“La rabbia è la malattia del tempo che stiamo vivendo e non solo di una generazione, la mia”
La rabbia è intorno a noi. Ha molte sfumature, colori e voci tutte portatrici di verità. Una rabbia che non porta da nessuna parte, consuma e acceca.
In questi giorni raccolgo tanta rabbia in giro per l’Italia e nel paese in cui vivo.
Gli albergatori, i commercianti, gli artigiani sangiovannesi vedono tramontare il miracolo del Santo, nel silenzio più assoluto di una politica miope e assente che rincorre la vecchia giostra delle poltrone, incapace di reagire, di dare un segno, un sogno di speranza.
Ho ascoltato un imprenditore umbro che raccontando i suoi sacrifici per realizzare la sua attività turistica, sottolineava la preoccupazione, la rabbia di sentire minacciata la sua professionalità, da uno stato autoritario, sordo e che per difendere i suoi diritti, i suoi sacrifici, ha acquistato una carabina.
In passato erano gli imprenditori ad uccidersi, oggi hanno la disperazione di uccidere.
Ho ascoltato gli esodati sotto Montecitorio a Roma urlare rabbia contro la calma inconcludente del popolo grillino.
Viviamo un periodo difficile, di crisi economica e sociale, di transizione culturale e valoriale.
“Siamo una generazione indifesa e rassegnata. Abbiamo avuto tutto e non abbiamo più niente. Siamo connessi on-line, questo ci basta per credere di esistere” scrive Meredith Haaf. Siamo una generazione iperconnessa.
La rete ci consente di riversare una marea di banalità sui nostri profili Facebook, comunichiamo qualsiasi cosa e non importa chi ascolta. Per partecipare ad un processo ad una discussione, basta cliccare “MI PIACE”. La partecipazione è sintetizzata in un semplice clic. Un consenso virtuale che poi nella realtà può non coincidere.
Il web grillino ha trasformato una rabbia virtuale, in realtà dei giorni nostri. La rabbia la ritroviamo montare anche on-line che al momento del voto si è tradotta in consenso è ha determinato la sorte del paese Italia. E’ duro affermarlo ma la rabbia ha le sue ragioni, le sue origini e responsabilità politica individualistica.
Un disorientamento assoluto, una perdita di ogni punto di riferimento. Una classe politica che ha rinunciato di occuparsi del fatto che la metà dei cittadini non và più a votare. Una classe politica che ha rinunciato ad ascoltare quell’urlo di cambiamento che il popolo chiedeva e continua a chiedere.
La pochezza politica, il lavoro che non c’è, ha riemerso la malattia del tempo: la rabbia. La rabbia che circonda la nostra quotidianità, che mina le nostre certezze. Una rabbia che non porta da nessuna parte ma che consuma solamente. E’ una rabbia giusta. Una rabbia che gira a vuoto e che nutre il populismo e che dalle nostre parti non sa diventare indignazione, protesta reale.
La rabbia distrugge ogni cosa che non piace, annebbia le probabili soluzione. Forse è necessario placare la rabbia con il vecchio metodo del racconto.
Alle mie figlie per convincerle di andare a letto racconto una favola ad alta voce. Forse la soluzione è che tutti noi abbiamo bisogno di un nuovo racconto, una favola che ci faccia addormentare e risvegliare in un mondo migliore con una politica migliore.
Berto Dragano