Da non leggere in ore pasti
In questi giorni amari di riflessione sulla precarietà della condizione umana – e nondimeno, come puntualmente sottolineato dal Presidente della Repubblica Napolitano, di "esami di coscienza" per ogni componente della società civile – la nostra meravigliosa televisione pubblica ci fornisce ulteriori spunti sui temi dello sciacallaggio e dello sfruttamento delle disgrazie umane per ben più gretti obiettivi.
Sono le tredici e trenta del 7 aprile scorso. Il primo telegiornale italiano, il Tg1, ci propone una simpatica biondina che utilizza i primi 90 secondi del nostro servizio informativo pubblico – nel giorno in cui ha avuto luogo quella che è stata unanimemente definita la più grave catastrofe dall’inizio del Millennio – per sbandierarci i successi di audience dello pseudo-giornale che conduce, dell’irrinunciabile Porta a Porta e di tutti gli altri speciali Rai. Un serpentone di dati di un’estrema violenza e una volgarità quasi offensiva, che non dovrebbe lasciare nessuno indifferente. Facciamoci del male e rileggiamola insieme.
"Ascolti record in tutte le edizioni del tg1 nella giornata del terremoto in Abruzzo. Il Tg1 ha registrato uno share intorno al 30% nelle edizioni delle sei e trenta, delle sette e delle otto, con un picco del 43 e un per cento nell’edizione delle nove e trenta. La straordinaria delle 11, durata oltre un’ora ha realizzato uno share del 33%, e l’edizione delle 13.30 il 32,4 con 5,7 milioni di ascoltatori. La straordinaria dalle 15 alle 16 ha avuto un ascolto del 21%. L’edizione principale delle 20 si è confermata leader dell’informazione con uno share del 33,9% e con un ascolto medio di 8,7 milioni di ascoltatori e picchi di quasi 10 milioni. Lo speciale tg1 "Porta a Porta" condotto da Bruno Vespa con David Sassoli, inviato sulle zone del disastro, ha avuto uno share del 27% e una media di 6,7 milioni di ascoltatori. Record anche per l’edizione on line del tg1 che raccoglie le offerte di aiuto e volontariato. Il tg1 è presente in Abruzzo con otto inviati e nove operatori dall’alba di lunedì".
Rieccoci. Nel frattempo vediamo questi sciacalli in giacca e cravatta parlare – in questa repubblica del tubo catodico – di altri sciacalli. Li ascoltiamo denunciare, sdegnati, l’esistenza di gente che va a rubare in case deserte. Li chiamano proprio così, sciacalli, senza vergogna né il minimo sentore di star parlando di loro stessi. Sembra che nei corridoi di viale Mazzini e Cologno Monzese non esistano altri termini in questi giorni.
Ma cerchiamo di capire cosa è veramente uno sciacallo.
Con il termine sciacallo (dal turco Çakal, che deriva a sua volta dal sanscrito Srgālah) si identificano di solito 3 o 4 specie di mammiferi del genere dei Canis, con le relative sottospecie. Essi sono predatori di animali e mangiatori di frutta, insetti, invertebrati. E di carogne. Sono animali notturni. La società degli sciacalli è costituita intorno ad una coppia monogama che occupa e difende un territorio ben definito. In alcune rare occasioni essi si riuniscono in un branco, ad esempio per nutrirsi di una carcassa particolarmente grande, ma nella maggior parte dei casi cacciano da soli o in coppia.
Adesso facciamo quello che può sembrare un brusco salto. Confrontiamo il nostro simpatico sciacallo con qualche grande protagonista del nostro irreprensibile servizio pubblico e cerchiamo qualche somiglianza.
Pensiamo, ad esempio, a Bruno Vespa. Innanzitutto, anch’egli è un mammifero.
E’ anche un animale notturno. Si scatena dopo le 23, a prescindere da tutto e tutti. La notte è sua. Anche Vespa occupa e difende un territorio ben definito. Rai Uno dopo le 23 è qualcosa di ormai suo. Porta a Porta – con i suoi preconfezionati dibattiti politici di celluloide e gli stuoli di cosce a parlare di botulino e dieta mediterranea – ha occupato la seconda serata del palinsesto del canale di punta della televisione pubblica ormai da anni.
Infine, anch’egli si nutre di carogne. Poveri resti di esemplari di homo sapiens sapiens d’ogni tipo. Meredith Kercher. Cogne. Garlasco. Potrei continuare, ma accumulerei solo altra bile.
Adesso questa tragedia offre ai nostri uomini di "informazione" tantissime carogne da spolpare. Un’infinità di quotidianità da spettacolarizzare, da sharizzare. Stiamo certi che ricaverà almeno 8 episodi della sua trasmissione di plastica. E come lui, un gran numero di altri sciacalli dell’ "informazione" televisiva italiana.
Ma aspettate. Un altro terribile flash.
E’ il 6 aprile 2009. Ancora Porta a Porta. Ancora Vespa. Questa volta si aggira tra le macerie dell’Aquila. Attorno a sé uomini della Protezione Civile e cani che cercano povera gente sotto i calcinacci.
Improvvisamente si ferma.
Raccoglie un povero peluche – solo poche ore prima del tutto ignaro di diventare strumento di una simile bassezza – ed esclama, con il cuore colmo di disperazione: "Non c’è terremoto in cui non si trovino cose di questo genere, cose così dolorose. Sempre. Le abbiamo viste in Friuli. Le abbiamo viste in Irpinia. Le abbiamo viste a Perugia. Adesso anche all’Aquila".
Poi poggia delicatamente, con grande rispetto, il peluche su un muretto, e scompare. Ventotto agghiaccianti secondi.
Dopo questo schifo, vorrei soffermarmi su una precisa caratteristica degli sciacalli. Il loro riunirsi in branco in alcune rare occasioni, come ad esempio per nutrirsi di una carcassa particolarmente grande. Penso all’Aquila. Penso al TG1 del 7 aprile. Un’amarezza invisibile, enorme, affolla le aule magne dei cervelli di tutte le persone che, come me, non capiscono.
A prescindere dallo sciacallaggio più comunemente inteso – ossia il triste fenomeno di privati cittadini che depredano luoghi lasciati incustoditi, ad esempio per eventi catastrofici – sembra dunque evidente come in questi tristi giorni sia presente, all’interno del pittoresco mondo dell’informazione italiana, qualche Canis aureus che si lecca i baffi di fronte a questo gran numero di carogne. Non è forse sciacallaggio della peggior specie questo genere di concezione dell’informazione(per di più in molti casi pubblica)? E non è sciacallaggio della peggior specie sfruttare queste catastrofi naturali per tirare acqua al mulino del proprio credo religioso?
Giungo quindi ad una conclusione. Avverto la necessità di inserire altre specie animali sotto la denominazione di sciacallo. D’altronde, abbiamo visto come sciacallo sia un termine senza valenza scientifica o tassonomica. Numerosissimi esemplari di Homo sapiens sapiens in giacca e cravatta hanno dimostrato di starci benissimo dentro.
E allora facciamolo pure. Apriamo le porte di questa terminologia. Spingiamoci dentro tutti i giornalisti-spazzatura, i cerca-lacrime last-minute tra le macerie, le conduttrici esaltate, i peluche strumentalizzati , gli uomini-pubblicità, i marcatori a uomo di Presidenti della Repubblica e di vigili del fuoco. Buttiamo la chiave. Imprigioniamoli tra queste pareti di mediocrità, lasciamo che si infanghino da sé e, chissà, un giorno riusciremo finalmente a coniare un termine tutto per loro che non disonori il povero sciacallo.
(Fonte www.ildiariomontanaro.it )