A colloquio con uno dei pochi (in)dipendenti del convento
di Francesco Melchionda
Pubblichiamo di seguito un’intervista effettuata da Francesco Melchionda. I contenuti sono divulgati integralmente, ovviamente sotto la piena responsabilità dell’autore, così come sono giunti alla nostra redazione.
Gli uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio. Niccolò Machiavelli
La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.
Corrado Alvaro
Se la matematica e la scienza prendessero il posto della religione e della superstizione nelle scuole e nei media, il mondo diventerebbe un luogo più sensato e la vita più degna di essere vissuta. Che ciascuno porti dunque il suo contributo, grande o piccino, affinché questo succeda, per la maggior gloria dello Spirito Umano.
Piergiorgio Odifreddi
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Eremita sulla Maiella, sant’uomo, esperto d’acque, guaritore, Piero del Morrone fonda una congregazione aderente all’Ordine benedettino e l’amministra, nient’affatto alieno dall’accumulare proprietà monastiche. Sta sugli 85 anni quando Carlo II d’Angiò e suo figlio Carlo Martello gli rendono visita, aprile 1294. Tema del colloquio lo scandaloso stallo che da 24 mesi tiene acefala
Soffia lo Spirito santo: sul pio vegliardo piovono otto voti; seguono gli altri, papa d’una stagione, innocuo, trasognato, adoperabile. Il nome Celestino V, segnala liasions col Cielo. Lo incoronano all’Aquila, dove arriva su dorso d’asino come Gesù, suscitando l’entusiasmo popolare perché spirano arie mistiche. Ma i cardinali hanno lo sguardo freddo. Dal 5 novembre tiene corte a Napoli, sotto l’ala angioina, patetico gaffeur “de plenitude simplicitas”, commenta Iacopo da Varagine (Muratori, sub 1304): dissemina benefici, prebende, dignità, talvolta gli stessi su persone diverse; prodiga favori ai suoi; impoliticamente risparmia l’ala francescana estremista. Iacopone da Todi, ivi militante, l’avverte: “que farai, Pier da Morrone?”; “guàrdate da baratteri,/ ch’el ner per bianco ‘lo fo vedere;/ se non te ‘n sai bene scrimire,/ canterai mala canzone” (Laudi, 74). Smarrito, consulta l’insigne canonista Caetani, “molto pratico e sagace”, pronto a raccogliere la tiara, già d’accordo col re gallico e colleghi (G. Villari, VIII, 5): può dimettersi?; nihil obstat; e gl’indica un precedente arcaico, nonché il modo di abdicare. Niente lascia supporre plagio o coazioni. L’eremita non poteva più: nel concistoro 3 dicembre, dopo 5 mesi e 9 giorni, depone i paramenti e reindossa l’abito grigio; tornerà all’eremo. Celestino V è santo dal
Questo che ho appena descritto è il grande intrigo del potere ecclesiastico realmente accaduto sul finire del 1200. La storia ci insegna che dietro ogni grande mutamento c’è, inevitabile, la mano dell’uomo. La storia che ho appena descritta, a ben guardare quindi, può essere tranquillamente trasferita ai nostri giorni e, cosa ancor più importante e grave, paragonata alla nostra città.
Una città dove solo i caudatari, legulei e lestofanti si ostinano a non accorgersi del marasma, e nel inferno dantesco in cui sono piombati cercano, vanamente, di sputare venenum sugli oppositori che, convinti delle idee che propugnano, ci mettono la faccia, il coraggio e, a volte, anche il corpo. Rifacendomi, quindi, all’intrigo ecclesiastico-politico di cui sopra, ho cercato di capire quali fossero le problematiche e le meschinità, più o meno volute, della realtà più misteriosa e segreta che la nostra città presenti: il convento.
Una realtà attanagliata, da sempre, eufemisticamente parlando, da un velo opacissimo di mistero: cambi continui nella gestione del potere; frati cappuccini, forse scomodi, spediti il più lontano possibile da occhi indiscreti; occhio vigile dell’autorità giudiziaria; dipendenti bramosi di fare carriera; manovre vaticane, più o meno segrete, ormai all’ordine del giorno e via discorrendo…
Ho cercato, con l’aiuto di qualcuno, di descrivere quello che tutti sanno ma che nessuno, o quasi, ha il coraggio di esternare pubblicamente. Un racconto che descrive, spero in maniera lucida, i problemi esterni e, forse, anche qualche problema interno che difficilmente verrebbero fuori se non avessi avuto la fortuna di parlare con qualcuno che spontaneamente ha voluto manifestare il proprio sconcerto di fronte allo sfascio religioso.
