LibriAmo a cura di Renata Grifa
Gli chiedo se si è mai tuffato da li e lui risponde di si poi dice: Ci hai mai pensato all’acqua? Dicono acqua dolce, ma è una bugia. Questa acqua ha il sapore della benzina, quando avvicini l’accendino prende fuoco
Giulia Caminito
È una storia tutta italiana quella che Giulia Caminito narra ne L’acqua del lago non è mai dolce, romanzo facente parte della cinquina dei finalisti del Premio Strega 2021 (ricordiamo oltre il romanzo della Caminito, Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio, Due Vite di Emanuele Trevi, Il pane perduto di Edith Buck e Il libro delle case di Andrea Bajani).
Un titolo e una copertina che da subito evocano quello che sarà il filo conduttore di questa storia ambientata nella periferia di Roma prima e in una casa popolare di Anguillara Sabazia poi.
Un lago che è quasi un surrogato di chi non può permettersi il mare, con le sue acque torbide, tutt’altro che dolci, che sanno di fango e polvere, dove per restare a galla si fatica il doppio.
Ed è proprio la fatica che segna l’intera esistenza di Antonia, donna e madre d’altri tempi che regge le fila di una famiglia sgangherata cresciuta ai margini della società perché povera, costretta a vivere alla meglio e ad adattarsi alle situazioni quasi beffarde che la vita le offre.
Ad Antonia può andar bene anche così se si trattasse solo di se stessa, ma non c’è solo lei, Antonia ha dei figli a cui badare, figli che nel pieno dell’adolescenza vorrebbero semplicemente essere al pari dei loro coetanei e invece sono costretti a guardare da lontano ciò che loro non possono essere, ma soprattutto avere.
Proprio per questo Antonia ripone tutte le speranze di un futuro migliore nella sua unica figlia femmina, imponendole come unico imperativo lo studio, solo studiando potrà salvarsi e uscire da quel mondo a cui sembrano essere condannati per sempre.
E così attraverso Antonia viviamo la vita di sua figlia che da bambina ad adolescente e poi giovane donna ci fa immergere nel “mondo degli esclusi”, di coloro i quali sono messi ai margini di una società sempre più portata all’apparire e non all’essere. A loro va sempre la seconda scelta, dai giocattoli di seconda mano, allo zaino del fratello maggiore che non dovrà essere rovinato perché ci sono ancora altri fratelli che lo useranno, alle scarpe con la suola già usata.
Una vita vissuta sempre con una rabbia e un rancore tali che, nonostante la voglia feroce di riscatto, fanno della protagonista una ragazza difficile, a tratti violenta.
Io respiro forte nel casco, ingoio rabbia, tutta quella che ho tenuto celata, quella che ho travestito per le grandi occasioni, quella che ho guardato ballare a distanza, quella che m’hanno vietato e che invece mi appartiene e voglio coltivare, sento il collo appesantito, le mani calde, doloranti.
Una storia amara, che sebbene non si fatica a credere reale (l’ambientazione è un tuffo nel passato, lontano dal mondo social a cui ormai tutti siamo abituati) è a mio avviso un libro molto lontano dall’essere un Premio Strega.