“Io penso che un uomo senza utopia, senza sogni, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e raziocinio. Una specie di cinghiale laureato in matematica pura”
Questo pensiero di Fabrizio De Andrè, mi aiuta a cercare di delineare le motivazioni, le scelte fatte ai margini di un partito politicamente chiuso.
Ma soprattutto mi aiuta a sognare un Partito Democratico che come obbiettivo principale abbia la voglia di rafforzare, rendere viva la parola DEMOCRAZIA.
Viene facile, oltrechè spontaneo, misurare i progressi dell’azione politica del Partito Democratico di San Giovanni Rotondo semplicemente rievocando gli argomenti già oggetto di discussione nel corso del precedente congresso cittadino. In uno scenario sensibilmente diverso – allora il Partito Democratico governava la città e aveva la maggioranza assoluta in Consiglio comunale – i sintomi della febbre erano già evidenti: “La discussione nel partito, ancora oggi, è ridotta ad una pura disputa fra due opposte correnti – si diceva allora – e non è ancora ripresa in merito ad una visione di città, alla programmazione, mentre alcune discussioni rilevantissime sui grandi temi di questa città vengono tenute sospese, prigioniere di un conflitto che non sembra sedarsi”.
Ma la città può aspettarci all’infinito?
“Le grandi questioni possono rimanere nel cassetto fino a che non si risolvano le dispute interne al Partito Democratico?”.
Era, quello, un partito avvelenato da una conflittualità inestinguibile, refrattario alla partecipazione ed al confronto perché capace di riunirsi solo per designare i suoi membri alle cariche che esso stesso liberava con la forza, ostaggio dei consiglieri comunali che ne invocavano l’intervento solo quando non vedevano soddisfatte le loro istanze, refrattario ad ogni confronto ed allergico ad ogni discussione che minava l’autorità dei capibastone.
Da allora, da quando in quel congresso si raccontava di un governo cittadino paralizzato dai conflitti interni al Partito Democratico, molte cose sono cambiate: travolta l’amministrazione comunale dagli impeti distruttori dei capibastone, il Partito, senza batter ciglio, ha preso nuovamente a lavorare per la costruzione di un nuovo cartello elettorale, nel convincimento che l’allontanamento di traditori e ribelli avrebbe sedato la conflittualità e restituito al partito attrattività nei confronti dei giovani, dei lavoratori, delle categorie produttive, del terzo settore.
Un maquillage che ha riportato il notevole risultato di aver composto una coalizione tanto solida numericamente, quanto fragile nel suo impianto programmatico ed alla quale la credibilità personale di un degnissimo e autorevolissimo candidato sindaco ha consentito di arrivare ad un soffio dall’impresa di restituirle il governo di Palazzo San Francesco.
Adesso, all’opposizione in Consiglio comunale, fuori da ogni altro consesso politico-istituzionale, si invocano costruzione e ricostruzione: ma ha senso rilasciare un ulteriore titolo “edificatorio” a chi ha dilapidato questo enorme patrimonio di consenso e credibilità costruito negli anni? E’ lecito attribuire qualche responsabilità al locale gruppo dirigente del partito dimostratosi, in tali frangenti, del tutto incapace di alcuna autocritica o di alcun ripensamento? E’ ragionevole pensare che, in assenza di un radicale cambiamento, il partito continuerà a ripetere gli stessi errori già commessi nel passato e che, anzi, proprio il convincimento diffuso che nulla sarebbe cambiato rispetto al passato ha prodotto il crollo alle ultime elezioni comunali?
Pare evidente che dopo aver cercato il cambio della prima giunta Giuliani, il percorso si è concluso con l’implosione della seconda giunta e la conseguente perdita delle elezioni comunali cedendo la città al centro destra.
Ripartire, la parola d’ordine!
Ripartire da una seria analisi dei numerosi errori commessi in questi anni. Lo scioglimento del governo cittadino doveva essere – e deve esserlo ancora – un’occasione per riflettere, discutere, pianificare il futuro del Partito democratico. Le “due vite” dell’amministrazione scorsa sono una base di partenza per il rilancio della politica e per il cambiamento delle regole: la prima amministrazione Giuliani è stata fortemente osteggiata ed ha avuto vita breve anche perché il Pd con i suoi organismi non è stato messo nella condizione di funzionare.
Quello che succede attualmente a livello nazionale ci deve far riflettere. Il fermento e il sano confronto tra i modi di interpretare il PD sarà sicuramente utile alla crescita democratica del partito e avrà ripercussioni utili per vincere e per governare, in modo maturo, finalmente, il nostro paese.
E’ indispensabile riattivare un rapporto vero con i militanti, gli iscritti, gli elettori rendendo reali ed aperti i luoghi della democrazia con l’obbiettivo comune, nello stare nel Partito Democratico, di fare un partito e di farlo democratico. Immaginiamo e chiediamo una casa comune abitata, ma non occupata, dagli iscritti al partito, è necessaria una nuova stagione politica, di legalità e regole, di coraggio. Immaginiamo un vero Partito Democratico ed è per questo che ci stiamo dentro.
Il Partito Democratico ha partorito negli ultimi decenni una classe dirigente che deve aiutare le successive generazioni a gestire al meglio i propri incarichi, consigliandola, non sbarrandole la strada.
Non crediamo ad una campagna di rottamazione perché i giovani sono migliori, ma crediamo che sia necessario rottamare modalità e sistemi consolidati di fare politica.
La sfida più urgente è quella di far prevalere la buona politica, quella che risponde soprattutto alla necessità che i giovani possano trovare risposte concrete, etiche e trasparenti a diritti primari, come quelli del riconoscimento del merito, del lavoro e della costruzione di un futuro non più ai margini.
Non vogliamo più prendere parte ad un rito, ma partecipare all’insegna di un concetto principale: la condivisione. Preferiamo le relazioni alle gerarchie, le reti alle piramidi, perché tutti quelli che hanno qualcosa da dire (e si sentono di dirlo) possano farlo.
L’ambizione finale è quella di sentire un PD che parli ai cittadini e militanti coinvolgendoli attorno ai temi dell’Onestà, della Partecipazione, della Democrazia e del Rinnovamento meritocratico.
Se questo è il luogo e il tempo da cui ripartire, da qui va generata anche la possibilità che alcune parole, nonostante tutto, qui e ora, tornino ad avere pieno diritto di cittadinanza nel vocabolario della politica.
Due in particolare: entusiasmo e speranza di un rilancio politico di cambiamento.
Una sfida aperta da fare insieme, con l’orgoglio delle nostre radici, tra sangiovannesi di oggi per i sangiovannesi di domani”.
Ed è per questi motivi che “NOI” non abbiamo partecipato a questo congresso con l’intenzione di presentare mozioni ma come cittadini, militanti iscritti in un Partito Democratico realmente libero e vincente.