Un altro anno sta passando. E in questi giorni di un inverno (addio mezze stagioni) arrivato dopo i giorni della grande calura fuori stagione, mi son chiesto: che cosa riportano le statistiche degli uffici di Palazzo di Città a proposito della stagione turistica che sta per chiudersi? Qual è il bilancio o il consuntivo, chiamatelo come volete, di questo 2006 religioso?
A questo proposito sarebbe più opportuno, forse, chiedere direttamente ai frati cappuccini. Ma siccome le statistiche offrono sempre dati, cifre, numeri ‘freddi’, oggettivi, insindacabili, mi preme, a questo punto, andare oltre le ufficialità che il più delle volte celano fatti o episodi inenarrabili; scavare oltre la superficie, affondare la lama nel burro dell’indifferenza di chi ci lavora, scuotere le intorpidite coscienze dei pellegrini, dei credenti e di quanti sostengono, ipocritamente, che tutto procede per il verso giusto, quando, invece, occorrerebbe una drastica pulizia negli affari temporali del convento dei cappuccini.
A poco è servito, infatti, che il defunto Giovanni Paolo II emanasse la famosa bolla pontificia che consentiva al Vaticano di tenere sotto controllo gli affari dei frati cappuccini. Lunedì 11 novembre 1630 – perdonatemi la digressione storica – era una data famosa, la “journée des dupes” o creduloni: tali risultano Maria dei Medici, Anna d’Austria e relativo séguito, perché credono di avere vinto, mentre Richelieu comanda più che mai; negli avvenimenti convulsi dov’è questione d’istanti, un abbaglio può capitare anche ai giocatori abili.
A distanza di qualche anno, infatti, non è cambiato nulla; il denaro gira sempre più vorticosamente, gli affari procedono a gonfie vele, l’industria della Chiesa locale registra incassi da favola, e l’economia sangiovannese sembra spedita verso nuovi lidi. Ma siamo proprio sicuri che questi nuovi lidi portino verso spiagge luminose, dorate, infinite?
Mi chiedo ancora: è sana la nostra economia? Su quali fondamenta è sostenuta? Ha gli anticorpi necessari per resistere ad un eventuale terremoto? Un terremoto che può essere giudiziario, finanziario e religioso? Quanto potrà giovare ancora raschiare il fondo del barile?
L’impressione, più che fondata, è che la bolla sia prossima a scoppiare. Una bolla speculativa che si è venuta a creare perché tante sono state le aspettative degli abitanti del posto. Aspettative – è la storia economica che ce lo insegna, da Smith a Ricardo – che a lungo andare resteranno deluse, dato che è molto improbabile che vengano soddisfatte in eterno.
Molti, infatti, fanno finta di non vedere o di non sapere. Tutti sperano, dunque, che la mucca (sto parlando ovviamente del convento) mungerà all’infinto; una mucca dalle proporzioni elefantiache; una mucca dalle risorse immense, che satollerà le richieste, sempre più fameliche, dei voraci e ingordi sangiovannesi. Cafoni arricchiti che dal nulla sono riusciti a costruirsi imperi; cafoni arricchiti che al momento giusto sono riusciti ad intrufolarsi nel posto giusto. Ma in cambio di che? Quale prezzo hanno dovuto pagare per poter raggiungere certi obiettivi che di certo, in una situazione di normalità, non erano alla loro portata?
E ancora: ma fino a quando queste risorse immense dureranno? E cosa succederà se alle aspettative non corrisponderà una adeguata e duratura crescita economica? Ce lo siamo mai chiesti?
Ho cercato, allora, munito di blocchetto e penna, di spolverare l’incrostata superficie, fatta di volgarità, indifferenza, pacchianeria, materialismo; e a distanza di due anni, da quando scrissi l’ultima volta su questo tema, la situazione è imbarbarita. Peggiorata.
Sembra che a toccare certe corde si resti fulminati. La barca sembra affondare, ma tutti, o quasi, sono contenti di quello che vedono o sentono. Una barca dove tutti sono costretti a recitare lo stesso copione. Una barca dove si organizzano pranzi e cene pantagruelici. Una farsa continua, insomma.
