“Frammenti di territorio”
di Angelo Marino
Pomeriggio caldissimo, un
tempo inclemente per chi non è al mare, eppure una visita a “La tufara di Santa Lucia” ci fa
dimenticare la calura estiva.
Il primo impatto con la
graziosa chiesetta presente in loco (tra la SS 89 garganica Manfredonia-Foggia
ed il Monte Aquilone), è al tempo
stesso entusiasmante ed emblematico. Il degrado la fa da padrone: scritte
inquietanti sui muri esterni, erbacce infestanti, lastroni di pietra caduti (non
si sa da quando).
L’interno però è tutta
un’altra storia, a dispetto dell’invariato stato di incuria. Scritte
particolari ed espressive lasciate dai numerosi visitatori (pastori, militari,
contadini, credenti) che negli anni hanno vissuto la chiesetta di Santa Lucia, come meta di ristoro e di
accoglienza.
Archi, volte ed altre
meravigliose soluzioni architettoniche catturano la nostra attenzione, ma oggi
la nostra meta è la tufara. Ne
intravediamo uno degli ingressi, quasi totalmente ostruito da piante spontanee
e rovi infiniti, che conquistiamo agilmente.
L’ingresso nella cava è una piacevole sorpresa, infatti
di colpo la temperatura si fa fresca e gradevole, mentre il buio ci avvolge
all’improvviso.
Accendiamo le torce che
avevamo in dotazione, e un mondo nuovo ed inesplorato si presenta ai nostri
occhi: siamo letteralmente circondati da rocce arenarie, che impropriamente
chiamiamo tufo.
Il paesaggio affascinante
che stiamo conoscendo, ci porta indietro nel tempo di anni, secoli, quando il
lavoro nelle cave veniva svolto manualmente e i ritmi erano cadenzati solo dal
tempo che scorreva lento nel sottosuolo.
Oltre ai tanti blocchi di tufo presenti, constatiamo l’esistenza
di vere e proprie costruzioni abitative manufatte dall’uomo, il che ci lascia
pensare che i minatori addetti
all’estrazione della pietra calcarea
vivessero praticamente nel sottosuolo.
Tra le meraviglie che osserviamo
in questo luogo quasi fantastico, varie specie di animali e calchi di conchiglie, ma la stanza delle radici ci lascia
veramente attoniti. La perfezione degli angoli, la linearità delle forme, le
geometrie che si susseguono incessantemente, ribadiscono l’inimitabilità che la
natura ci offre da sempre.
Usciamo dalla tufara che è quasi buio, sempre più
convinti che le bellezze e la storia del Gargano vadano accarezzate ed
apprezzate costantemente e non tristemente abbandonate e depauperate anno dopo
anno.
Grazie agli amici dello
Speleo Club Sperone: Michele e Silvia Lo
Mele, Nicola Pazienza, Matteo e Luca Mangiacotti.