due nomi.
C’era lu Piscinone e la Burbagna.
Fatevi dire dai nonni dov e si trovano queste zone.
In caso contrario poi vi informo io.
>>>> .Francesco Martino