Il denaro, che il filosofo Francis Bacon chiamava letame, agli occhi di noi comuni mortali sembra non emanare olezzi scandalosi. D’altronde basta rifarsi ai latini che dicevano “pecunia non olet” per capire tutto quello che sta dentro quel gran mercato che è, per l’appunto, il Convento dei frati cappuccini.
Un mercato sempre più grande, sempre più affollato dove questuanti d’accatto si mischiano ai numerosi dipendenti che in un modo o nell’altro accolgono i milioni di visitatori speranzosi di trovare un po’ di pace, silenzio, tranquillità e che invece – basta d’altronde chiedere – restano confusi, storditi dal baillame che si crea dentro e fuori il grande mercato religioso sangiovannese. Un mercato degno del peggior Porta Portese. Una mastodontica mangiatoia dove gli stallieri non si preoccupano affatto di tenerla ordinata e pulita.
Speranzosi, inoltre, che il frate da Pietrelcina santificato sforni miracoli come un forno sforna il pane. Speranzosi che la pressante e corrotta pubblicità abbacini i tanti dubbiosi. Speranzosi che il conformismo e la malsana furbizia che regnano sovrani in questa nostra, maledetta città ottundano la mente di quelli che si oppongono a certi riti e a certe manifestazioni di tipo religioso-mondano. Manifestazioni che niente hanno a che fare con il dettato francescano: povertà e umiltà. Un dettato che non prevede l’attaccamento alle cose materiali e, quindi, terrene.
In che modo, allora, è stato possibile giungere a questa crudele involuzione, involuzione nel costume e nei comportamenti. Un’involuzione che ha diversi responsabili. Un’involuzione che chiama in causa le alte gerarchie fratesche del convento e la stessa popolazione locale che con il suo atteggiamento omertoso non ha fatto altro che avallare e favorire lo sfascio che, ormai da anni, è sotto gli occhi di tutti.
Nel silenzio generale, tombale direi, qualche voce fuori dal coro si è levata. Voci stonate, che si differenziano perché stanche di suonare lo stesso spartito; voci stonate stanche di seguire gli ordini che provengono sempre dagli stessi “maestri”. Voci stonate che meritano rispetto, ascolto, comprensione e, cosa ancora più giusta, sostegno. Un sostegno che sia totale, convinto, incondizionato e, soprattutto, disinteressato. Senza se e senza ma.
L’impressione che si è avuta, però, è che la voglia di combattere sia ben poca. Perché sfiduciati e impotenti di fronte a quello che è presente intorno a noi.
Ma non solo: quando tutti gli organi di stampa locali sono allineati, quando i fiumi d’inchiostro che si versano tendono solo ad elogiare il sacro (poco o nulla) di questa città, quando Lo Sperone Nuovo dà spazio solamente ai panegiristi di Padre Pio, quando l’emittente televisiva Teleradio Padre Pio (che trasmette anche sul digitale) tra rosari, cantilene, veglie e messe si dimentica volutamente premeditatamente di informarci che il convento non è solo quello, anzi, cosa vogliamo pretendere da questa città? Che cosa vogliamo pretendere da questa città se ad ogni critica, anche dura, ci si oppone comicamente con insulti, tentativi di scherno e battute più o meno penose?
Una città dalla doppia morale; una città che cerca di farsi bella (ma non ci riesce mai) con vestiti lisi e lussuosi nelle occasioni di grido, e una città che, subito dopo, veste i panni che le sono più consoni: quelli del doppiogiochismo, dell’intrallazzo quotidiano e dell’embrassons-nous.
Per evitare, dunque, di ascoltare la solita tiritera, il stanco ritornello del tipo “va tutto bene”, le solite “verità” propalate a destra e a manca, ho preferito, sinceramente, interpellare le persone, davvero poche purtroppo, che nel grande circo mediatico-mondano-politico-religioso osservano, e giudicano, tutto in maniera disinteressata (ho scoperto, ad esempio, che anche in convento si può fare carriera: basta conoscere il saio giusto!) e, a volte, con sofferenza.
La dignità, d’altronde, non si baratta con niente! Giorni fa, quindi, per tastare con mano direttamente la situazione, ho posto delle domande ad alcune persone che lavorano in quell’ambiente. Spero davvero, che le risposte date servano. Servano a capire a che punto siamo giunti; e che ci inducano a riflettere sulla reale situazione che si è venuta a creare.
Di seguito, quindi, troverete il testo integrale di un colloquio con uno dei pochi (in) dipendenti che ha voluto manifestare il suo sconcerto, la sua rabbia e indignazione per una situazione che a molti fa comodo.
