di Pio Matteo Augello
Agevolare l’occupazione giovanile, ridurre il precariato, attirare capitali e investimenti internazionali.
Su questi tre pilastri è stata costruita negli ultimi mesi, la necessità agli occhi dell’opinione pubblica italiana, della riforma del mercato del lavoro. Una riforma da attuare a tutti i costi, anche senza il consenso delle parti sociali (quindi non soli i sindacati dei lavoratori, ma anche di un altro sindacato ben più potente, e che spesso non viene identificato come tale a causa della sua astuta denominazione, “Confindustria”).
Il risultato delle concertazioni tra il ministro del lavoro Elsa Fornero, e le parti sociali hanno partorito un testo, non condiviso da molti, anche da alcuni partiti che sorreggono l’attuale governo, i cui punti salienti sono stati già riassunti.
Il nodo che fa più discutere è naturalmente quello sulle restrizioni sostanziali all’art.18, quello che protegge i lavoratori da licenziamenti discriminatori e senza giusta causa. Restrizioni che vanno a minare quasi un secolo di lotte per i diritti dei lavoratori, e che quindi oggi più che una novità sono viste da molti come un ritorno al passato sul piano dei diritti acquisiti. Il presidente del Consiglio Mario Monti, l’ha definita <<una riforma equa e incisiva, i cui sacrifici sono equamente distribuiti>>. Bhè, a dirla tutta se esiste un termine, un aggettivo per descrivere questa riforma, di certo non è la parola “equa”. Nei fatti si tratta di un grosso assist alle esigenze di “Confindustria”, permettendo di mascherare come economico qualsiasi forma di licenziamento, a patto che l’azienda abbia dei soldi da versare al licenziato. E non solo, rischia di essere anche poco “incisiva” se non vi saranno modifiche, come vedremo più avanti.
Ma non è questo l’argomento che qui voglio trattare, ma bensì capire in che modo e misura questa riforma vada incontro alle premesse che ne hanno motivato la necessità e l’urgenza, ovvero : occupazione giovanile, riduzione del precariato e investimenti internazionali.
Il testo del Governo, affronta i meccanismi di ingresso al mercato del lavoro attraverso il potenziamento dei cosiddetti contratti di apprendistato, con il fine di renderli come strumento principale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Si tratta quindi di rendere conveniente per le aziende assumere con contratti di apprendistato e formare i giovani. Lodevole di certo, ma la questione è che per le imprese che si avvalgono dei vantaggi fiscali di tali contratti, al termine del periodo di apprendistato, non è previsto alcun vincolo o altro espediente che ne garantisca la possibilità di assunzione reale del lavoratore, ma solo l’obbligo di certificarne le qualifiche acquisite. Con il rischio quindi concreto che “l’apprendista” non venga mai assunto, perché conoscendo il “liberismo all’italiana” l’azienda preferirà referenziare e procedere a nuovi contratti di apprendistato, lasciando il lavoratore formato senza occupazione, in un mercato del lavoro come quello italiano che di lavori non ne offre proprio.
La seconda questione, quella della riduzione del precariato dei contratti a progetto o a tempo determinato, è stata affrontata grazie all’introduzione di un’aliquota addizionale per l’impresa dell’1,4% se assume con contratti a tempo determinato o a progetto. Di sicuro sulla carta può essere un deterrente, ma se si pensa ai meccanismi dell’apprendistato senza vincolo di assunzione, come sopra detto, il risultato concreto potrebbe essere un fuoco di paglia. Se un’azienda può assumere con apprendistato con agevolazioni e senza obbligo di assunzione, non si capisce perché dovrebbe assumere con contratto a tempo determinato un lavoratore che costa di più, preferendo quindi il più conveniente apprendistato continuo.
La terza ed ultima questione, è quasi imbarazzante. E stata sapientemente costruita l’idea che la mancata attrattività di investimenti e capitali esteri in italia, sia dovuta alla presenza dell’art.18 nello statuto dei lavoratori. Nulla di più falso e ideologico. Numerosissimi pareri e indagini di mercato indicano ai primi della cause della scarsità di attrazione di investimenti stranieri, l’enorme e lentissima macchina burocratica italiana, e il sempre più capillare controllo della malavita sui territori, nella gestione degli appalti pubblici, complice la solita politica definita “miope”, ma che infondo, visto il moltiplicarsi degli scandali, forse ci vede benissimo, e soprattutto a livello locale.
Non c’è dunque una sola delle premesse su cui si è basta la necessità di questa riforma, che venga logicamente e sostanzialmente soddisfatta, da questo testo, che non è ancora legge,a meno che non vi siano sostanziali “aggiustamenti” durante l’iter parlamentare. Persino stamattina l’UE, attraverso un suo documento ripreso da Repubblica, sembra essere meno dura sui licenziamenti, e più incisiva sui meccanismi contrattuali, indicando addirittura l’abolizione dei contratti a progetto.
La riforma non è ancora legge, e quindi ancora migliorabile, ma una riflessione o meglio una domanda, quanto fin’ora detto, la pone: “ Non sarà che il Governo dei Professori, abbia subito imparato e fatto propri i modi della politica di professione, della propaganda elettorale, di facciata, che annuncia una cosa in pompa magna per il bene del paese, per poi fare tutto l’opposto, a discapito dei soliti noti?“