Nel nome dello zio, di Stefano Piedimonte
Chi di Grande Fratello riconosce solo quello di orwelliana memoria, ripudiando il reality televisivo diventato fenomeno mediatico nell’ultimo decennio, sia pronto a ricredersi: a qualcosa, il secondo, è servito.
Sul GF, il napoletano Stefano Piedimonte pianta le basi del suo romanzo “Nel nome dello zio” (Ed. Guanda, 2012). Il libro si legge d’un fiato. È ben strutturato e gode di un efficace uso del feedback. La cifra stilistica essenziale e priva di velleità gli conferisce il pregio della scorrevolezza. Difficile staccarsene una volta dispiegata la prima pagina.
Si parla della Napoli di sempre, ma l’autore azzecca la storia nella storia ed il libro vive di vita propria, sorretto da un’ironia pungente che ne diventa il filo rosso. Memorabile la pagina dei clic clic e dei tac tac, ingrato epilogo di decenni di estenuanti lotte sindacali. Piedimonte si affida al grottesco per restituire la frizione tra buono e cattivo, apparenza e realtà, percorrendo una strada tutta sua. Dipinge la sua città con pennellate leggere, ma sicure, e mette in luce molto più che i segreti di un’organizzazione malavitosa. Ci restituisce il quadro di una società intera segnata da una mentalità viziata dalla cultura dell’illegalità, dalle collusioni tra camorra ed istituzioni, dai limiti di un welfare che non riesce – a differenza dei boss – a dare un lavoro ed un reddito a tante famiglie, ragion per cui i boss ne conquistano la stima ed il rispetto. Tuttavia, non vi si scorgono i richiami alle tinte forti di Lanzetta, né a quelle accese di Saviano, oppure a quelle più evocative di un Sorrentino. L’autore crea un pulp partenopeo tutto suo, pieno di sorprese e colpi di scena. Insomma, un libro tutto da scoprire.
E l’occasione potrebbe esser quella offerta dai Laboratori Urbani Artefacendo, giovedì 18 luglio, ore 21.00, nel cortile dell’ex mattatoio comunale, dove l’autore incontrerà i lettori per presentare questo fortunatissimo esordio letterario.