“La persona: dalla relazione alla responsabilità”.
Viaggio all’interno e all’esterno della persona. Alla ricerca dei volti che tante volte non vediamo.
Recensione di Salvatore Trotta
La nuova opera di Michele Illiceto è “La persona: dalla relazione alla responsabilità”, un viaggio sia dal punto di vista storico che teoretico di tutto l’universo “persona”. Il filosofo di Manfredonia affronta In questo libro la questione della persona da un doppio punto di osservazione: storico e teoretico. Per ciò che riguarda l’approccio storico, a cui è dedicata tutta la prima parte, il percorso abbraccia le avventure in cui il concetto di persona si è imbattuto sin dai suoi primordi, quando già fin dalla tragedia greca, quale prósopon, aveva un doppio significato: quello di maschera e di volto. La linea preferita dall’autore è però quella del volto, anche per il riferimento lessicale che esso possiede con l’ebraico panim, il cui uso viene ricostruito all’interno dell’universo biblico, specie in quello veterotestamentario di cui si dà, peraltro, una precisa documentazione.
Iniziando a leggere o a studiare il libro ci si accorge che con il cristianesimo il concetto di persona riceve una sua ulteriore sistemazione, e una sua definitiva chiarificazione (p. 54); in particolar modo ciò accade nei secoli che vanno dal dibattito cristologico-trinitario (III-V sec.) fino a tutto il medioevo, da Boezio, al quale dobbiamo la famosa definizione di persona come “naturae rationalis individua substantia” (p. 65), a S. Tommaso d’Aquino, al quale dobbiamo l’importante sottolineatura della relazionalità: “Persona est relatio subsistens” (p. 76), senza dimenticare il grande padre Agostino, che rimarcò la dimensione della singolarità (p. 63). Qui l’autore individua il progressivo affermarsi di quelle categorie portanti che costituiranno la grammatica semantica e il quadro concettuale per una completa comprensione del concetto di persona: la sostanzialità, la sussistenza, la razionalità, l’individualità, l’esistenzialità e soprattutto la relazione.
Non meno interessanti sono le riflessioni che vengono svolte nel capitolo che, affrontando il periodo della modernità, analizza il passaggio dal concetto di persona a quello di individuo.
Scorrendo le pagine del libro l’autore si cimenta in un approccio teoretico che ha una doppia finalità: da un lato, analizzare le strutture portanti dell’essere della persona e, dall’altro, individuare un percorso atto a costituire una ontologia relazionale.
In primo luogo, lo sforzo dell’autore è diretto a esporre i lineamenti essenziali di una filosofia della relazione che presenta la persona come “un essere fatto da un altro e per un altro”. In tale contesto si individua la relazione fin nel cuore dell’essere, e quindi fin dall’inizio, anzi “nell’inizio stesso” (p. 132 e ss). Tale aspetto apre la via ad una considerazione teologica della relazionalità nei termini di creaturalità.
Una ulteriore riflessione ricca di spunti e fonte di possibili confronti è il capitolo dedicato alla “esperienza del limite” come chiave di rilettura positiva della propria dimensione relazionale. “L’io, scrive l’autore, non è il limite di se stresso, non si limita partendo dal proprio io, ma scopre che il lato del suo limite è nelle mani di un altro. Il mio limite inizia dall’altro” (p. 172).
La terza relazione è quella con gli altri e ciò fonda la dimensione sociale. Con una serie di metafore e di espressioni linguistiche anche cariche di una certa suggestione, l’autore focalizza, a questo punto, l’attenzione sull’altro, sull’alterità nel cuore dello stesso “io”. Infatti, richiamandosi soprattutto a Lévinas, egli presenta “l’altro come l’altra parte di me” (p. 314), come “il fuori che mi porto dentro” (p. 308), o ancor di più come “la ferita”, secondo la metafora di Adamo-Eva (p. 312 e ss.), “una ferita che nessuno può guarire da solo, dal di dentro, ma solo con la venuta dell’altro” (p. 313). O l’altro come il “debito”. L’altro è il “fratello” nel quale Dio stesso, che non ha volto, prende volto. Un Dio che mi rende “custode” dell’altro fin dall’inizio, secondo il modello presentato nel racconto di Caino e Abele, e poi ripreso dalla parabola del Buon Samaritano. La filosofia della relazione allora porta la persona a farsi prossimo fino a spogliarsi di se stessa, dentro se stessa, per prepararsi all’evento della donazione.
Dalla spoliazione alla donazione (p. 316): questo è l’altro percorso che viene individuato e proposto dall’autore come via per un autentico processo di personalizzazione, e ciò in netta contrapposizione ad altri due antitetici processi che Illiceto vede come dominanti nell’epoca attuale: da un lato, la “spoliazione senza donazione” e, dall’altro, la “donazione senza spoliazione” (p. 318). Invece, per Illiceto, “la donazione è il compimento della responsabilità” (ivi).
Nel capitolo sesto della quarta parte, l’autore si dedica, prendendo spunto soprattutto dalla filosofia di Lévinas, all’approfondimento della tematica dell’altro come volto, individuando altresì un percorso particolarmente ricco di spunti sul piano pedagogico: dal volto al corpo, dal corpo al volto, perché in definitiva si deve comprendere che il vero percorso è quello che “dal volto porta di nuovo al volto, passando per il corpo” (p. 333). In tale contesto, Illiceto denuncia la “scissione tra il corpo e il volto”. Seguendo la tesi dell’autore, infatti, oggi si assiste a una particolare e dominante piega costituita dai “corpi senza volti” (p. 336), corpi di tutti e di nessuno, merce di scambio nel mercato di desideri diventati capricci. In alternativa a ciò dovremmo invece proporre – a detta dell’autore – dei percorsi che facciano sentire le persone come dei “corpi alla ricerca di un volto”.
Un libro che consiglio di leggere anche alla luce dell’attuale crisi economica mondiale.
Salvatore Trotta
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