«Ci vorrebbe un diversamente abile a famiglia per provare a capire in che condizioni siamo costretti a vivere, nell’indifferenza totale della gente»
E’ un tardo pomeriggio di inizio autunno mentre mi accingo a lasciare lo studio dentistico di corso Nazionale, con la speranza che il mio mal di denti che mi ha tenuto sveglio per un’intera notte sia un lontano ricordo. Nemmeno esco dal portone e intravedo un giovanotto sulla carrozzina elettrica che si agita e si sbraccia, nel limite delle sue possibilità fisiche, contro un’auto celeste.
«Che succede?» – gli chiedo.
«Succede che mi sono rotto le palle – mi dice con un tono piuttosto alterato – di passare la maggior parte del mio tempo libero ad aspettare che arrivino i proprietari di auto che puntualmente parcheggiano davanti lo scivolo per i portatori di handicap. La mia vita è un inferno».
Cerco di approfondire questa storia, curioso come sono. Nel frattempo i commercianti e residenti della zona si attivano, si suddividono i compiti, come un piccolo microcosmo autogestito ed organizzato che periodicamente recita sempre lo stesso copione. E’ stupefacente: alcuni iniziano a citofonare agli studi professionali della zona, altri si precipitano nel vicino negozio di alimentari dove spesso si recano a far la spesa gli automobilisti distratti, una badante solidarizza come può imprecando in mezzo la strada, la commerciante dirimpettaia, infine, chiama la Polizia Municipale.
«Ogni volta è la stessa storia da 6 o 7 anni – mi dice Matteo D’Addetta, 44 anni, affetto da emiparesi spastica dalla nascita, impiegato alla Casa Sollievo della Sofferenza dopo gli studi in giurisprudenza -. Ogni volta, puntualmente. Delle volte mi viene persino voglia di starmene a casa e di rinunciare ad uscire, anche perché spesso nemmeno riesco ad uscire di casa a causa delle auto che ostruiscono il passaggio e delle condizioni del manto stradale. Per non parlare di viale Kennedy, entrambi i lati, di viale Aldo Moro e di viale Cappuccini, tutte le passerelle per disabili sono sistematicamente occupate dalle auto, spesso dei residenti e io sono costretto a circolare su strada anche se questi mezzi non sono idonei per farlo. L’unico luogo che posso frequentare liberamente è corso Umberto I e piazza Padre Pio».
Arriva la polizia municipale, due giovanotti volenterosi che dopo qualche saluto affettuoso – ho come l’impressione che si vedano spesso con Matteo – si attivano per fare il loro dovere. Ad uno di questi chiedo che cosa si può fare per segnalare questa ed altre passerelle. «Purtroppo il codice della strada non prevede nulla di simile e spesso gli automobilisti sono talmente distratti da ignorare completamente le pedane per disabili», mi risponde cortesemente.
Chiedo a Matteo il resto del copione e nel frattempo mi siedo; è già passata mezz’ora. «Adesso succede che gli fanno la multa e, se riescono, portano via l’auto con la rimozione coatta. E io non mi muovo di qui finché tutto questo non avviene». La sua non è una vendetta, è una battaglia culturale, mi viene da pensare, Matteo ha il coraggio di un rivoluzionario. «Non lo auguro a nessuno, ma come dice sempre mia madre – mi confida – ci vorrebbe un diversamente abile a famiglia per provare a capire in che condizioni siamo costretti a vivere, nell’indifferenza totale della gente».
Intanto è già passata un’ora, io e Matteo abbiamo parlato del più e del meno: della nostra vita e del nostro lavoro, ci siamo persino scambiati il numero di telefono con la promessa reciproca di rivederci. Finalmente arriva il carro attrezzi per la rimozione del mezzo e dopo alcuni minuti arriva anche il proprietario dell’auto. Matteo lo accoglie con un energico: «complimenti!», ironico. Lui si scusa, visibilmente imbarazzato e mortificato ma Matteo non sembra intenzionato a perdonarlo, almeno per il momento.
E’ arrivato il momento di salutarci, è passata un’ ora e mezza. «Allora Matteo, ci rivediamo per un caffè al bar?» gli faccio. E lui, ridendo di gusto, mi risponde: «sperando di trovare lo scivolo del marciapiede libero!».
Vado via col magone in gola, ma con una bella lezione di vita e con la consapevolezza, d’ora in avanti, che devo prestare attenzione a come parcheggio l’auto.
Lettera firmata