LibriAmo, a cura di Renata Grifa
“Parlami, Giacomo, di come ascoltare le inquietudini del cuore
senza comprimerlo nel petto per troppa paura della vera chiamata alla vita.
Scrivimi, come si fa a non mettere una corazza attorno al cuore
per paura che la vita ci inganni
o dopo che la vita ci ha disingannato?
Meglio un quieto sopravvivere o un inquieto vivere?”
Provate ad immaginare di avere la possibilità di scrivere ad uno dei più grandi poeti o scrittori del passato, a chi andrebbe la vostra lettera? All’impertinenza di Oscar Wilde, alle acute osservazioni di Jane Austen o all’avanguardia di Luigi Pirandello? Quanti intesterebbero la loro missiva all’indirizzo dell’inguaribile pessimista Giacomo Leopardi?
Qualcuno ci ha provato e ne ha fatto un romanzo. Immaginando un rapporto epistolare post datato Alessandro D’Avenia ha dato voce ad uno dei più grandi esponenti della letteratura italiana, a Leopardi uomo oltre che poeta, a quel poeta che “canta la morte ed esalta la vita”.
Spogliandolo dell’etichetta di pessimista troppo facilmente riportata dai manuali scolastici, D’Avenia, nel suo stile semplice e delicato, ci regala un ritratto inedito dello scrittore spesso frainteso, ignorato o semplicemente sottovalutato.
Ciò che viene fuori è un Leopardi pieno di vita e attaccato alla vita, che lotta con tutte le sue forze per restare fedele alla propria vocazione poetica, che non si arrende davanti alla siepe, ma è alla continua ricerca del proprio infinito. Non un Leopardi nichilista, ma un Leopardi sognatore ed è proprio attraverso la vita e le opere più importanti del poeta che D’Avenia accompagna il lettore in un viaggio che tocca ogni tappa dell’esistenza, dalle agitazioni dell’adolescenza, età di speranza, passando per l’età della maturità e quindi del reale, fino all’età della “riparazione della vita”, momento in cui giunge l’ora di guardarci allo specchio, guardare le nostre debolezze, le nostre fragilità e dal loro valore ripartire.
Attraverso la poetica leopardiana D’Avenia riflette su quella che è la società del nostro tempo, del nostro vivere, un vivere che vorrebbe essere sempre più naturale, privo di convenzioni e libero da moderne schiavitù “Viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Dalla terra degli sbagliati scampano temporaneamente quelli che mentono a se stessi costruendo corazze di perfezione, ma c’è un altro modo di mettersi in salvo, ed è costruire, come te, un’altra terra fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili”.
L’arte di essere fragili è un libro dall’apparente semplicità e dalla duplice bellezza, da un lato ci permette la riscoperta del Giacomo Leopardi poeta, raccontato dal professore che tutti vorrebbero e dovrebbero avere, dall’altro è un romanzo che nasconde in sé l’ispirazione per risposte a domande che l’autore pone al lettore e a se stesso. Quesiti semplici che racchiudono i più grandi dubbi esistenziali, “Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia quotidiana?”
if
La luce oltre la siepe, la ricerca della felicità, il mestiere di vivere….
L’autrice della recensione ci guida abilmente in un percorso di intima rivisitazione di assonanze, motivi e temi più volte risuonati nel tempo lungo della memoria e delle letture.
E ci invita ad una visione del mondo che ci faccia sentire affrancati dalle ‘schiavitù’ del nostro tempo, di ogni tempo.
Liberi.
Come il pastore errante, come le vaghe stelle, come le greggi.
Leopardi, lieto, ringrazia.
Chapeau!
Antonio Del Giudice