Una situazione dove la cleptocrazia la fa da padrone. Per ovvie ragioni di opportunità – e questo fatto, che sta a testimoniare il livello di omertà e menefreghismo che regnano sovrani in quel dato ambiente, ci deve indurre a serie riflessioni – ometterò il nome della persona interessata.
Prima di entrare nei dettagli di questa intervista, considerando anche l’ambiente in cui lavora, mi voglio soffermarmi, seppur en passant, sulla religione, nel vero senso della parola, tralasciando, per il momento, l’aspetto prosaico e profano della questione che andremo a discutere.
Il grande Harold Kroto, premio Nobel per la chimica nel 1996 per la scoperta del fullerene, la molecola di carbonio a forma di pallone da calcio, conversando con il professor Odifreddi a proposito di Dio e della religione in generale, ha così commentato: “Credo che ci siano due tipi di persone al mondo: quelli che hanno credenze mistiche e quelli che non le hanno. Questi ultimi credono che la vita sia tutto ciò che abbiamo, che dobbiamo godercela e aiutare gli altri a godersela. Gli altri pensano che la vita futura sia più importante di quella presente e temo che faranno saltare in aria il mondo. È certo che una buona parte di questi matti trova giustificazioni religiose per la propria pazzia”.
Vivendo e lavorando in una città molto provinciale, ipocrita e bigotta (solo esteriormente, però), dove l’ortodossia ecclesiastica la fa da padrone e dove, di conseguenza, non c’è nessuno spazio per un serio dibattito sul rapporto tra fides et ratio, anche lei pensa che dopo la vita terrena ci sia qualcos’altro, di celeste e trascendente?
Da cattolico penso che ci sia qualcos’altro, di ultraterreno. Se dovessi usare, però, gli schemi della Chiesa cattolica, non posso definirmi cattolico al cento per cento. E le spiego il perché. Credo nelle Sacre Scritture e nelle omelie fatte dai sacerdoti: aiutano il cattolico a condurre una vita migliore e più giusta. Credo nell’Aldilà e ai miracoli; queste mie credenze saranno pure frutto dell’educazione che ho ricevuto sin dall’infanzia e dell’ambiente in cui sono vissuto, ma, pur se tormentato a volte da dubbi, penso che qualcosa di inspiegabile e irrazionale ci sia.
La stessa figura di Padre Pio, le sue azioni e il suo comportamento in generale sono la prova concreta e tangibile, visto che da anni lavoro nell’ambiente in cui il frate di Pietrelcina ha vissuto, della sua Santità.
Poc’anzi ho detto che non seguo in toto gli schemi della Chiesa cattolica perché, seguendo le vicende ecclesiastiche di questi ultimi anni, mi sono reso conto che tanti che portano l’abito sacerdotale o il saio francescano sbagliano, e molto. Sono uomini che il più delle volte predicano bene e razzolano male. E questo elemento rafforza ancor di più l’immagine sacra di Padre Pio.
Un grande matematico dei nostri tempi, Piergiorgio Odifreddi, nel suo saggio Il matematico impertinente, a proposito di Padre Pio, dei suoi miracoli e di tutto quello che gli sta intorno, ha scritto parole sacrosanti che io condivido pienamente: “Le sceneggiate, come la cerimonia di canonizzazione di Padre Pio del 16 giugno 2002, accompagnate da un imbarazzante mercificazione di gadgets, non possono che scavare un solco di separazione fra chi crede e chi pensa, e testimoniano il disinteresse della Chiesa cattolica verso coloro che vorrebbero soddisfare i propri bisogni di spiritualità, senza però rinunciare ai doveri della razionalità”.
Condivide le parole del professor Odifreddi o scorge nel suo pensiero troppa durezza?
Anche se c’è troppa durezza nelle parole del professor Odifreddi, condivido il suo pensiero. Durante la cerimonia di canonizzazione di Padre Pio abbiamo assistito ad una mercificazione imbarazzante e ad uno spettacolo davvero poco edificante. Su qualsiasi oggetto è stata incollata una immagine del Santo; all’interno dello stesso convento, fino a qualche tempo fa, il mercimonio è stato sfrenato. Mi accorgo, però, che questa realtà poc’anzi descritta dal professor Odifreddi è estensibile in tutta Italia; ormai, l’iconografia del frate fa vendere e, di conseguenza, arricchire: chiunque, senza più nessun decoro, sfrutta il nome di Padre Pio.
