Le precisazioni
di Giulio Giovanni Siena
Ringrazio il
Direttivo dell’Associazione Socio Culturale Symposium per le precisazioni
fornite.
Non riprenderei
il discorso se alcune affermazioni dell’associazione ed altre contenute nei
commenti di alcuni concittadini, in calce alla lettera del Dott. Antonio Cafaro,
non richiedessero delle precisazioni
anche da parte mia.
Il mio non è
stato un attacco all’Associazione, di
cui ho elogiato l’attività svolta, ma una critica isolata alla vicenda del 18
febbraio scorso. Una critica non del tutto peregrina, visto che la stessa associazione
chiarisce di essersi dissociata da quanto detto dal Dott. D’Ambra, ribadendo il
concetto che “l’Italia è UNA e va festeggiata”. Onore al merito, dunque, per
averlo fatto, interprete certamente dei sentimenti della maggioranza di
cittadini.
E’ vero che
ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, guai se non fosse così, ma
non è stato corretto fare certe affermazioni in una manifestazione promossa per
celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Non era
necessaria la mia presenza per poter esprimere parole di dissenso. L’ essere
venuto a conoscenza dell’accaduto per il tramite di terze persone è irrilevante,
perché il fatto mi ha comunque indignato.
Non ho
ammesso “candidamente” la mia assenza alla conferenza, avendo riferito i motivi
per cui l’ho disertata, insiti nella formulazione del primo argomento da
trattare, che lasciava presagire ciò che poi è successo.
Avevo
diritto anch’io a esprimere il mio pensiero. Poco importa se l’ho fatto tramite
internet. Attraverso la tastiera del PC oggi si organizzano perfino le rivoluzioni.
Peraltro alle conferenze io non vado per instaurare un contraddittorio, ci vado
per apprendere da chi ne sa più di me, filtrando le notizie ricevute attraverso
il mio spirito critico.
Permettetemi
ora di fare alcune considerazioni, non strettamente legate alla conferenza, poiché
si riferiscono a fatti locali, che però servono a chiarire la mia posizione.
Credo che
nessuno sia capace di leggere i documenti
riguardanti i fatti accaduti nel 1860 a San Giovanni Rotondo e in altri posti
del Gargano, senza restarne scioccati. Io ne ho letti a centinaia e per guarire dal trauma subito ho dovuto
sposare la massima filosofica crociana che “la
storia non è mai giustiziera; e giustiziera non potrebbe farsi se non facendosi
ingiusta…”.
E’ una
filosofia che mi ha portato a giustificare il più possibile le azioni di tutti,
anche quelle che apparivano solo delittuose, cercando sempre elementi a discarico
dei colpevoli, e ciò mi ha aiutato a superare alcuni momenti terribili della
nostra storia, portandomi alla fine ad accomunare, in
un unico sentimento di cristiana pietà, martiri ed
esecutori dell’eccidio del 1860 di San Giovanni Rotondo, a loro volta
ferocemente fucilati o imprigionati da un consiglio subitaneo di guerra.
Prova ne è
che nel X ed ultimo capitolo del mio libro sui Ventiquattro Martiri di San
Giovanni Rotondo, in un immaginario colloquio tra gli stessi martiri, appena catapultati
in cielo nel mondo dei morti e in attesa di Giudizio, faccio
affermare ad uno di essi:
“Amici, il destino
è compiuto. Bisogna persuadersi che ciò che ci unì in vita, oggi ci unisce
nella morte. Non fatevi fuorviare dal lamento straziante che vi giunge. Sì.
Laggiù è giorno di lutto per le nostre famiglie, mentre quelle che comandarono
la fraterna distruzione festeggiano il loro lieto avvenire. Ma ciò non ci
spinga ad odiare. Il pianto che sentite non è solo de’ nostri cari. Puranche i
cuori de’ familiari de’ nostri sicari sono affranti e disperati per la terribil
sorte che li attende. Pensate. Come novelli Caini, tanti di loro saran dannati
ad andar raminghi, inseguiti dalla giustizia umana. E quando li avrà
acciuffati, la sua mano sarà pesante almeno quanto quella che ci condannò
innocenti. Vi sarà anche chi, rinchiuso in carcere a vita, si dispererà nel
veder libero colui che gli armò la mano. Ma noi avemmo la fortuna di scansare
il vel dell’ignoranza!. Nella sfortuna di oggi, la fortuna di ieri ci consente
di alleggerire il fardello del nostro fratello, afflitto tuttora da cecità. Non
lesiniamogli il perdono, se vogliamo dare un senso alla nostra vita e
fors’anche alla nostra morte.
