“La rivoluzione incomincia dal nome e dalla sua scelta. Perché il nome Francesco obbliga terribilmente.”
In 800 anni dalla scomparsa di San Francesco, nessun pontefice ha scelto questo nome, perché? Perché Francesco significa Chiesa povera. Chiesa che si spoglia del proprio potere temporale, delle proprie ricchezze, che ritrova l’autenticità della Fede e si rimette al servizio del popolo, così come era stata concepita da Gesù, ripartendo dal dialogo, “scandaloso”, tra credenti e non credenti.
Il 13 marzo viene eletto papa Josè Mario Bergoglio, vescovo di Buenos Aires, primo papa gesuita, primo papa latinoamericano e primo papa a scegliere il nome Francesco. Si presenta alla folla di fedeli senza ori, senza lustri; il solo ornamento che ha è la croce di ferro della sua ordinazione a prete, afferma candidamente “che il dovere del Conclave era dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui”; rinuncia alla scorta, non vuole la camera papale, tratta tutti con cordialità. Non solo, sta male “nel vedere preti e suore con auto di ultima uscita, conventi chiusi ai bisognosi”. Critica la «cultura del benessere» che rende insensibili le persone ai problemi altrui, durante il suo discorso a Lampedusa tra gli immigrati, gli ultimi, quelli che nessuno vuole. “Vergogna!” pronuncia all’indomani della morte dei 200 clandestini al largo delle coste italiane e a colpire non è la parola, ma il tono grave della sua voce, il silenzio carico di sofferenza, che rende la parola vergogna un’autentica denuncia civile e morale. E questo suscita l’ammirazione di tutti, soprattutto di chi non è credente.
Come Eugenio Scalfari, di cultura illuminista che non cerca Dio, affascinato dalla figura di Gesù, che spesso ha affrontato il discorso sulla differenza tra potere temporale e potere spirituale della Chiesa, tra fede e ragione. In due editoriali su Repubblica, Scalfari prende in esame la figura di questo Papa innovatore che riporta, dopo secoli in cui la Chiesa ha visto come massima aberrazione l’essere umano, al centro di tutto proprio l’essere umano! E non solo la parte di umanità credente, ma tutta, soprattutto quella parte che non trova posto nella Chiesa: “Chi sono io per giudicare i gay o i divorziati?” .
Scalfari pone domande importanti sul nuovo rapporto tra fede e ragione e Papa Francesco risponde, cogliendo tutti, Scalfari per primo, di sorpresa.
Ne nasce un dialogo senza precedenti, in cui i due protagonisti si confrontano senza retorica, senza dogmatismi, senza filosofia, senza arroganza (come, mi permetto di dire, avviene nel confronto tra Odifreddi e Benedetto XVI ).
Un dialogo aperto e sincero, reso possibile dalla presa di coscienza di entrambi gli interlocutori, che la fede di uno come l’ateismo dell’altro, sono frutto di un percorso lungo, pensato, sofferto, discusso e che nessuno dei due è detentore della verità assoluta; un dialogo per percorrere un tratto di strada insieme, per testimoniare in maniera laica e religiosa l’amore assoluto e incondizionato, l’Agape, verso il prossimo.
Mariapia Carruozzi