“Figli di un Bronx minore” di Peppe Lanzetta
Recensione di Toni Augello
Figli di un Bronx minore è un urlo da dentro la periferia, visceralmente descritta dall’autore come un autentico “avamposto della disperazione”, dove si consuma quotidianamente una “tragedia invisibile” in un’altrettanto invisibile miseria morale e materiale.
Un urlo che dalla periferia dovrebbe scuotere i centri delle nostre città luccicanti e dorate, la superficialità delle nostre buone maniere e le etichette intorno a tavole sapientemente apparecchiate, ma che spesso rimane inascoltato.
Un urlo di cui Peppe Lanzetta si fa cassa di risonanza per le edizioni Feltrinelli molti anni prima di Saviano, Sorrentino, ecc.
Una periferia che è quella della Napoli di Maradona, ma che oggi può esser tranquillamente confusa con quella di Roma capitale o della Milano da bere.
Un urlo straziante che è insieme sofferenza, disperazione e denuncia, ma anche voglia di riscatto.
Con scrittura affilata Peppe Lanzetta apre uno squarcio profondo nei bronx di casa nostra, non meno degradati e sozzi di quelli di maggior fama, eppure pullulanti di vita, di sogni, di speranze, che le circostanze più crudeli ed ingiuste non sempre riescono a spezzare.
Una narrazione densa, ma che scorre come un fiume in piena, e dagli occhi cade a cascata sul cuore, chiudendo la bocca dello stomaco. Un libro da leggere d’un fiato, spezzato solo dal singhiozzo di quei tre puntini di sospensione che chiudono pressoché tutti i ventisei episodi di cui è composto. Un’opera da cui si leva prepotente un lirismo metropolitano duro, con un retrogusto malinconico e lieve come le vite trasfigurate, rarefatte dall’implacabilità delle miserie e degli eccessi dell’hinterland partenopeo.
Un titolo evocativo che mutua con un’intuizione magistrale quel “Figli di un dio minore” con un Bronx che è un tatuaggio indelebile sulla pelle, e non va via se non a prezzo di grandi ferite.
Un libro vero, che a distanza di tanti anni dalla sua prima uscita fa ancora riflettere. Eccome.