Tornando, invece, agli aspetti materiali dei problemi che volevo discutere con lei, mi viene da chiederle subito una cosa: da quando lavora in questa mega-struttura?
Sono diversi anni che lavoro in questa che lei, giustamente, chiama mega-struttura. Con i suoi quasi duecento dipendenti può definirsi una media impresa. Gli anni ho trascorso qui mi sono bastati per comprendere, anche nei dettagli, in che realtà viviamo.
Attraverso quale canale è riuscito ad entrare?
Attraverso la segnalazione, come tutti del resto. Alcuni hanno avuto la possibilità di entrare grazie alla conoscenza diretta con un frate cappuccino, altri attraverso amici degli amici, altri ancora devono ringraziare alcuni politici, visto e considerato che le promesse fatte in campagna elettorale sono state veramente tante…
Perché da semplice volontariato le gerarchie ecclesiastiche del convento hanno deciso, da anni ormai, di trasformare tale servizio in un vero e proprio lavoro?
Hanno dovuto prendere questa decisione solamente perché dovevano regolarizzare i tanti che lavoravano in nero. Siccome l’illegalità regnava sovrana, i frati hanno dovuto fare di necessità virtù.
Quali sono i requisiti, o le attitudini, che vengono richiesti a coloro che sono interessati ad entrare in questo circuito?
Lì non sono richiesti né requisiti né attitudini particolari né, tanto meno, competenze specifiche! Bisogna solo entrare nelle grazie di un frate. È successo, ad esempio, e penso che continuerà a succedere ancora, che diversi dipendenti, in base alla potenza e influenza della segnalazione, sono passati dal settore più umile e peggio retribuito, che è quello del settore pulizia, agli uffici, che di solito, come lei può immaginare, sono quelli più prestigiosi e, quindi, ambiti.
È davvero possibile, come pare, che se si conosce la persona giusta, si fa carriera? Non le sembra una cosa vergognosa che in un luogo di preghiera, silenzio, meditazione e misticismo si ambisca a fare carriera?
Come le dicevo, è certo che si ambisca a fare carriera! Lì ci sono intere famiglie che campano con questo mestiere, pertanto ottenere una promozione significa intascare denaro in più! La meritocrazia non sanno cosa significhi…
Quali sono i vostri rapporti con i frati cappuccini?
I rapporti in generale sono di cordialità; una cordialità, però, falsa, di facciata, ipocrita.
C’è un rapporto di forzata convivenza, fatta, in alcuni casi, di reciproci ricatti. L’importante è non cagionare rogne ai frati cappuccini. Ultimamente, dopo la creazione di un paio di sindacati, i rapporti sono diventati molto tesi: le rivendicazioni dei dipendenti vengono dilatate sempre sine die.
Quasi tutte le riunioni che occasionalmente vengono convocate per dirimere alcune questioni relative alla rimodulazioni del contratto che si cerca disperatamente di trasformare in contratto full time – è questa la rivendicazione più importante che si fa – si concludono sempre con un nulla di fatto. L’importante – questo è il ragionamento di chi gestisce il potere – è raggiungere l’obiettivi: fare soldi, fare soldi, fare soldi.
È mai stato in altri certi di spiritualità, tipo Assisi, Loreto, Lourdes, tanto per fare gli esempi più eclatanti? Quali differenze ha potuto scorgere?
Sono stato in tutti i luoghi da lei citati. E il commercio, più o meno sfacciato, si è riscontrato un po’ dappertutto. Le differenze che ho potuto scorgere sono soprattutto due: la prima è che, forse, cambia la qualità, se così possiamo definirla, del pellegrino; in altri luoghi di spiritualità c’è molta più compostezza, educazione e discrezione. Qui sembra di essere, soprattutto in estate, in una grande fiera: una compravendita continua. L’intento del pellegrino che giunge nella nostra città è quello di fare la scampagnata anche perché, e con questo non voglio fare del razzismo, il nostro è un turismo composto soprattutto di napoletani e baresi, di gente prevalentemente del Meridione.
L’altra differenza che ho potuto notare è che qui da noi arriva molta più gente: fare, quindi, delle estenuanti file, sotto una calura impressionante, offuscano la mente dei pellegrini che perdono in questo modo il motivo principale o la motivazione per la quale sono venuti, che è quella di rendere omaggio alla figura sacra di Padre Pio.