Noi siamo stati galantuomini per il
verso giusto: nell’animo e ne’ costumi. L’esser galantuomini in vita era la
nostra forza; perciò ci hanno distrutti. Preghiamo il Giudice Supremo, alla cui
misericordia abbiamo affidato le nostre anime, di non usar il terribile pollice
verso quando giudicherà i nostri fratelli. Per loro, pugnammo. Per lor mano
perimmo. Per loro e per i nostri cari, e non per altri, ora rivolgiamo al
Signore Iddio le nostre preghiere. E Lui, nella sua infinita misericordia, farà
acquietare gli animi, spargendo il seme della concordia nel paese che abbiamo
tanto amato…”.
Amo
il mio popolo, che ha dato un suo nutrito contributo di morti all’una e all’altra
parte. Per gli stessi motivi amo gli italiani e l’Italia.
La nostra storia vissuta è
costellata di errori, voluti e non voluti, individuali e collettivi, talvolta
indotti da coloro i quali non volevano perdere il potere oppressivo che
esercitavano sulla popolazione; è costellata di illusioni vecchie e nuove che
si sono succedute nel tempo senza fermarsi mai. Errori che, secondo me, non risparmiano neppure il
campo storiografico, dove nessuno può
considerarsi depositario della verità.
Anche la nostra Italia, piaccia
o non piaccia, è piena di contrasti e di
contraddizioni.
Io l’amo così com’è, con i
suoi problemi, i suoi contrasti, ma Una e Indivisibile, in attesa che gli
uomini politici, gli uomini di cultura, i mass media facciano uno sforzo comune
e si uniscano in unica voce per smussare gli angoli che ne stanno deformandone
i contorni.
“Certamente
– come l’associazione giustamente rivendica – coloro che all’interno del processo di unificazione hanno pagato con
la propria vita credendo nel proprio ideale offrono lo spunto per un dibattito stimolante e vivace nel pieno
rispetto delle diverse vedute.”
Ci sono, infatti, tanti
aspetti della storia d’Italia sepolti nel limbo, che gli studiosi giustamente
stanno riportando alla luce.
Ma nessuna filosofia,
neppure quella crociana, è capace di ribaltare situazioni, persone e valori.
Non sarà mai possibile, ad esempio, confondere con altri i reali “protagonisti di questo grande processo che
ha portato alla nostra ITALIA”, come sembra chiedere l’ing. Marcello Stanislao nel
commento all’articolo del Dott. Antonio Cafaro. Non è possibile semplicemente perché
si parla di uomini e valori con pari dignità, che però insistono su piani diversi. Ci sono, quindi, motivi
più fisici che mentali.
Anch’io credo che occorra distinguere
i briganti dai reazionari o insorgenti o partigiani, ognuno li chiami come
meglio crede, a seconda della proprie convinzioni. Ma, a prescindere da questo
e con animo scevro da spirito polemico, penso che chi operò per il Governo borbonico si oppose all’Unità
d’Italia; per cui mi sembra oggettivamente provocatorio volerli rivalutare proprio
nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni, con cui, invece, si intende
esaltare l’Unità d’Italia. Il che non
vuol dire che non si debba attribuire il
giusto ruolo e il rispetto dovuto a chi,
per difendere il proprio “senso di appartenenza” stava dall’altra parte. Dico solo che bisogna farlo in separata sede: ora
stiamo celebrando l’Unità d’Italia, non del Regno delle Due Sicilie. Tutto qui.
Perciò resto dell’avviso
che nella domanda “Unità d’Italia: fu vera gloria?” c’era un punto
interrogativo di troppo.
Per
concludere, alla base del mio commento non c’erano né “superficialità”, né “pregiudizio”,
né “mancanza di educazione all’ascolto”, né “critiche campate in aria”. C’era solo voglia di pace e di fratellanza,
beni che si possono conservare soltanto restando uniti.
L’Unità
d’Italia va celebrata senza se e senza ma, nel rispetto del pensiero di tutti.
Auguro buon
lavoro all’Associazione Symposium.
Giulio Giovanni Siena
P.S.: GRAZIE
a Giovani Piano e allo staff di sangiovannirotondonet.it per dare voce a tutti, senza discriminazioni
ideologiche o culturali.