Il giovane talento del calcio palestinese da tre anni nelle carceri israeliani senza accusa
In sciopero della fame da 85 giorni, rischia la vita, ma non abbandona la sua protesta. Tra media che tacciono, il mondo del calcio distratto dai lustrini degli Europei e il solito doppiopesismo in materia di diritti umani. Ora l’Onu ne chiede la scarcerazione.
La storia di Mahmud Al Sarsak è una di quelle vicende che dovrebbero produrre montagne di titoli di giornale, approfondimenti e soprattutto indignazione. È una storia, un fatto, una notizia da “raccontare”, o da “vendere” come dicono i nuovi giornalistoni della merce/notizia. È una storia di calcio, è una storia di ingiustizia, è una storia di diritti umani violati. Insomma avrebbe tutto per essere una notizia giornalisticamente appetibile, raccontabile, un fatto-notizia per antonomasia.
Avrebbe appunto, se non fosse che purtroppo è capitata ad un giovane palestinese e che coinvolge una violazione dei diritti internazionale dell’uomo, l’ennesima mi verrebbe da dire, da parte dello stato israeliano.
Mahmud Al Sarsak è un ragazzo, oggi venticinquenne, cresciuto in un campo profughi della Striscia di Gaza. È cresciuto tirando calci ad un pallone tra bombardamenti, rappresaglie, ribellioni e storture umanitarie che caratterizzano questa prigione a cielo aperto, come oramai viene chiamata la striscia di Gaza. Alcuni osservatori che lo hanno visto giocare, lo hanno dipinto come un giovane pieno di talento, tanto che da giovanissimo entra a far parte della nazionale palestinese di calcio; nazionale che, tra le altre cose non viene riconosciuta, a livello internazionale così come non viene riconosciuto né lo stato palestinese né il suo popolo.
Nel 2009 Sarsak avrebbe dovuto unirsi ai compagni di squadra in Cisgiordania, ma al momento di passare il blocco israeliano che racchiude la “Striscia” è stato arrestato dai militari palestinesi e condotto in carcere, dove viene sottoposto alla cosiddetta “detenzione amministrativa”, che altro non è che una detenzione politica utilizzata da Israele che coinvolge più di mille detenuti palestinesi incarcerati a tempo indeterminato. A questi prigionieri tra le altre cose è vietato anche incontrare familiari o ricevere visite di alcun genere.
Sono passati 3 anni da quel giorno e Mahmoud continua a stare in carcere ma non ha mai ricevuto un’accusa ufficiale, così come altri prigionieri detenuti ingiustamente.
“Non lo abbiamo mai incontrato”, racconta sua madre, “Abbiamo sue notizie solo tramite l’avvocato.
Era innamorato dello sport. Se gli dicevamo per esempio di andare al mercato, lui rispondeva di no, voleva andare alla partita o agli allenamenti. Tutta la sua vita è sui campi da calcio”.
Le condizioni di detenzione nelle prigioni palestinesi sono state definite antiumanitarie e contrarie alle convenzione sui diritti dell’uomo di Ginevra, tanto da costringere Israele a dichiarare l’avviamento di un sostanziale miglioramento delle condizioni di questi prigionieri. Prigionieri che per protesta contro questa condizione inumana, aberrante e illegale hanno avviato uno sciopero della fame. Tra di essi appunto Sarsak, in sciopero da 84 giorni e che l’altro giorno è stato trasportato d’urgenza all’ospedale “Issaf Hrofes”. Lo stesso ospedale in un comunicato del 9 giugno ha dichiarato che Mahmoud Al Sarsak sta morendo, e che l’ospedale declina ogni responsabilità sulla questione.
Ieri l’Onu ne ha chiesto l’immediata scarcerazione.
Tutto questo avviene mentre l’Europa è sopita e normalizzata dalla grande abbuffata di calcio degli Europei. Europei che hanno prodotto indignazione anche mediatica e proteste per la questione dei cani randagi, questione nobilissima per carità, ma che di contro non riesce a produrre una riga, una citazione, una menzione per questa incredibile storia. Viene da chiedersi se questa storia avesse coinvolto invece di Isarele uno stato arabo, sud asiatico o africano se non saremmo già pronti per partire ed esportare un po’ di diritti e democrazia. O se non fossero già piene le pagine dei giornali e gli approfondimenti televisivi.
La realtà è un’altra, che si tratti di notiziabilità, di tragedie o di diritti umani. La realtà è che tutto è soppesato con la regola dei due pesi e delle due misure, e che troppo spesso i diritti umani, la solidarietà, la giustizia o la verità si dimostrano più come costrutti politico-economici che come sacrosanti valori morali.
Pio Matteo Augello