Nel corso di questi anni, dal suo privilegiato osservatorio, ha avuto la possibilità di comprendere, e analizzare magari, le storture e i peccati che nel grande barnum si sono commessi. Ci può elencare quelli che l’hanno maggiormente colpito?
Il menefreghismo, l’ineducazione, uno scarso senso di civiltà e, soprattutto, la mancanza di rispetto della figura del santo da Pietrelcina al quale tutti dovremmo qualcosa, perlomeno la devozione.
Quali sono le responsabilità dei frati cappuccini ed, eventualmente, quelle dei tanti che ci lavorano?
Non sta me giudicare il loro comportamento. Al contempo, posso dire che il credo francescano, basato sulla castità, obbedienza e povertà, non è stato rispettato, e in questo caso mi riferisco a quello di povertà, completamente relegato in un angolino. Il voto di povertà e di, conseguenza, quello di obbedienza non stati rispettati perché la regola a cui tutti si attengono è la seguente: girare con macchine di un certo livello, organizzare pranzi e cene raffinate e abbondanti e, dulcis in fundo, fare viaggi all’estero con numerose torme di lacchè. Se questo è il credo francescano, allora siamo messi proprio male!
Stando a contatto quotidianamente con torme di pellegrini, molti dei quali rozzi e volgari, ha potuto constatare quale fosse il loro stato d’animo di fronte a certe nefandezze che, oggettivamente, sono sotto gli occhi di tutti?
Molta gente, spesso, è delusa da questo comportamento; tanti pellegrini sono letteralmente schifati dalla mercificazione dell’iconografia del frate; e non di rado sono infastiditi dalla scarsa presenza dei frati cappuccini. A volte, però, sono gli stessi pellegrini, indirettamente e in maniera inconsapevole, a incentivare questo vizioso circuito. Non appena, infatti, entrano in convento sono, prima ancora di inchinarsi presso la tomba del Santo, già alla ricerca di oggetti che raffigurano l’immagine di Padre Pio. In tanti anni gli stessi frati, penso volutamente a questo punto, non sono stati in grado di intervenire.
Ha mai provato, ovviamente nel suo piccolo, a far mutare certi comportamenti?
Non ho mai fatto nulla! Se facessi qualcosa sarei Don Chisciotte contro i mulini a vento. Da solo cosa posso fare? La cosa che più mi ha colpito è stata l’indifferenza di tutti: i frati e i dipendenti sono i principali responsabili di questa schifosa realtà.
Tutti si rendono della situazione, ma pur di raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati, non fanno assolutamente nulla per cambiarla.
Se tanti dipendenti e frati, piuttosto che lavorare e comportarsi rettamente, organizzano pranzi pantagruelici (ed è l’esempio meno negativo che le faccio), nei ristoranti più raffinati della città, cosa vogliamo risolvere…?
Facendomi un’idea della realtà che ho appena descritta, dopo aver girato a lungo nei meandri più oscuri del convento e dopo aver ascoltato qualche voce controcorrente, mi sembra giusto dire, a mio modesto parere, ciò che si può fare per migliorare una situazione sempre più disastrosa.
Le proposte sono le seguenti:
1) azzerare gli attuali vertici del convento con dei nuovi capaci di dedicarsi (qualche anima bella, ingenua e pulita ci sarà ancora in giro) veramente e sentitamente al credo francescano;
2) dare la possibilità ad un revisore super partes – magari assegnare il compito ad un’autorità giudiziaria – di registrare ufficialmente e ufficiosamente il denaro che entra nelle mastodontiche casse fratesche ed evitare, almeno parzialmente, che la pecunia si smarrisca in tanti rivoli più o meno reconditi;
3) ripristinare il servizio di volontariato: un servizio veramente sentito, fatto con lo spirito dell’associazione che si dedica ad una causa veramente nobile;
4) chiudere definitivamente, almeno quelli all’interno del convento, i negozietti, veri responsabili dello squallido mercimonio messo in atto in nome di Padre Pio (che si rivolterebbe dalla tomba se solo potesse vedere).
Al contempo, però, mi sorge un dubbio: è pura utopia quella che ho appena enunciata…?
PS: leggendo i numerosi commenti relativi al mio articolo sulla “Sinistra in frantumi”, a Nunzia Canistro e ai tanti anonimi cani ululanti che hanno sputato veleno e falsità gratuiti nei miei confronti, rispondo con una citazione di Hippolyte Taine (Taine chi, vi starete chiedendo): “Dieci milioni di ignoranze non fanno un sapere”. A buon intenditor…
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