Generazione ‘73
di Berto Dragano
Sono nato nel ’73, faccio parte di una generazione cresciuta sotto l’ombrello di troppe certezze. A dodici anni un professore che entrava in classe con l’UNITA’ sotto al braccio ci insegnava inglese e nelle ore di pausa ci indirizzava ad acquistare giornali, quotidiani diversi, voci, opinioni opposte fra loro. E più o meno a quell’età ho imparato la fondamentale distinzione tra sinistra e destra, centro, religione, Andreotti.
Mi piaceva sentire le storie di chi ha fatto il Sessantotto, chi ha partecipato ai gruppi femministi di autocoscienza e di chi distribuiva LOTTA Continua all’università.
Alla metà degli anni Novanta ero abbastanza grande per assistere con i miei occhi al cambiamento.
L’elezione di Bassolino Sindaco a Napoli fu salutata come un momento di profondo rinnovamento. Si percepiva negli inni di Fossati, nelle Bandiere che sventolavano quando qualche oligarca saliva sul palco di una piazza, nell’abbigliamento dei ragazzi, figli di famiglie di sinistra, passate senza soluzione di continuità dal culto di Marcuse a quello di Dario Franceschini. Un investimento di illusioni estraneo alla realpolitik.
Oggi quando mi capita di parlare con gli ex sessantottini su ciò che di buono la loro generazione ha fatto, finisco quasi sempre per litigare. La loro storia non mi convince, assomiglia troppo a una fiaba senza fine, dove i buoni avrebbero potuto vincere.
Quello che rimprovero loro è il sottrarsi a qualsiasi ammissione di responsabilità.
La risposta che ricevo e che almeno loro hanno provato a fare le battaglie per migliorare il paese, mentre noi – generazione ’73 – non abbiamo neanche tentato.
La mia obiezione e che sono anche loro – generazione dei Veltroni, dei D’Alema – ad aver lasciato ai propri figli quest’Italia, un luogo senza futuro dove vige la legge del più forte, dove l’ingiustizia sociale è una prassi consolidata.
Forse il problema è nelle parole, nel linguaggio della gente, nella politica che segue la facile direzione di accontentare lo stomaco del popolo. Quel popolo a cui piace stare affacciati sul mondo ad osservare incantati sogni irraggiungibili e spesso futili.
E spesso nei sogni del popolo e di chi fa politica c’è incastonata la parola “potere”.
“Le parole sono importanti” come diceva Nanni Moretti in un famoso film, forse il problema è nel diverso significato che si dà alla parola “potere”.
Il potere per molti si identifica con l’immagine dell’imprenditore brianzolo tirato e abbronzato, mentre passeggia con bandana a Porto Cervo.