di Viviana Mazza (tratto dal corriere.it)
L’idea che i commenti nei blog potessero «catturare l’intelligenza dei lettori»?
Era in voga fino a pochi anni fa, ma è stata travolta dalla realtà di pagine e pagine di reazioni fuori tema, prolisse e «tossiche» ai post e agli articoli online. «I commenti su internet si sono rivelati un fallimento».
È arrivato a questa conclusione Nick Denton, il 45enne «mercante di pettegolezzi» (così si definisce su Twitter) che sui commenti dei lettori ha costruito la fortuna del suo impero di blog da 500 milioni di «pagine viste» al mese: otto siti, tra cui il primogenito (nel 2002) Gawker, ovvero «il guardone», e il tecnologico Gizmodo, il più cliccato (quello che pubblicò il prototipo dell’iPhone 4G dimenticato da un ingegnere della Apple al bar).
Le ragioni del «fallimento» dei commenti, non solo nei suoi blog ma anche nei siti web dei grandi giornali, secondo Denton, non sono tanto i «troll», e cioè i provocatori che amano suscitare la rabbia altrui e sbranarsi: quelli possono essere bloccati. «La vera tragedia è il trionfo della mediocrità», l’appiattimento dei contenuti, il fatto che «per ogni due commenti interessanti, anche se critici, ce ne sono otto che sono fuori tema o tossici». «L’idea di catturare l’intelligenza dei lettori oggi suona come uno scherzo».
E voi, cari lettori di questo blog, pensate che i commenti (qui e altrove) siano un fallimento? E di chi è la colpa?
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Il dibattito si è aperto domenica scorsa al festival di musica e tecnologia «South by South West» (SXSW) di Austin, Texas, dove Anil Dash, un pioniere dei blog, ha intervistato Denton, che viene dalla «carta»: ex giornalista del Financial Times seguì il crollo del comunismo nell’Europa dell’Est («Una rivelazione, quando per un mio pezzo arrivarono tre lettere!», ha raccontato al New Yorker che due anni fa gli ha dedicato un ampio profilo).
Cresciuto a Londra da padre inglese e madre ungherese, gay dichiarato, negli anni 90 si è riciclato come imprenditore dei nuovi media a Manhattan. Commenti su Twitter: «Anil Dash indossa la stessa maglietta porpora che portava a SXSW nel 2008», «Nick Denton è alto almeno 1,88».
Ma quando i commenti «falliscono», di chi è la colpa? Dei commentatori?
Una ex blogger di Gawker rammenta che «i commentatori erano sempre là che incombevano su di noi, impossibile ignorarli. Il tono dei commenti era chiaro 30 secondi dopo che il post andava online e, quando scrivevi qualcosa di personale, ti sentivi attaccato da migliaia di persone insieme». «Ho visto giornalisti in lacrime», ha confermato Denton.
Gawker ha chiesto anche ai suoi lettori di chi sia la colpa.
E alcuni hanno risposto che è del sito, col suo tono paternalistico (un esempio: «Siete pronti a parlare tra voi come esseri umani? Procedete»). Altri chiedono come Denton possa sperare di ricevere commenti intelligenti quando il
suo obiettivo è il «traffico» verso il blog a ogni costo, come evidente dalla scelta degli articoli (vedi il criticato «Ho avuto una scappatella con Christine O’Donnell», ex candidata al Congresso) e dai titoli (ieri spiccava «Facebook non è un posto per vecchi genitali»). Il mantra di Denton, un ammiratore di Murdoch, è: «I pettegolezzi sono le notizie che davvero la gente vuole».
Dash (che lo intervistava) in passato ha dato la colpa alla mancanza di moderatori attenti. I giornalisti, replica Denton, non hanno il tempo di moderare. Però l’idea che la «struttura» dei commenti possa facilitare o ostacolare la conversazione li ha visti d’accordo. All’inizio su Gawkerpotevano commentare in pochi, era un «club esclusivo». Quando i blog sono piccoli, spiega Denton, è più facile discutere. Poi il sito è cresciuto e ha aperto le porte a tutti, ma con una gerarchia: gli utenti più attivi e fidati hanno ricevuto «stellette» che portavano in primo piano i loro commenti e davano loro poteri da moderatori (approvare commenti altrui in sospeso, promuoverli in primo piano). La speranza era di tenere alto (e pertinente) il livello. Non è stato così: i moderatori vip si sono montati la testa. «I commenti migliori — ha scoperto Denton — non vengono dalla gente che ama le “stellette” o che parla di più.
Spessovengono dai nuovi arrivati».
Constatato il fallimento, però, Gawker non intende seppellire i commenti. Proverà, per ogni post, a puntare su più filoni di discussione, affidando al commentatore che interviene per primo su ogni tema il compito di moderare. In altri casi, si commenterà su invito: l’obiettivo di Denton è far intervenire «le fonti e gli esperti». Dal pubblico un uomo s’è alzato, dicendo d’esser stato «commentatore dell’anno» su Gawker: «Pensavamo di essere parte di una conversazione illuminata. È triste che tu creda che non sia mai accaduto». Non è l’unico a manifestare perplessità. Non a tutti i giornalisti piace l’idea di porre solo le domande e poi stare a guardare mentre la conversazione (che genera traffico monetizzabile) prende vita nei commenti, ed è quella la «storia» da leggere.