“Giorno del ricordo” di una delle pagine più buie della storia contemporanea
Ogni anno, il 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo: la solennità civile italiana istituita il 30 marzo 2004 con la legge n. 92 per conservare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il primo anno in cui si celebrò il Giorno del ricordo fu il 2005.
Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica aveva avvolto la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane ma da allora ogni anno in Italia la giornata del 10 febbraio è dedicata proprio alla memoria dei tanti morti di quegli anni.
Il dramma delle foibe rappresenta una delle pagine più dure e tragiche della storia italiana a cui solo da alcuni anni si sta dando attenzione, tant’è che ad oggi non si conosce esattamente il numero esatto delle vittime e gli storici considerano una forbice stimata tra i 5000 e i 12.000 morti.
La scelta della data non è stata casuale. Infatti Il 10 febbraio 1947 fu firmato il trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l’Istria e la maggior parte della Venezia Giulia.
Tra il 1943 e il 1947 in nome di una “pulizia” politica ed etnica che mirava ad annientare la presenza italiana in Istria e Dalmazia e ad eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti, le truppe jugoslave di Tito perseguitarono e uccisero, gettandoli nelle foibe, ossia profonde cavità carsiche molto comuni al confine tra Italia e Slovenia, migliaia di italiani residenti in Venezia-Giulia, Istria e Dalmazia.
Le truppe del Maresciallo Tito si scatenarono contro fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
I malcapitati, colpevoli principalmente di essere italiani o contrari al regime comunista, venivano gettati nelle foibe, dopo atroci sevizie.
Venivano letteralmente inghiottiti dalla terra legati gli uni agli altri, dopo essere stati fucilati o ancora vivi, con le mani e piedi bloccati con il fil di ferro che mordeva le carni senza dare possibilità di fuga. Gli aguzzini, solitamente, sparavano al primo del gruppo, che cadeva inevitabilmente nella foiba trascinando con sé tutti gli altri ancora vivi.
Questa carneficina, alimentata dall’odio politico-ideologico si protrasse fino alla primavera del 1947, quando, fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia, l’Istria e la Dalmazia vennero cedute alla Jugoslavia.
Ma la fine delle persecuzione non fu la fine del dramma degli istriani e dei dalmati.
Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli: scappavano dal terrore, non avevano nulla, non avevano più una casa, non avevano di che sfamarsi, ma non trovarono in Italia una grande accoglienza.
Comunisti e neofascisti ignorarono il problema preferendo non affrontare una delle pagine più angoscianti della nostra storia.